(note su 11 incubi dell’immaginario contemporaneo italiano) Prima parte
di Danilo Arona
Malombra è un termine doppiamente interessante, Primo, perché il suo etimo di origine senza dubbio latina si presta a più di un’interpretazione; secondo, è di genere femminile, ergo la Malombra è femmina, donna. Ma procediamo per ordine.
Una veloce e superficiale ricerca è in grado di stabilire che la parola è composta dall’aggettivo “mala” e dalla parola “umbra”, quest’ultima alquanto polisemica, con varianti che vanno dal mondo delle tenebre alla forme spettrali, dai fantasmi della psiche al regno dei morti. L’aggettivo “malus” (cattivo, funesto, pericoloso e sfavorevole nel senso di “presagio”) accentua, va da sé, in senso negativo l’oscurità filosofica di “umbra”.
Le due parole, saldate in una sola (Malumbra) soprattutto in diverse zone dell’Italia meridionale, si prestano così a una gamma piuttosto vasta di applicazioni, pur restando sempre nel territorio, non proprio un orticello, delle mille paure raccontate dal folclore popolare.
Qualche esempio. Nello storico Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino, dell’abate Michele Pasqualino da Palermo (Accademia della Crusca – Tomo Terzo, Palermo, Reale Stamperia, 1799), la Malumbra viene definita nei termini latini di Larva, Umbra, Spectrum, a indicare per l’appunto un fantasma “larveus”, in buona sostanza sospeso tra il visibile e l’invisibile (perciò non visibile a tutti) e di cattivo augurio per chi lo vede:«Per metafora si dice d’uomo e di cosa di cui ci sia noiosa la vita. Malumbrusu, malurioso, malagurioso, abominandus, abominevole, detestabile, di cattivo augurio».
Ancora in Sicilia: dalla Biblioteca delle Tradizioni Popolari Siciliane, nel Volume 4° (Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, raccolti e descritti da Giuseppe Pitrà, Libreria L.Pedone Lauriel, Palermo, 1889), all’interno del compendio di “Esseri soprannaturali e maravigliosi tutte le credenze, le superstizioni e le pratiche da nie udite e raccolte circa le anime de’ corpi decollati, gli spiriti e gli spiritati, i morti, il diavolo, le streghe e le stregherie, le fate, le donne di fuora, la sirena del mare, i nani, i mercanti, i cerauli, il lupo mannaro ed altre entità mitologiche che la tradizione e la leggenda del popolo siciliano han serbate ano a noi”, leggiamo: «Nelle leggende poetiche le apparizioni di fantasmi e di spettri son la cosa più naturale del mondo. Nella storia di Donna Pina eh Carini, per esempio ad una figlia disonesta appare l’ombra del padre morto, che la maledice per l’onta inflitta al casato; di che essa muore e va allo inferno. Nel Lionziu di Monreale un teschio pestato da Leonzio, in forma di malombra viene al palazzo di lui a convito, lungo pauroso, terribile e lo porta via a’rinferno», e ancora che «Di giorno la strega non esce mai; a mezzanotte in punto appare, ed è una malombra. Nociva ai bambini sino al quarantanovesimo giorno della loro nascita, essa li lacera, li guasta fino a che non abbiano ricevuto il battesimo».
Si può ancora andare avanti, gli esempi non mancano. In Basilicata la malombra è lo spirito della casa, che, secondo la credenza, durante la notte, disturba il sonno di una determinata persona, sempre la stessa, agendo in modo alquanto dispettoso, identificandosi ora con il poltergeist ora con la Vecchia Strega che ti cavalca il plesso solare mentre stai dormendo: questa malombra, (che sempre in altre zone della Lucania è detta “monachicchio” e in Puglia “scazzamuriello”) non sarebbe altro che “l’ombra” di una persona ignara, o di un animale che, per caso, si è trovato a passare vicino al luogo dove si è messa la prima pietra della casa. In questo modo l’ombra murata con la costruzione abiterà per sempre quella dimora, diventandone homigon, ovvero l’ancestrale Spirito del Luogo.
In Irpinia “a malombra” offre una sequenza di analogie esplicative con “E spirite, A meuza, O Malocchio, Uno Mpont a luna, A Lacerta a ddoie core” e diviene una delle tante maschere con cui decodificare, ma non troppo, i misteri del folklore. Nel tarantino per “malombra” si intende una figura mascherata da fantasma, con tanto di lenzuolo, che si aggira nottetempo spaventando occasionali passanti, ma si crede pure con notevole senso dell’umorismo che certe “malombre” incontrate di notte non siano che amanti sorpresi nell’esercizio delle proprie “funzioni” dal legittimo titolare del talamo coniugale (leggi marito, “curnut” o “magghiat” (il magghiat è il maschio della pecora) e costretti fuggire di corsa coprendosi con il lenzuolo a portata di mano, non avendo il tempo di rivestirsi adeguatamente. Peraltro, sempre al sud, la frase “ridursi a una malombra” la si dice a proposito di persona che dimagrisce in modo impressionante.
Per non scantonare ulteriormente, ci fermiamo qui. Ma mi sembra chiaro che “malombra” sia proprio una parola-magazzino che esprime la sua potenzialità referenziale in senso prettamente junghiano, ovvero per definizione quella parte di noi che ci è nascosta, ovvero il Lato Oscuro, la parte interiore e inconscia della personalità. Come ricorda Maria Rita Albanesi (1), “l’Ombra, più primitiva dell’Io e più vicina al mondo degli istinti, contiene tutto ciò che è giudicato negativo dalla coscienza, comprese le potenzialità che, qualora vengano integrate dall’Io, consentirebbero il suo rafforzamento e il suo arricchimento”. Se il significato di Ombra si trova quindi a essere accentuato da “Mala”, ecco apparire sullo sfondo di queste notazioni l’archetipo della Donna Scura, femmina fantasmatica e sensazione obnubilante legata al mondo delle tenebre, di pari pertinenza della psicoanalisi e dei racconti fantastici del folklore territoriale.
Bene ha fatto allora l’amico Nicola Lombardi a titolare così una recente antologia edita da Dunwich cui ho avuto l’onore di partecipare. E ancora meglio Nicola la racconta così: «Il titolo è arrivato come via di mezzo fra studio e folgorazione, nel senso che volevo sicuramente che comparisse la parola ‘ombre’, e la volontà di riallacciarmi a certa tradizione letteraria italiana ha fatto emergere spontaneamente il classico di Fogazzaro. Così la parola “malombre” si è partorita da sé, senza collegamenti consapevoli con il concetto di ‘malombra’ legato al folclore nostrano». Va da sé, Nicola sancisce – confessando l’inconsapevolezza dell’ispirazione… – il trionfo della psicanalisi, ma il riferimento al classico di Antonio Fogazzaro è ancor più illuminante.
Non può essere qui la sede per approfondire l’argomento, ma il romanzo Malombra (e con lui le tre versioni cinematografiche) proietta al suo interno e nella mente dei lettori una febbrile esigenza di richiamare l’attenzione sulla psicologia del profondo, identificando in questa non solo una dimensione essenziale del personaggio, ma l’origine stessa della creazione artistica. Come ricorda Federica Adriano (2), “Le strutture e i tòpoi del noir e della narrazione metapsichica, già esaltati dal Fogazzaro, si riflettono nell’architettura del romanzo: le premonizioni oniriche, le rivelazioni medianiche, le parole scritte col sangue, l’animazione di oggetti, le allucinazioni e i delirii, alimentando una continua suspense preannunciano le catastrofi. E l’enigmatica, nerissima, demonica Marina, con le sue chiome corvine e lucenti, le iridi azzurre e lampeggianti come diamanti, le mani bianchissime e gelide, con la sua risata satanica, la sua interiorità misteriosa, ripete il tipo romantico-decadente della beauté funeste. Il romanzo Malombra, pubblicato la prima volta nel 1881, compiva un passo importante, anticipando direttamente la svolta psicanalitica: lo spiritismo, la metempsicosi, gli elementi fantastici perdono via via di pregnanza oggettiva, per spostarsi all’interno delle dinamiche psicologiche del personaggio; gli elementi ripresi dalla tradizione del romanzo fantastico e del noir tendono a essere riattualizzati come sintomi d’una psicologia del profondo.”
Qui ci fermiamo per annunciare che entreremo nello specifico dell’antologia nella prossima puntata de Il Superstite. Mi pare chiaro però che con tanti e pesanti presupposti culturali Malombre a cura di Nicola Lombardi non sia affatto un casuale affastellamento di racconti ma una minuziosa e coerente raccolta di sguardi differenti ma sinergici gettati nelle profondità del Lato Oscuro, territorio sempre troppo citato ma nel quale pochissimi dimostrano di essere in grado di entrarci sul serio. Questi 10 autori – 11 con me, ma non sta bene autocitarmi – non bluffano. Ma ci torniamo…
(1) La malattia come scudo – La paura sulla pelle, in Riza Psicosomatica n° 63, Maggio 1986, Milano.
(2) Federica Adriano, Alienazione, nevrosi e follia: esiti della ricerca scientifica nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali; Università degli Studi di Sassari, 2010.