Non finisce l’Armonia [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Le cose belle hanno una durata limitata nel tempo.

Fanno fatica a nascere, a crescere e svilupparsi.

Fanno fatica perché qualsiasi altro elemento pare contrapporsi, ostacolare il procedere, remare in senso opposto.

Poi si concludono con velocità inversamente proporzionale all’attesa e al lavoro profuso da molte persone.

È accaduto anche quest’anno per la seconda edizione del Galà di Armonia.

Mesi di lavoro per costruire, pochi giorni per consumare.

È l’esatto contrario della nascita di un figlio per cui occorrono pochi minuti di godimento quindi nove mesi e poi una vita.

Siamo passati attraverso le parole del maestro liutaio che ci ha narrato come il legno prenda forma e poi vita; abbiamo ascoltato due medici, padre e figlia, parlare di medicina olistica come complementare alla medicina tradizionale; abbiamo ricordato Giulio Vallerga e la sua didattica, conosciuto Šostakóvič e la sua avanguardia, sorriso con il cabaret genovese, assistito a quattro concerti d’eccezione, gustato i piatti della cucina della tradizione.

Mi soffermo su “I ponti della Conoscenza”, momento di dialogo tra Ettore Grassano e Andrea Antonuccio (col suo doppio Santini).

In un’ora il pubblico è stato pervaso da una doppia magia: prima con il filo trasparente tra Ettore e Andrea, visibile a cuori attenti, poi attraverso il filo con l’uditorio, apprezzabile da tutti. Infatti le trentadue combinazioni del gioco finale – ispirato a Gustavo Adolfo Rol – sono numericamente pari solamente ai ponti costruiti con ciascuno di noi e ai livelli di stupore suscitato (i ponti della Conoscenza, appunto).

Durante la cena conclusiva, in trattoria eravamo ancora fermi a quel concetto di armonia, si parlava di molte cose ma si capiva che l’esperienza ci aveva segnato aprendoci la mente (il mistero della cultura).

Poi per fortuna due alpini – col gomito alzato – ci hanno riportato alla realtà gridando frasi sconnesse e ingiustificate.

Bene, rientriamo sulla terra.

Prima di partire per ritornare a casa, vicino ad Orvieto, Fernando Tavolaro davanti al profumato caffè del bar Ghersi mi dice: “Eravamo un lago, ora prosciugato e ridotto ad una pozzanghera. Il nostro compito è resistere. Avanti così”.

Procediamo, dunque.

Per ora grazie a tutti.