di Beppe Giuliano
Marita e Jarmila hanno entrambe più di sessant’anni oggi.
Non sono mai state particolarmente legate, come scrisse anni fa, nel racconto di una bella intervista Emanuela Audisio (per Repubblica): «Era la mia grande avversaria, ma non ci siamo mai frequentate. La Ddr e l’Urss erano il massimo dell’ antipatia, le loro atlete non salutavano, né stringevano mani. Avevano un solo imperativo: vincere».
L’intervistata era Jarmila, che di cognome fa Kratochvílová. Parlò con la giornalista nel 2011, in occasione del sessantesimo compleanno: “Sono solo una contadina ma non mi batteranno più” è il titolo dell’articolo.
“Ero e resto una ragazza di campagna. Sono nata a Golcuv Jenikov, non mi sono mai allontanata da qui, anche se ho avuto molte offerte. La mia è una famiglia contadina, siamo una cinquantina, tra genitori, zii, cugini, nipoti, c’è sempre qualcosa da fare, compreso lo sci di fondo. Mio padre era poliziotto, mia madre addetta in una cooperativa agricola. I muscoli me li sono fatti in campagna, non in palestra.” Jarmila, la ragazza di campagna, ha dovuto subire molte amarezze quando è diventata negli anni ottanta un’atleta molto nota.
La sua grande avversaria era una delle più grandi e vincenti atlete della DDR: Marita Koch.
Il record del mondo di Marita sui 400 metri piani ha più di trent’anni e Jarmila è con lei l’unica atleta ad avere corso il giro di pista in meno di 48 secondi.
Il record imbattuto dal 1985 della Koch, col tempo di 47.60, viene ovviamente spesso messo in discussione per le vicende di “doping di stato” così diffuse nella Germania comunista. Sul 47.99 del 1983 di Kratochvílová si sussurra, in modo persino più infamante (anche perché non suffragato da documenti che invece dagli archivi della ex-DDr sono emersi copiosi), quando si parla di genere delle atlete, come si è fatto parecchio ultimamente quando il mezzofondo ha visto dominare atlete con iperandrogenismo, a partire dalla Caster Semenya che infatti non ha potuto essere ai recenti mondiali di atletica leggera di Doha (una situazione che, ha dichiarato, “l’ha distrutta mentalmente e fisicamente”).
A loro abbiamo ripensato quando le ha avvicinate ai campionati del mondo di atletica leggera di Doha, appena conclusi, Salwa Eid Naser. La “ragazza cattiva”, come suggerisce l’immagine pubblica della ventunenne nata in Nigeria da padre bahreinita, ed è proprio quella del piccolo arcipelago nel golfo Persico la nazionalità scelta per gareggiare. Naser, che avevamo visto anni fa correre con l’hijab e ora invece sfoggia sull’instagram grandi tatuaggi e look aggressivi, ha vinto il giro di pista con uno straordinario 48,18 annichilendo la favorita Shaunae Miller-Uibo.
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Una prestazione, con netto miglioramento e apparentemente conseguita senza fatica, su cui c’è qualche sospetto (ne scrive una giornalista brava come Giulia Zonta) così come sospetti, legati alla recente pesante squalifica del suo allenatore (che era anche quello di Mo Farah) ci sono su un’altra delle imprese di Doha 2019, la doppietta (mai fatta prima da nessuno) sui 10.000 e sui 1500 metri di Sifan Hassan.
Speriamo siano sospetti infondati, perché quella dell’olandese che corre male ma con una forza da imbattibile è una storia umana troppo importante per essere sciupata da eventuali comportamenti fuorilegge.
Nata nella meravigliosa Etiopia, terra che conta un numero enorme di differenti gruppi etnici e che come certificato dalla recente concessione del Nobel per la Pace all’attuale primo ministro, viene da un lungo periodo di violenze, Sifan è una oromo (come tanti corridori, da Bikila alle sorelle Dibaba) rifugiata, giunta in Olanda quindicenne, undici anni fa, cittadina oranje dal 2013.
Una storia con qualche somiglianza a quella del nostro Yeman Crippa, da un orfanotrofio di Addis Abeba per colpa della guerra contro l’Eritrea all’adozione da parte di una famiglia trentina, vicenda raccontata anche dal documentario ‘Yema e Neka’ di Matteo Valsecchi (anche Neka, fratello di Yeman lui pure adottato dai Crippa, è mezzofondista).
Crippa ha corso a Doha una splendida finale dei 10.000 metri battendo un altro record storico, quello italiano detenuto da Salvatore Totó Antibo e che durava dal 1989.
Il siciliano che correva sempre, coraggiosamente, davanti a tutti, uno dei nostri più forti atleti degli anni ottanta, cioè dell’epoca d’oro per i nostri corridori di mezzofondo, con un palmares di tutto rilievo che avrebbe potuto essere pure maggiore non fosse stato per quel male presentatosi per la prima volta proprio in un’altra finale mondiale, quella di Tokyo 1991.
Una ottima prestazione quella di Crippa che con il quattrocentista Davide Re è probabilmente la più concreta speranza della nostra disastrata atletica in previsione di altre gare a Tokyo, quelle delle Olimpiadi del prossimo anno.
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