Il sangue dei dannati di Jason Hunter [ALlibri]

A cura di Angelo Marenzana

 

 

Chi è veramente Jason Hunter? Proviamo a capirlo attraverso i romanzi pubblicati dalle Edizioni della Goccia di Davide Indalezio. Forse uno scrittore nato a metà degli anni sessanta del secolo scorso, magari dalle parti di Birmingham e che pare aver collaborato con alcuni servizi segreti europei. Esperienza questa che gli ha permesso di apprenderne tecniche e strategie per rendere più reali i generi letterari in cui li si specchia, action, spy-stories, intrighi internazionali. Potrebbe anche essere lo pseudonimo utilizzato da Franco Luparia, classe 1964, nato a Casale Monferrato, dove attualmente risiede e svolge la sua attività di Agente di Commercio e catturato dalla scrittura dopo aver dato libero sfogo alla grande passione per la lettura e la visione di classici d’avventura tanto da essere spronato a cercare la propria dimensione di narratore in tali nicchie.

Wildguy, il personaggio creato da Hunter-Luparia ha esordito su Segretissimo Mondadori a maggio 2015, in un racconto breve dal titolo Diamanti insanguinati. Con Vendetta senza fine nel 2016 e Protocollo Dupuy nel 2017, proseguono le vicende in una serie di romanzi di più ampio respiro. entrambi editi da Edizioni della Goccia di Casale Monferrato.

Il sangue dei dannati è invece in libreria da questo mese di luglio e rappresenta l’ulteriore evoluzione della vita del personaggio fantastico.

Qui si racconta di Franco Senesi, l’Agente noto come Wildguy, che dopo anni di esilio auto imposto rientra a casa intenzionato a riorganizzare la propria vita. Ma la speranza è destinata a svanire travolta dall’insorgere di tragici eventi. In Belgio una figura solitaria striscia nella notte di Anversa intenzionata a versare il sangue di Koeenrad Bos, noto imprenditore locale. L’attentato è improvviso e violento, ma l’obiettivo riesce a uscirne vivo e ben intenzionato a scoprire chi lo abbia messo al centro del mirino. Intanto, nelle acque del Golfo di Guinea un mercantile viene arrembato da una ciurma di moderni pirati. Gli assalitori rubano parte del carico per poi sparire nel nulla e nel resto dell’Africa da tempo squadre di predoni senza identità assaltano carovane di aiuti umanitari organizzate da ONG occidentali. Un singolare uomo di Chiesa riesce per miracolo a sfuggire all’ultima cruenta scorreria e a far perdere le proprie tracce.

È in questo contesto che il Comitatio di Intelligence e Difesa Europeo (CIDE) scende in campo: un contatto misterioso richiede espressamente l’intervento di Wildguy. Spetterà così a lui e alla sua ritrovata squadra di fuoco aprire un fronte multiplo di indagine al fine di gettare luce su vicende che sembrerebbero accomunate da un unico, mortale disegno criminale.

Buona lettura.

 

 

Il sangue dei dannati

 

di Jason Hunter

 

 

Antwerp, Fiandre, Belgio, il giorno seguente.

La casa sicura si trovava in Vlaamsekai, strada anonima che tagliava in due uno dei quartieri meno appariscenti di Anversa. All’esterno la palazzina di tre piani si presentava dimessa, con mura in parte scrostate o altrimenti imbrattate da graffiti senza nessuna velleità artistica. L’interno era di tutt’altro genere: ambienti ristrutturati di recente, dotati di ogni comodità a dispetto del minimalismo degli arredi, e di un sofisticato impianto di sorveglianza elettronica. Senesi e Chevalier vi si erano insediati in tarda mattinata. Come anticipato da Ziegler, in un comparto segreto dietro al guardaroba nella camera del colonnello, accessibile solo tramite la scansione di retine e impronte, trovarono un vero e proprio arsenale. Trascorsero un pomeriggio di tutto riposo in vista dell’appuntamento serale.

Seguendo le istruzioni ricevute Ziegler aveva fatto pubblicare sul sito eBay.be l’annuncio riguardante la vendita della collezione completa de Le avventure di Bernard Prince. La notifica sarebbe sparita dopo le ventuno: per quell’ora l’ingranaggio sarebbe stato in moto. Il CIDE li aveva dotati di una Volvo V90 T6 ma Senesi preferì lasciarla nel garage sotterraneo. Ben prima dell’orario concordato lasciò la casa per dedicarsi a una lunga passeggiata, necessaria a familiarizzare con la planimetria locale.

Anversa si rivelava a ogni passo una città a misura d’uomo e dalle mille attrattive. Quando Wildguy iniziò a percorrere le strade del quartiere ebraico avvertì una vibrazione che, partita dalla base della schiena, era risalita in un attimo fino alla nuca. Haragei si stava destando per comunicargli qualcosa e lui non prendeva mai sottogamba gli avvertimenti lanciati da quella sorta di sesto senso. Che qualcuno gli fosse alle costole? Eppure, riflettè tentando di tranquillizzarsi, non avrebbero nemmeno dovuto esisterne i presupposti. Si unì al flusso di persone che percorrevano le viuzze del più importante shtetl d’Europa. La folla era composta per lo più da uomini abbigliati in nero, con lunghi pastrani e copricapo jewish dai quali fuoriuscivano i tradizionali payot a boccoli. Le donne indossavano vestiti scuri che arrivavano fino a terra e rimandavano a una moda in uso un paio di secoli prima. I loro capelli erano nascosti da severe cuffie di lana o da spessi foulard. Dai negozi di alimentari fuoriuscivano aromi esotici e di cibo kosher. Le varie attività erano segnalate in doppia lingua, fiamminga e yiddish. Senesi bighellonava con le mani in tasca, all’apparenza osservando oggetti di artigianato tipico, libri e articoli di sartoria. La sua coda doveva essere un professionista poiché ci mise parecchio a scovarla, riflessa infine dalla vetrina di una bottega. Visualizzò l’uomo nel momento in cui cercava di defilarsi dietro l’angolo di una stretta via laterale: gli parve piuttosto alto, senza dubbio dal fisico prestante. Agghindato in jeans, giubbotto bomber e zuccotto di lana, risaltava in mezzo a quella uniforme moltitudine eppure era riuscito a celarsi ai suoi occhi a lungo. Il livello di allarme crebbe in Wildguy. Senesi accese una sigaretta proseguendo verso il centro, confortato dalla presenza della SIG Sauer P 226 nella fondina al fianco. Il piumino nascondeva anche il fodero con il coltello da combattimento KM2000, un’arma pericolosa se ben maneggiata: centosettantadue millimetri di lama, in parte seghettata, realizzata utilizzando acciaio Bölher N695. Mentre scendeva la sera costeggiò l’imponente sagoma della chiesa Sint-Jacobskerk, in Lange Nieuwstraat. L’uomo era dietro di lui, confuso tra una calca ora ben più eterogenea. Dieci minuti dopo si trovava in Groenplaats, la piazza centrale intasata da turisti e simpatici pizzettari sempre pronti a tentare di convincere i passanti ad assaggiare le prelibatezze dei ristoranti italiani che sembravano monopolizzare quell’angolo di città. Senesi si portò al centro dello slargo e si volse mostrando un improvviso interesse per la cattedrale gotica di Nostra Signora. I primi giochi di luce amplificavano il fascino della splendida guglia traforata alta centoventitré metri dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

“Beccato!”

Tutto sommato il bastardo che si era infilato goffamente in un negozio di souvenir non era poi questo fior fiore di ombra. Wildguy abbandonò il centro. Raggiunse lo Schelda il cui corso era nascosto da una nebbia caliginosa che tentava di insinuarsi ovunque. Il cielo coperto da nubi, la scialba luce giallastra dei lampioni che a malapena riusciva a bucare la bruma, l’assenza quasi totale di auto di passaggio e gli alberi scheletrici conferivano a quel quartiere un aspetto tetro e deprimente. Le luci di un cantiere segnalavano l’area presso la quale erano in corso i lavori di risistemazione di manto stradale e parapetti, nel luogo ove era avvenuto l’attentato a Bos padre e figlia. Le auto esplose avevano sollevato ampie porzioni di asfalto e ci sarebbe voluto qualche giorno per riparare del tutto i danni. Senesi non riusciva a vederlo ma era certo che il suo inseguitore gli fosse giusto alle spalle. Avrebbe pensato dopo a trovare risposte alle numerose domande che si poneva: quello era il momento giusto per agire. In un attimo l’oscurità lo inghiottì. Sfruttando le dense volute di foschia, unite al riparo offerto da alcuni alberi, giunse a quello che pareva essere un magazzino solitario, una sorta di avamposto ai docks del porto fluviale. Si appiattì al muro e rimase in ascolto. Nel silenzio totale, dopo alcuni interminabili istanti, avvertì un lieve rumore, un leggero scalpiccio prodotto da qualcuno che badava ad avanzare con cautela, ma che la pavimentazione coperta di foglie morte aveva in qualche modo tradito. Ancora qualche secondo e una figura doppiò l’angolo. L’uomo con il copricapo era di profilo e osservava davanti a sé, alla ricerca di una preda all’improvviso sfuggente. Wildguy gli si portò alle spalle, a circa un paio di metri.

«Cerchi qualcuno?» la sua voce risuonò secca.

La risposta arrivò sotto forma di un calcio circolare che lo colse di sorpresa centrandolo alla spalla sinistra. Venne sospinto all’indietro, incespicò colto da fitte lancinanti e riguadagnò l’equilibrio nel momento in cui l’altro gli si avventava contro. Cristo… Il baluginare di una lama, colpita per un istante dalla luce asfittica di un lume vicino. Senesi deviò l’affondo con l’avambraccio, quindi colpì con il taglio della mano la base del collo del suo assalitore. Questi grugnì, si allontanò di alcuni passi barcollando, quindi si rifece subito sotto. Wildguy aveva a sua volta sguainato il pugnale. Scartò di lato assumendo una postura difensiva. Con gli occhi ormai abituati al buio i contendenti si studiarono girandosi intorno. L’altro mulinò la lama descrivendo un otto immaginario nell’aria, dopo di ché affondò. Le lame cozzarono una contro l’altra generando scintille, Wildguy piroettò disimpegnando e riprese distanza. Scattò fintando un colpo a destra. Il sicario coprì la parte attaccata ma Senesi, veloce come la folgore, scambiò il coltello di mano: con una spallata neutralizzò la guardia dell’uomo e, guidato dall’istinto, inferse un terribile fendente. Il KM2000 penetrò nel petto dell’altro fino all’impugnatura, spaccandogli il cuore. Per un terribile istante i due rimasero a fissarsi con i visi a pochi centimetri, poi un rivolo di sangue fuoriuscì dalla bocca dell’avversario e i suoi occhi si fecero vitrei. Mentre la vita lo abbandonava rilasciò gli sfinteri ammorbando l’atmosfera. Con un moto di disgusto Senesi gli appoggiò la mano sul torace, spinse liberando il pugnale e allontanò da sé il cadavere che ricadde sulla schiena. Si appoggiò allo stesso muro che lo aveva riparato poco prima, sudato, ansante, arrabbiato con sé stesso. Non appena il respirò si fu normalizzato estrasse il BlackPhone e chiamò Chevalier.

«Cosa succede?» rispose il colonnello in tono allarmato. Non la aspettava così presto e pareva avere subodorato l’imprevisto.

«Indovina» rispose lui, alla ricerca del pacchetto di sigarette. «Siamo appena arrivati e avevo già qualcuno alle calcagna». Mise velocemente al corrente il compagno dell’accaduto.

«Lo hai ucciso?» la delusione traspariva dal tono di voce del graduato.

«Dannazione, cosa cazzo avresti fatto al posto mio? E dire che certe situazioni le hai passate…» Wildguy, già contrariato per come era andata a finire, aveva risposto seccamente. «Lasciamo perdere, ti mando la localizzazione. Bada a inviare nel più breve tempo possibile una squadra di pulizie. Ancora una cosa…»

«Ho capito» la voce di Mathias gli giunse cupa. «La casa, sicura non lo è affatto.

«Appunto: avvisa Ziegler e vattene da lì. Fatti assegnare un altro posto, mi dirai in seguito dove, e controllati le spalle».

«Cosa hai intenzione di fare?»

Senesi inspirò una boccata di fumo prima di rispondere: «Proseguo la missione: ho un appuntamento e se mi sbrigo riuscirò ad arrivare in orario».

Come diavolo fosse stato possibile non riusciva a spiegarselo. Appariva ovvio come lui e il colonnello fossero vittime di una maledetta spiata. Ma fatta da chi, e per conto di chi? Qualcuno aveva mandato a tenerli d’occhio l’uomo che lui aveva appena ucciso, quindi sapeva quando sarebbero arrivati o, quanto meno, dove rintracciarli. Per farlo, infatti, poteva essere stato sufficiente mettere sotto sorveglianza la dimora di Vlaamsekai. Senesi si chiese chi potesse essere a sua volta interessato alle faccende di Bos. Un servizio avversario? Criminalità organizzata? Una talpa si nascondeva nel CIDE? Se almeno fosse riuscito a catturare il suo inseguitore per poterlo interrogare magari a qualche domanda sarebbe seguita una risposta. Invece l’assassino che era in lui aveva prevalso salvandogli la vita impedendo così di ottenere informazioni di vitale importanza. Dopo avere controllato il proprio aspetto nella vetrina ed essersi ravviato il ciuffo, Senesi alle 20:50 fece il suo ingresso al Dock’s Place Inn, pub con cucina sito sul lungo fiume in Jordaenskaai. Nei dintorni il movimento era elevato: quel luogo era la meta dei giovani trendy di Anversa, oltre che di molti turisti e uomini d’affari di passaggio che vi si recavano per degustare le diverse varietà di birra belga e le prelibatezze del ristorante, il quale proponeva una ricca scelta di specialità locali, francesi e italiane. Legno, vetro e curvature di lucido acciaio davano forma a un’ambientazione tra arte visionaria ed eccentricità. Wildguy salì al piano superiore, dove veniva servito il cibo. Il movimento di poco prima alla fine aveva sortito l’effetto di esaltare il suo appetito. Scelse un posto defilato, in fondo alla sala, la cui immensa vetrata offriva una buona vista sullo Schelda e sulla trafficata arteria cittadina. Il cameriere fu solerte a prendere l’ordinazione.

Erano le 21:10 quando Senesi, all’attacco di un taglio generoso di lombata di Blanc Bleu Belge, vide un uomo dall’epidermide color dell’ebano fare la sua comparsa. Alto, il viso segnato dal vaiolo, non passava inosservato. I capelli dalla pettinatura rasta, tutto sommato sobria, erano lunghi sino alla nuca, tenuti all’indietro con una fascia colorata. Vestiva con elegante sportività: jeans griffati, polo bordeaux e giacca blu con pochette abbinata, sneakers italiane ai piedi. Guarda caso, si disse Senesi, l’abbigliamento concordato per identificare il contatto. Difatti il nero si fece assegnare il tavolo accanto al suo. Trascorsero alcuni minuti. Senesi stava bevendo una sorsata di birra Westvleteren quando, con gesto all’apparenza casuale, il suo vicino perse la presa sulla carta del menù che andò a cadere ai piedi di Wildguy. Lui la raccolse restituendola al nero. In quell’istante notò come le unghie delle mani fossero lunghe e laccate in blu scuro. Ma chi cazzo è questo qui?

«Prego» disse mascherando un pizzico di disgusto.

«Lei è molto gentile». Incredibile come, per un uomo di quella stazza, il tono di voce fosse tanto effeminato. «Si dice che, dopo avere cenato qui, ci si torni ogni volta che si viene in Anversa».

«Questa sera purtroppo dovrò sbrigarmi, ho un appuntamento d’affari».

Il cameriere li interruppe, ma ormai l’aggancio era avvenuto. Quando furono di nuovo soli quella persona singolare riprese la parola con argomenti ben diversi.

«Il suo appuntamento è per le 22:00. Si rechi al Fetish Loft, a Villa Tinto. Si presenterà come Giacomo Rossi. Alla reception la attendono e credono che un suo cliente, per sdebitarsi di alcuni favori, le abbia regalato un paio di ore di divertimento sfrenato con La Dame».

«Chi è La Dame?»

L’altro sorrise senza allegria: «Lo scoprirà. Può fidarsi: le informazioni che vuole vendervi sono autentiche».

Wildguy scosse il capo con fare dubbioso. I quattro salti di pocanzi sarebbero bastati per quella sera ma, nel caso fosse stato un bidone, avrebbe saputo come reagire di conseguenza.

«Lei invece chi è?»

Il nero attese che l’inserviente gli servisse una bevanda prima di rispondere: «Il mio nome non è importante ma, se le fa piacere saperlo, mi chiamo Bashir Nwanu e sono originario dalla Nigeria. Devo molto a La Dame. Non permetterei mai che le succedesse alcunché di male. Le guarderò le spalle, signor Wildguy, aspetti solo che abbia quasi finito di mangiare e poi si avvii. La attende una serata interessante». I due proseguirono la cena senza più rivolgersi verbo.