di Enrico Sozzetti
Il tanto atteso studio epidemiologico della popolazione di Spinetta Marengo evidenzia «che tra le patologie tumorali risulta un incremento di ricoveri, solo tra gli uomini, per mesoteliomi pleurici, peraltro in decremento per il periodo più recente, e per tumori epatici e delle vie biliari. Tra le patologie non tumorali si registrano incrementi di rischio di ricovero soprattutto a carico degli apparati cardiocircolatorio (solo tra gli uomini) e genitourinario. Si evidenzia inoltre un incremento delle malattie della pelle (melanomi, ndr) tra gli uomini».
L’Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) parla chiaro rispetto ai trend e afferma in modo altrettanto chiaro che «i dati emersi mettono in luce alcuni incrementi di ricoveri che corroborano l’ipotesi iniziale rispetto alla presenza di possibili rischi nell’area in esame, che andrebbero approfonditi mediante metodologie più complesse che comprendano il rilievo di parametri individuali sia per la valutazione dell’esposizione che per la misura di effetti. Questo tipo di valutazioni consentirebbe anche di identificare possibili aree di intervento sulla popolazione in termini di programmi e attività di sanità pubblica, da attuarsi dalle autorità e istituzioni competenti, con il coinvolgimento anche delle parti direttamente collegate con l’assistenza quali i Dipartimenti di prevenzione, le strutture di educazione e promozione della salute, gli ospedali e soprattutto i medici di famiglia».
L’inquinamento è la causa prima delle patologie e dei decessi? Finora non è ancora stato dimostrato scientificamente un nesso diretto, anche se appare scontato che la presenza di industrie (polo chimico e Michelin) nel passato abbia avuto un ruolo primario di impatto sull’ambiente e sulla salute. Lo dicono le cronache degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso quando anche in parlamento vennero depositate interrogazioni sui morti “con le narici bucate” di Spinetta. Erano lavoratori della Montecatini-Montedison impiegati nel reparto di produzione dei bicromati, ma tutte le antiche lavorazioni inquinanti hanno lasciato una cicatrice vasta e rofonda. Non va dimenticato, però, che si parla di un periodo storico in cui non esistevano leggi, conoscenze scientifiche approfondite sulle molecole delle sostanze, sulla interazione con il corpo umano (il caso dell’amianto è esemplare). In Italia la prima legge per la tutela dell’ambiente è la legge “Merli”, numero 319 del 10 maggio 1976, sulla tutela delle acque che ha introdotto norme relative agli scarichi di tutte le acque e alle fognature, definendo i livelli di competenza territoriale.
Dopo un primo studio sull’area della Fraschetta, adesso è arrivato il secondo, mirato su Spinetta Marengo e frutto del protocollo di intesa dell’ottobre 2017, firmato da Comune di Alessandria, Asl Al e Arpa, per la realizzazione di studi epidemiologici per un approfondimento sui possibili ed eventuali fattori di rischio nei residenti del sobborgo. «Spinetta Marengo – sottolinea Angelo Robotto, direttore generale di Arpa Piemonte – è da anni oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia per il monitoraggio, la tutela e la bonifica dell’ambiente dai rischi legati all’impiego di sostanze chimiche pericolose in alcuni processi produttivi del polo chimico». Lo studio è stato realizzato utilizzando due modelli per la definizione dell’esposizione: un’area in un raggio di tre chilometri dalla sorgente di esposizione; un’area come definita dal modello di dispersione degli inquinanti suddivisa in “tutti gli esposti verso i non esposti”, “due livelli di esposizione, medio ed elevato, verso i non esposti”». Gli studi forniscono «utili elementi descrittivi sullo stato di salute della popolazione», ma «non consentono di evidenziare univoci rapporti di associazione causale». A partire dai risultati «sarà valutata – dice ancora Arpa – l’opportunità di ulteriori approfondimenti mirati ad alcune patologie per evidenziare la presenza di eventuali specifici determinanti ambientali di rischio e valutare le soluzioni operative più adatte».
La fonte dei dati utilizzati da Arpa è solo quella disponibile «dai flussi informativi a cui si è potuto accedere, ovvero informazioni anagrafiche, dati sanitari dei ricoveri, archivi Inail per le esposizioni lavorative». Mancando una analisi specifica di ogni singolo caso, non è infatti possibile escludere cause diverse per alcune patologie. Lo studio completo si può scaricare dal sito http://www.arpa.piemonte.it/
Al termine della presentazione dei risultati, il sindaco di Alessandria, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, l’assessore all’Ambiente, Paolo Borasio, Alberto Maffiotti, direttore provinciale Arpa, l’epidemiologa Cristiana Ivaldi di Arpa, Enrico Guerci e Claudio Rabagliati (direttore del Dipartimento di prevenzione, Coordinatore aziendale del Piano locale della prevenzione dell’Asl Al), hanno affermato che «i dati necessitano di un ulteriore approfondimento e pertanto tra il 2020 e il 2022 è in programma la definizione di un Protocollo di Intesa fra Regione Piemonte, Cpo (centro prevenzione oncologica), Comune di Alessandria, Arpa Piemonte e Asl Al per valutare la possibilità di effettuare un progetto di sorveglianza sanitaria per evidenziare la presenza di determinate sostanze nel sangue e nelle urine degli abitanti». Se va bene, saranno necessari almeno cinque anni per vedere concretizzato il progetto di sorveglianza sanitaria che dovrà prima avere chiarito con precisione e rigore scientifico che cosa andare a cercare per poter risalire successivamente alle fonti di inquinamento.
Il parallelo studio dell’Asl Al sulla mortalità fra il 1996 e il 2016 ha evidenziato un incremento statistico di alcune patologie tumorali maligne, in particolare negli uomini, e delle malattie dell’apparato respiratorio, ma anche un calo per altre. I dati non sono univoci e lo studio non identifica nessi causali. Inoltre il numero dei casi è abbastanza contenuto: due quelli di tumore alla mammella maschile, sette di melanoma (sempre nei maschi). Vero che sono patologie rare, la prima soprattutto, però è anche vero che alcune sono in aumento, anche per concause legate all’ambiente e agli stili di vita.
Sullo sfondo resta il polo chimico della Solvay. Multinazionale che «deve assumersi le sue responsabilità con un cambio di passo, e diventare parte attiva anche nelle operazioni di bonifica», parole di Borasio. Il colosso belga della chimica intanto commenta così l’esito dello studio: «Solvay prende in seria considerazione le evidenze di questo studio epidemiologico, in quanto fornisce utili elementi descrittivi sullo stato di salute della popolazione. Lo studio – si legge su una nota – sottolinea che le cause di queste evidenze possono essere molteplici e richiedono ulteriori approfondimenti, ma non consente di evidenziare univoci rapporti di associazione causale. Nei prossimi giorni Solvay analizzerà lo studio e le sue conclusioni. La stato di salute dei lavoratori del sito di Spinetta Marengo viene monitorato costantemente secondo un rigido protocollo di sorveglianza medica. Ad integrazione della visita medica periodica per il giudizio di idoneità lavorativa vengono effettuati, ogni anno a tutti i lavoratori interessati, 38 esami complementari per la verifica della funzionalità dei parametri biologici. Sulla base dei dati non vi sono problemi di salute legati al lavoro. Solvay ha anche installato una importante rete di centraline di controllo delle emissioni in aria su tutti gli impianti produttivi per la sicurezza dei lavoratori. In accordo con gli enti sono state installate anche due centraline esterne al sito per la salvaguardia della collettività. Tutte le analisi effettuate sull’acqua utilizzata, all’interno o fornita all’esterno del sito di Spinetta Marengo, hanno sempre confermato il totale rispetto dei criteri di potabilità. Il controllo di tutte le attività di Solvay viene effettuato regolarmente dagli enti tecnici locali. Siamo sempre a disposizione delle Autorità per un confronto e un dialogo propositivo, perché la salute dei lavoratori e della comunità di Spinetta Marengo è per noi fondamentale».
Tutto senza dimenticare che l’inquinamento di oggi è il risultato di cento anni di chimica tradizionale (Solvay è arrivata nel 2002, ovviamente ben sapendo che non acquistava un terreno vergine) e che le pessime abitudini dei cittadini (scavarsi pozzi privati, usare acque contaminate e terra per l’orto proveniente dall’interno dello stabilimento) hanno contribuito anche allo sviluppo di alcune patologie. Ma forse è più facile, per un certo ambientalismo e una certa politica, scaricare interamente le colpe sull’industria. Che responsabilità ne ha, certo. Però è grazie a quell’industria, chimica in questo caso, che l’uomo sta conquistando traguardi impensabili fino a pochi decenni fa. La mediazione e l’equilibrio fra ambiente e sviluppo è difficilissima e complicata. Ma va perseguita senza facili fughe in avanti.