a cura di Angelo Marenzana
Si può assistere impotenti alla morte verso cui si sta avviando il pianeta Terra a causa dei disastri climatici e dell’indifferenza dei governi di tutto il mondo? Ci si può preparare ad una catastrofe tenuta nascosta con l’intenzione, una volta spazzata via la specie umana, di provare a far rinascere una nuova civiltà? Sono alcuni degli interrogativi che si pone Adriano Petta nel suo recente romanzo pubblicato da Oltre edizioni (nella collana I Gialli Oltre) Fuga dall’apocalisse.
L’ospite di AlLibri di oggi è Adriano Petta, abruzzese, classe 1945, studioso di storia della scienza e medievalista che ha dedicato parte degli ultimi vent’anni alle ricerche per i suoi romanzi storici. Ha tradotto dal castigliano il racconto di Clarín La duchessa del trionfo (EDIS, 1995) e negli ultimi anni è stato collaboratore del quotidiano Il Manifesto con articoli legati soprattutto al Medioevo e all’Inquisizione.
Fuga dall’apocalisse è un romanzo ambientato in un futuro prossimo a venire, quando (venerdì 13 aprile 2029) l’astrofisica italiana Anja Vasselli, assieme alla figlia Neva, al fisico tedesco del CERN di Ginevra Erich Pastor e al figlio di quest’ultimo (Jan) assistono, nel laboratorio dell’ingegnere Massimo Cerami, al passaggio dell’asteroide Apophis che sta sfiorando la Terra sull’orbita geostazionaria. Ci sono molte possibilità che ne venga attratto e che dopo 7 anni possa cadere sul nostro pianeta. Tutto sembra procedere per il meglio, l’asteroide prosegue nella sua rotta fin quando le immagini che giungono dal satellite spaziale Chandra III rivelano la presenza di un altro asteroide di eccezionale magnitudine luminosa. Massimo Cerami confessa un segreto: la NASA sta tentando un esperimento, bombardare un piccolissimo asteroide di pochi metri di diametro con una vernice bianca per provare a farlo deviare dalla Terra con la repulsione della luce del Sole.
Solo grazie a un ultimo barlume di speranza si cerca di salvare l’umanità intera stretta tra gli oscuri progetti catastofici che legano scienza e potere fino a far precipitare la situazione.
Buona lettura.
(VI – giovedì 19 aprile 2029)
Erich è pensieroso, scuote il capo: “La situazione sta precipitando. Etienne è stato chiamato a New York a un’assemblea straordinaria delle Nazioni Unite: sicuramente gli comunicheranno che questo tunnel diventerà un obiettivo strategico. Qui verranno a installarsi politici e militari.” Volto traboccante d’amarezza. “Noi da qui dovremo andarcene. Al massimo, lunedì. Per cui non abbiamo più tempo per fare test e studiare i risultati. L’unica cosa che ci è concessa nei prossimi tre giorni è… sederci lì sotto, all’entrata di Alice, e dare parecchia potenza all’impianto.”
Mi sento in dovere d’intervenire: “Laure, Ramachandra… è una possibilità, nient’altro che una possibilità che ci si offre. E anche se può sembrare assurdo, noi possiamo essere considerati addirittura dei privilegiati.”
È Laure a parlare quasi con sé stessa: “Perché questi esperimenti riescono a inghiottire gli esseri viventi… ma non la materia?”
“Usiamo il termine trasportare… invece che inghiottire!” Erich si è sforzato di mettere un tono scherzoso nella sua voce. “Questo dovevamo studiare, Laure! Ma non abbiamo tempo a disposizione.” Poi, rivolgendosi a Ramachandra: “Le vecchie turbine a gasolio dei gruppi elettrogeni funzionano ancora?”
“Certo. Ma i serbatoi sono quasi vuoti.”
“Che autonomia potrebbero permetterci in caso di emergenza?”
“Poche ore, Erich, direi quattro-cinque, non di più.” Occhi spenti, smarriti.
Erich fissa intensamente i nostri amici: “Domani mattina portiamo i nostri ragazzi con noi. Ci sarà anche Monique Walser e una nostra amica, Xeda. Faremo le prove generali. Voi due ci sarete?”
Entrambi ci regalano il più amaro dei sorrisi.
“Erich… Monique… per l’amor di dio: non fate così! Se avete qualcosa da dire, se avete dei dubbi, ora dovete farlo! Ora o mai più!” E protendo le mie mani, afferrando le loro braccia, cercando di scuoterli dal cupo torpore in cui sembrano precipitati.
È la voce cavernosa di Erich a rompere il silenzio: “Se io fossi l’unico abitante di questo pianeta… non avrei tentennamenti, paure.” Volge il capo verso la sala enorme che si estende dietro di noi. “Ma è quando le mie scelte, le mie decisioni coinvolgono altri esseri umani, allora la faccenda è diversa… totalmente diversa.”
Monique accenna a parlare: “Jan e Neva sono troppo giovani per poter prendere da soli decisioni così grandi.”
La musica è terribile, drammatica, peggiora le condizioni del nostro povero animo già squassato da questa situazione assurda.
“Erich… Monique… morire dobbiamo morire… tutti! Prima o poi! Ma quello a cui assisteremo fra pochi giorni, non sarà la nostra morte, ma la morte di ogni creatura vivente, ogni uomo, ogni animale, ogni pianta!” E tremavo, e urlavo. “Ma tutto questo accadrà in un mondo sconvolto dalla violenza, senza più luce del sole, senza acqua, senza cibo, si scatenerà la lotta per una impossibile sopravvivenza… che ci porterà a scannarci! Gli uni contro gli altri! E tutto questo farà venire a galla il peggio degli esseri umani! E la bestia peggiore che è in noi, e le peggiori bestie della razza umana, faranno ciò che vorranno! Di noi, dei nostri figli! Alla fine ci mangeremo vivi!” Cerco gli occhi di Erich, mi afferro con disperazione al suo braccio: “Tutto questo io non permetterò che mia figlia lo veda e lo subisca. Se non ce ne andremo con l’acceleratore, prima ammazzo lei e poi mi ammazzo io.” Mentre pronuncio queste parole, ho sentito la mia voce da accorata diventare ferma, inflessibile.
Dev’essere stata questa mia fermezza a scuotere il mio compagno: “Hai ragione, Anja. Vivere qualche mese in più, braccati dal peggio della nostra specie che ci daranno la caccia per mangiarci vivi… No, neanch’io permetterò che questo accada a mio figlio.” Nei suoi occhi buoni torna quella luce determinata che una volta non lo abbandonava mai.
Finalmente gli occhi azzurri di Monique ci cercano: “Per me è tutto più facile, devo decidere per me sola.” Riesce persino a sorridere. “Credo che Anja abbia ragione: preferisco una bella scarica di protoni… che l’orrore che ci aspetta.” La voce è tornata limpida, solo in fondo agli occhi le si legge un velo di dolore che non riesce a cancellare in alcun modo.
Erich cerca di reagire all’amarezza che ci sta asfissiando: “Il gatto e il grillo ce l’hanno fatta, perdio!” Beve senza assaporare il caffè. “Perché noi non dovremmo riuscirci?”
Monique torna a rifugiarsi con lo sguardo nella vetrata che dà sul lago, seguendo l’altissimo getto d’acqua: “Non vorrei spegnere il tuo entusiasmo, Erich, ma ho paura che se il misuratore che hai costruito è riuscito a localizzarli… la dimensione in cui sono andati a finire è sempre questa…” Poi torna a cercare lo sguardo del mio compagno, il bellissimo viso composto nella posa dolente che ormai non l’abbandona più, in attesa.
Erich tarda a rispondere: “Gli avvenimenti si sono succeduti con una tale rapidità, che sono saltati tutti i classici schemi della ricerca scientifica. Ormai non c’è tempo per programmare i test: tutto quello che possiamo fare è lanciare delle collisioni a potenze sempre più grandi… e stare a vedere che succede.” Mi cerca una mano, me la stringe, continuando a fissare intensamente Monique.
“Non perdiamo altro tempo, allora.” Sento la mia voce sempre più determinata, come la forza disperata a cui mi sto aggrappando.
Raggiungiamo Saint Genis, ci dirigiamo verso l’entrata principale, Erich rallenta per salutare il vigile di turno – Paul Tournier, una persona affabile che presta servizio al CERN da oltre vent’anni… ma la sbarra davanti a noi non si alza.
Erich abbassa il finestrino, la stessa cosa fa il vigile nel suo gabbiotto: “Succede qualcosa, Paul?”
L’uomo ha una specie di sorriso imbarazzato sul volto: “Non se la prenda con me, ingegnere, io non c’entro… ma tutta la vigilanza ha avuto l’ordine di lasciar passare soltanto gli addetti ai lavori…” Apre le braccia, sinceramente addolorato. “Per cui posso far entrare soltanto lei e madame Vasselli. Mi dispiace.”
“Ma il permesso per queste altre persone me lo ha dato Etienne Blanchard in persona!” Erich non si arrende tanto facilmente. “Monique Walser e la sua assistente Xeda lavorano all’osservatorio di Saint Querge e collaborano con noi, e gli altri sono i nostri figli in visita di studio, approfittando che il personale è quasi tutto in ferie!” Scuote la testa incredulo. “Paul, più tardi ti farò parlare direttamente col signor Blanchard… il quale, in sua assenza, viene sostituito in tutto e per tutto dal sottoscritto. Non volermene, Paul, ma in questo momento io svolgo le funzioni di direttore di tutto il CERN.”
L’uomo è rosso in volto, tarda a rispondere, si fa forza: “Lo so perfettamente, ingegnere, e sono addolorato di dover far rispettare quest’ordine. Ma l’ho ricevuto dal mio comando, che a sua volta lo ha avuto dal ministro della difesa francese. Il CERN non è più un centro scientifico, ingegnere… ma una base militare. Domani, massimo dopodomani, verranno direttamente i militari a presidiarlo…”
A questo punto Erich chiede all’uomo se gli hanno rivelato il motivo, se sa cosa sta succedendo… ma il vigile scuote la testa sinceramente sconsolato. Erich innesta la retromarcia e torna indietro verso Saint Genis. Poco dopo si ferma in una piazzola di emergenza.
Attraverso il videotelefono installato nel pulmino del CERN, riesce a collegarsi con lo smartphone di Ramachandra. Dal volto dell’ingegnere indiano traspare una viva preoccupazione: “Erich, il vigile ci ha detto che presto arriveranno i militari a presidiare tutto il CERN.”
“Laure è lì con te?”
“Sì… Ma tu dove sei? Che aspettate a raggiungerci?”
“Il vigile ha avuto ordine di far entrare solo gli addetti ai lavori. Perciò adesso li riaccompagno a casa… a San Querge, e quando io e Anja torniamo, tu e Laure ci aspettate direttamente alla palazzina dei gruppi elettrogeni… capito?”
Ramachandra tarda pochi secondi a capire: “Benissimo, noi cominciamo ad avviarci già, così prenderemo visione di tutto il lavoro che inizieremo lunedì. A più tardi.” Sullo schermo del videotelefono gli occhi neri dell’uomo emanano una strana intensità.
Erich lo saluta e spegne l’apparecchio. Poi si gira e dice a tutti di tirare – da sotto i sedili – la tuta gialla e il casco: “Sono di un materiale particolare, elastico, che si adattano a qualunque corporatura: indossate tutto e subito.”
Mentre noi estraiamo tute e caschi da sotto i sedili e incominciamo a indossarli, Erich ci mette al corrente del suo piano: “Ramachandra ha capito al volo che c’è un solo posto accessibile al CERN non vigilato, ed è quello accanto all’edificio dei gruppi elettrogeni… ovvero la cabina di alta tensione. Siamo in pochissimi ad avere i codici di accesso. Ma non basta: una volta entrati, ci vuole uno dall’interno che sblocchi l’altra entrata con un altro codice d’accesso.” Aiuta Jan seduto dietro di lui a infilarsi la tuta. “Lui adesso ci aspetta là. Una volta che saremo entrati, ve ne andrete tutti nella caverna di Alice, nel laboratorio. Io e Anja torneremo indietro, entreremo regolarmente per non insospettire il vigile, e vi raggiungeremo. Pronti?”
Aiuto Monique a ultimare l’operazione, finisco di sistemarmi la mia tuta, Neva e Xeda sono già pronte, Erich riparte, fa un lungo giro attorno agli edifici del CERN sino a imboccare una stradina di campagna. Poco dopo ci fermiamo: Erich si raccomanda di metterci i caschi bianchi in testa. Scendiamo, ci dirigiamo verso una costruzione color mattone dove arrivano i cavi dell’alta tensione.
C’è una porticina metallica, con un lettore numerico e un lettore ottico: Erich inserisce la sua scheda, poi – una volta che il led rosso è diventato giallo – digita le otto cifre in codice: il led cambia in verde, si sente il rumore della serratura che scatta… e noi tutti c’infiliamo nella porticina. Attraversiamo un corridoio stretto, infine sbuchiamo in una sala zeppa di grossi quadri elettrici… dove ci stanno aspettando Laure e Ramachandra.
È Erich a dirigere le operazioni: “Non c’è tempo da perdere! Andate al laboratorio di Alice. Io e Anja torniamo indietro ed entriamo regolarmente. Ci vediamo fra poco.”
Sono io a intromettermi: “Ramachandra, se dovesse esserci un black out durante la mattinata… le turbine sono pronte a partire?”
“Abbiamo carburante per sei ore di autonomia. Non di più.”
“Erich, che accadrebbe se ci fosse un black out… nel preciso momento in cui stiamo facendo un esperimento?” Lo fisso con apprensione, lui è attentissimo.
“Potrebbe accadere di tutto, Anja, ma la cosa più probabile è che potrebbe verificarsi un danno all’acceleratore…” E fissa Ramachandra e Laure per avere una loro conferma.
“I nostri esperimenti dureranno poco. E allora, non sarebbe più sicuro effettuarli con l’alimentazione diretta dei gruppi elettrogeni… escludendo noi la rete?”
L’amico indiano sa che è lui l’esperto, che è lui a dover decidere. “Anja ha ragione: sarebbe più sicuro… anche perché piove e ci sono forti probabilità di black out. Ma le turbine non sono affidabili al cento per cento: non a caso a partire da lunedì dovremmo sostituirle.” E sorride amaramente.
“Comunque tutte le manovre si possono fare dalla consolle del laboratorio di Alice: è così?” E chiedo conferma a Ramachandra.
Lui annuisce, assicurandomi che possiamo deciderlo e attuarlo in qualunque momento.
Non ce la faccio a trattenere la domanda che da tempo volevo fare all’ingegnere indiano: “Ce la farebbero i cavi a sopportare la somma delle alimentazioni?”
Mi fissa spaventato. Aggrotta la fronte: “Ottocento megawatt? I cavi sì che ce la farebbero, sono costruiti per portarne fino a mille… Ma a che diavolo pensi, Anja?”
“Dalla consolle di Alice… è possibile effettuare una manovra che unisca i quattrocento megawatt delle turbine… e i quattrocento megawatt della rete? È possibile fare questo, Ramachandra? Rispondimi, ti prego…!” La mia voce dev’essere disperata come il mio cuore.