di Beppe Giuliano
Parte prima: Stan Cullis, dal sangue old gold
In realtà gli inglesi a Berlino avrebbero potuto evitare il saluto. Ma la guerra tra Germania e Gran Bretagna sembrava all’epoca molto probabile. Poche settimane prima, i tedeschi avevano annesso l’Austria (il giocatore del Rapid Vienna Hans Pesser avrebbe fatto la sua prima comparsa nelle file della nuova nazionale durante la partita contro l’Inghilterra) e ora stavano programmando di occupare i Sudeti. Come recitava lo slogan del momento, “Una sola scintilla potrebbe dar fuoco all’Europa”. Se bastava un saluto per evitarlo, be’…
Uno dei primi a fare riemergere quella vecchia storiaccia, quella del saluto nazista dei giocatori della nazionale inglese, è stato Simon Kuper nel suo ‘Ajax, la squadra del ghetto’, definendola “il nadir della storia del calcio nazionale” di Albione.
Successe in una amichevole del maggio 1938, allo stadio olimpico di Berlino davanti a 110 mila spettatori (per la cronaca finì 6 a 3 per i “leoni”).
Quello che Kuper non racconta è che in realtà ci fu un giocatore che quel giorno si distinse.
Stan Cullis, anche se aveva all’epoca solo 21 anni, era già il capitano e il trascinatore dei Wolverhampton Wanderers, la squadra cui restò legato tutta la vita (“il suo sangue deve essere di color old gold” scrisse di lui Bill Shankly, che lo stimava tantissimo).
Quando i dirigenti della Football Association, un’ora prima dell’inizio della partita, dissero ai giocatori che avrebbero dovuto all’ingresso in campo fare il saluto nazista il giovane Cullis fu l’unico a dire chiaramente che non l’avrebbe fatto. Nelle loro biografie, scritte dopo la seconda guerra mondiale e quindi da un punto di vista influenzato dai fatti successivi, sia il grande Stanley Matthews sia il capitano Eddie Hapgood parlarono di “eterno motivo di vergogna” e di “peggior momento della mia vita”.
Stan Cullis, fortissimo “centre-half”, quel giorno non venne di conseguenza fatto giocare. Aveva una personalità fortissima (fin da giovane). Quando diventerà un allenatore di enorme successo i suoi giocatori lo stimavano ma quasi a nessuno piaceva.
Negli anni cinquanta, da manager del Wolverhampton, sarà protagonista di una partita celebratissima, nel 1954, quando i suoi sconfissero in un incontro notturno trasmesso in diretta dalla BBC (un evento allora), in rimonta da 0-2 a 3-2 la Honved di Puskás; Kocsis, Czibor e i tanti altri campioni che con la maglia dell’Ungheria avevano da poco umiliato l’Inghilterra 6-3 a Wembley e 7-1 a Budapest. Si dice che fu quella partita a spingere i vertici del calcio europeo a istituire la Coppa dei Campioni, da cui curiosamente la sua squadra, quando ebbe modo di partecipare, fu eliminata subito (il primo turno dell’edizione del 58-59 a opera dello Schalke) o quasi (una batosta nell’edizione successiva, 4-0 e 5-2 dal Barcellona in cui giocava anche un grande ex-Honved come Kocsis). Una beffa se si pensa che invece, in due successive amichevoli nella stagione 57-58 aveva battuto i detentori del trofeo, il Real Madrid.
La rimonta del secondo tempo contro la Honved, secondo molti resoconti, venne aiutata dall’allagamento del campo chiesto da Cullis (che alla fine proclamò i suoi “campioni del mondo”) nell’intervallo per impedire ai magiari di continuare nelle trame del loro “delizioso” fútbol.
Aveva una personalità di certo spiccata, Cullis, come dimostrò anche quel giorno di maggio a Berlino, con una scelta coraggiosa e di certo non facile, ma importante da fare (e ogni riferimento alla fastidiosa scena vista in questa settimana del saluto militare dei nazionali turchi è puramente voluto).
Nella seconda parte: Sindi, l’artista della finta