di Enrico Sozzetti
Massimo Vaccari ha annunciato il ritiro del progetto della Filippa 2.0 che avrebbe dovuto sorgere fra Casal Cermelli e Frugarolo. Ma il progetto del ‘Mini Po’ verrà presentato a tutti i Comuni del bacino del Po in Piemonte. La decisione dell’imprenditore è stata comunicata alla Provincia a poche ore dalle audizioni conclusive della inchiesta pubblica.
«Gli eventi alluvionali di ottobre e novembre – spiega Vaccari – hanno comportato ulteriori misurazioni della falda che era cresciuta prima su una parte dell’area interessata dal progetto della discarica e poi sul resto della zona. Come conseguenza logica per rendere il progetto approvabile si sarebbe reso necessario un apporto di materiale per ricreare le condizioni previste dalle norme. Con questa modifica il progetto poteva essere approvato. Ma per fare tutto questo avremmo dovuto usare terre e rocce da scavo, in particolare dei cantieri del terzo valico, per alzare di almeno due metri le quote del parco, aumentando pesantemente il traffico su strada. Ho sempre detto e scritto che queste cose non le avrei mai fatte». Questa situazione avrebbe impedito alla società di «farsi carico delle sensibilità manifestate dai cittadini nei tanti incontri svolti sul territorio». Massimo Vaccari (classe 1962, imprenditore, amministratore unico della società La Filippa 2.0) ripete che il progetto era approvabile, però «non c’erano più le condizioni per farlo».
Alla base c’è una norma tecnica per la progettazione, che esiste solo in Italia, che impone di realizzare la barriera di protezione del suolo con una distanza di due metri rispetto alla massima escursione della falda rilevata nel tempo. «Sebbene l’innalzamento della falda si sia manifestato solo per pochi giorni – sottolinea Vaccari – per soddisfare la normativa il progetto avrebbe richiesto un consistente aumento dell’apporto di materiale per ricreare le condizioni previste dalla norma».
In un primo tempo la società ha pensato di dimezzare l’area di utilizzo della discarica, passando da 960.000 a 450.000 metri cubi, riducendo del 70 per cento il traffico su strada in ingresso, dimezzando i tempi di realizzazione della riqualificazione della zona (da otto a quattro anni) e anticipando l’apertura del parco che sarebbe dovuto sorgere sulla discarica, ovviamente tagliando della metà il fatturato previsto. Poi il successivo innalzamento della falda ha interessato tutta l’area. E a questo punto è arrivata la decisione di ritirare il progetto per non venire meno agli impegni presi con la popolazione. «Rinunciamo a realizzare qui un progetto – conclude Vaccari – che consideriamo legittimo, innovativo e straordinario per noi e per il territorio. Il lavoro fatto lo voglio difendere e nei prossimi mesi partiremo con una iniziativa per presentare a tutti i Comuni piemontesi del bacino del fiume Po il progetto e verificheremo se ci sono zone in cui può essere realizzato».
Finora l’imprenditore ha investito quasi settecentomila euro fra progettualità (ha lavorato una squadra di diciotto persone), sito web, comunicazione, incontri con la popolazione che sono proseguiti per mesi. «L’azione imprenditoriale si basa sulla credibilità ed è su questi valori che costruisco il futuro. Io – precisa ancora – non mi sono spaventato. Noi possiamo garantire la sicurezza del progetto, quello che non riusciamo a fare è eliminare la paura e la sfiducia che in questo Paese oggi continuano ad aumentare, facendo passare la convinzione che il profitto viene prima della sicurezza e della tutela delle persone. La nostra non è una azione spot e non abbiamo mai anteposto il profitto e basta».
La Filippa 2.0 era il progetto di una discarica sostenibile al servizio dell’economia circolare. «È un impianto a basso e breve impatto ambientale» si legge sulle relazioni aziendali. I materiali conferibili sono costituiti «da rifiuti non pericolosi, derivanti dalle attività di riutilizzo, riciclo, recupero e gestione dei rifiuti prodotti dal sistema dell’economia circolare a servizio della comunità civile». Sono totalmente esclusi quelli urbano o provenienti da impianti di trattamento di rifiuti industriali. Alla fine dell’utilizzo era prevista la restituzione alla collettività con un parco green con un valore aggiunto di potenziale attrattivo turistico.