di Beppe Giuliano
Domani la squadra grigia giuocherà per la prima volta sul nuovo campo sportivo.
Per speciale interessamento di S.E. il Prefetto il campo è stato messo in condizioni di poter ospitare il pubblico per le partite di calcio. Tale campo, la cui capienza è di circa ventimila persone, è senza dubbio fra i migliori d’Italia. Il pubblico avrà modo domani di ammirare la imponente costruzione e ne resterà meravigliato: non essendo però completamente ultimato l’apertura di domani non avrà carattere ufficiale. La inaugurazione ufficiale avverrà il 28 ottobre in occasione della commemorazione della Marcia su Roma.
Così ‘Il Piccolo’ del 5 ottobre 1929 racconta la prima dell’Alessandria al Moccagatta, allora Littorio, che è anche la prima partita del campionato a girone unico appena istituito.
Il sorteggio ha un po’ scherzato con i grigi e propone come avversario la Roma pochi mesi dopo che “sul campo degli Orti, qualche grave incidente ha turbato il regolare andamento della partita: incidente, se si vuole, causato da un arbitraggio disgraziato, assolutamente insufficiente” (niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire leggendo il vecchio articolo).
La Roma è forte, e i suoi migliori sono Fulvio “Fuffo” Bernardini, quello che Brera battezzerà “dottor pedata”, e il futuro campione del mondo Ferraris IV.
Di buona famiglia, colto, laureato (in scienze economiche, all’epoca una vera rarità tra i “pedatori”) Bernardini era tornato a Roma, dove era un idolo, anche perché mal sopportava che all’Inter gli facesse ombra il talento straordinario del plebeo Peppino Meazza, curiosamente il grande compagno di casini e sale da biliardo del popolano Attilio Ferraris.
I grigi allenati da Carlo Carcano avevano perso Elvio Banchero, il colpo del mercato estivo col passaggio al Genoa. “Se l’attacco può di primo acchito, destare qualche preoccupazione” si legge sul Piccolo (e teniamo presente che si parla comunque di una linea offensiva in cui giostrano Renato Cattaneo, tuttora il massimo goleador grigio, e Giovanni Ferrari) “non così sarà del blocco difensivo che si presenta di una saldezza non comune”. Quel blocco difensivo era infatti imperniato su un altro campione del mondo come Bertolini, che tutti ricordiamo nelle fotografie d’epoca per il fazzoletto bianco indossato sulla fronte, e su Edoardo Avalle, “centro half” come si scriveva all’epoca e neo-capitano.
“Così impostata la squadra non potrà che giocare una ottima partita. Alla presenza del suo affezionato pubblico gli undici grigi si getteranno nella lotta a corpo perduto… Essi sono smaniosi di dimostrare al pubblico grigio ed all’Italia calcistica quanto la squadra grigia potrà fare in questo campionato… la vittoria rappresenta per essi ragione di orgoglio, di onore e di passione. Ed ora grigi tocca a voi. Tutta Alessandria sportiva vi attende alla prova con illimitata fiducia. E che la fortuna vi assista!”
Non si risparmiava certo sulla retorica.
E il resoconto pubblicato sulla successiva edizione del Piccolo parla di “magnifica affermazione dei grigi sulla Roma”. Finì infatti 3-1 e l’onore (imperituro si sarebbe scritto allora) di segnare il primo gol nel nuovo stadio fu di Umberto Alessio che avevamo acquistato dal Casale e che in maglia grigia registrò in tutto 4 presenze e quell’unica, storica, segnatura.
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A giudicare dalle medaglie vinte ai giochi olimpici negli anni venti, gli sport trainanti in Italia in quel decennio, con il “giuoco” del calcio che stava acquistando rapidamente grande popolarità, erano ancora quelli cavallereschi e quelli di fatica.
Anversa 1920 fu l’Olimpiade del marciatore Ugo Frigerio che inaugurò, giovanissimo, una sequenza di successi che proseguì per tutto il decennio e soprattutto di Nedo Nadi, lo schermidore livornese che vinse cinque medaglie d’oro.
Nedo Nadi era perfino troppo perfetto. Bello, elegantissimo, un campione naturale che sapeva essere serissimo nella preparazione sportiva come nella vita, e se questo non bastasse pure un eroe di guerra: ufficiale nella prima guerra mondiale non aveva esitato, rischiando anche pesanti conseguenze, a rendere onore a un capitano dell’esercito austriaco appena catturato, riconoscendo un valido avversario affrontato (e con ogni probabilità già battuto) sulla pedana. Fino alla morte prematura che il destino riserva benevolmente agli eroi.
Non eravamo ancora nuotatori, a fare incetta di medaglie sia a Parigi 1924 sia a Amsterdam 1928 fu Johnny Weismuller, poi il più famoso dei Tarzan cinematografici, una notorietà che si è mantenuta almeno fino agli anni settanta, di solito insieme alla Jane interpretata da Maureen O’Sullivan, attrice e mamma tra l’altro di Mia Farrow e della Prudence che si guadagnerà una canzone dei Beatles, scritta da John durante la famosa permanenza in India.
Una vita romanzesca quella di Weismuller, dalla nascita a Timisoara e successiva emigrazione in America alle piscine dell’Illinois frequentate anche per combattere una infantile malattia alla “dorata” Hollywood al suo apice negli anni trenta, con tanto di matrimonio con una delle dive più conturbanti di allora, la Lupe Vélez sulla cui giovane morte inflitta col Seconal (quando i due erano già divorziati da anni) si scrissero pagine e pagine di gossip.
Eravamo ciclisti negli anni venti, e in quel periodo completò il suo record (che reggerà fino all’arrivo del cannibale Eddy Merckx) di sei Sanremo vinte l’omino di Novi Costante Girardengo, il primo “campionissimo”. Mentre Alfredo Binda già iniziava a dominare tanto da dover essere pagato per non partecipare al Giro d’Italia 1930.
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I grigi lasciavano dunque il campo degli Orti, cioè la “fabbrica del fango”. Ne scrive molto bene, da giornalista e appassionata dei grigi qual è, Mimma Caligaris: “Il campo degli Orti sorge sul ‘sedime Tomalini’, un’area compresa tra via Vinzaglio, via Donizetti, via Poligonia e viale Milite Ignoto, non tanto distante dallo stadio del Littorio, poi ‘Moccagatta’, che verrà. Per un decennio, è l’uomo in più dell’Alessandria e il nemico degli avversari. Anche Giuseppe Meazza ricordava, quasi come un incubo quel fondo fangoso, che quasi imprigionava piedi e caviglie, soprattutto a chi non era abituato, e giocare era impossibile. La temono tutti la ‘fabbrica del fango’, dove, invece, i Grigi quasi ballano. Per molti è anche il ‘pulé’, il ‘pollaio’, forse anche per via delle tribune e degli spogliatoi interamente in legno. Quel legno che si trasforma, durante le partite, in uno strumento ‘musicale’ insolito, originale e di sicuro effetto, a disposizione dei tifosi, che lo fanno ‘suonare’, battendo forte le scarpe sugli assi. Sul muro, sopra gli spogliatoi, la scritta ‘Birra Alessandria’, che ancora oggi si può scorgere, in parte, da via Donizetti” (il testo è ripreso dal volume ‘Grigi100’ e tutte le virgole presenti sono originali dell’autrice).
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Il campionato del 1929-30 fu il primo a girone unico. Era un fútbol in cui il divario tra le squadre del nord e quelle del sud era davvero notevole, così come era notevole tra quelle del nord-ovest e del nord-est, e leggere oggi la graduatoria dei titoli vinti dà l’idea di quanto diversa fosse dall’odierna quell’era romantica. La squadra più titolata era infatti il Genoa con nove davanti alla Pro Vercelli con sette, poi il Milan a tre mentre a due campionati vinti Inter e Juventus erano appena state raggiunte dal Bologna.
Passammo al girone unico imitando quelle che in quel momento erano le grandi rivali della nostra nazionale, l’Austria e l’Ungheria, e tra le diciotto iscritte c’era l’Alessandria, giunta terza nel girone A della divisione nazionale 1928-29, l’ultimo campionato giocato sul campo degli Orti. In serie A con i grigi tra le squadre dello storico quadrilatero solo la Pro Vercelli (che finirà la stagione dietro di noi ma che al futuro Moccagatta verrà a vincere) mentre erano retrocesse in B sia il Casale che il Novara.
Nel nuovo stadio battiamo la Juventus e il Milan mentre qui passa la Ambrosiana, come il regime aveva ribattezzato l’Internazionale nella contrarietà della borghesia milanese. I nerazzurri concluderanno la stagione vincendo il primo campionato a girone unico, trascinati dai 31 gol di Peppino Meazza e guidati dall’ungherese Árpád Weisz, l’ex calciatore e allenatore grigio di cui per lunghi anni si perderà memoria, fino al bellissimo ‘Dallo scudetto ad Auschwitz’ di Matteo Marani che ne ha ricostruito, mirabilmente, la drammatica vicenda umana.
La foto del Moccagatta ‘Littorio’ è tratta da Museo Grigio.