di Corrado Parise*
Oltre 3 mila persone in festa hanno pacificamente invaso Alessandria sabato pomeriggio e sera, per una giornata di festa, canti, balli, ma anche riflessioni sul significato del primo Al Pride.
28 giugno ’69 – 1° giugno ’19: 50 anni! Ci sono voluti 50 anni, ma dopo un lungo viaggio attraverso l’oceano dell’umanità – la barca di Stonewall è arrivata qui!
Un viaggio dell’orgoglio, della gioia e della liberazione – perché per questo si è combattuto a Stonewall – per liberare transgender lesbiche e gay – ma non solo, per liberare TUTTA la società dalla paura, dal fastidio e dalla violenza verso se stessa.
Ora c’è qualcuno che vorrebbe ricacciare indietro la barca di Stonewall e attacca le donne, vorrebbe rimettere le manette alle donne, al mondo LGBT e alla libera sessualità. Donne, gay e libertà sessuale – attaccarli tutti insieme e non è un caso! Perché lo sanno, lo sanno bene – perché questo è il solo modo per rimettere le catene alla società, per tornare alla società della paura e del potere. Perché il loro vero nemico è la libertà, il vero nemico è la democrazia, la società aperta e libera, senza padroni e senza schiavi! Ma noi siamo qui per dire NO, non passerete, non passeranno e noi non torneremo indietro!
E siamo qui sempre con le stesse armi – quelle di Marsha Johnson e di Sylvia Rivera, delle loro compagne e dei loro compagni: le armi del corpo e della non-violenza, perché ci bastano i nostri corpi per combattere! E questa è la festa dei corpi e della non-violenza dei corpi. La festa dell’anima attraverso i corpi. E i corpi liberati sono sacri – riappropriamoci del sacro! – sono armi non–violente. Con le parole di Eugène Ionesco, noi e i nostri corpi siamo violentemente non-violenti.
50 anni. 50 anni per essere riconosciuti. Perché è importante riconoscersi e riconoscere, poter pronunciare il proprio nome, portare in giro il proprio vero volto, all’aperto, nelle piazze, in famiglia – 50 anni per uscire dalla notte e farsi riconoscere. Ma farsi riconoscere non vuol dire mettersi o farsi mettere l’etichetta, come la frutta al mercato, non vuol dire “sono come tu mi vuoi”, ma “sono come io sono, guarda bene per sapere come sono”.
E allora, come Marsha Johnson e Sylvia Rivera e le loro compagne e i loro compagni, due ragazzi di New York che si vestivano da donna per riconoscersi e farsi riconoscere, non abbiamo paura delle nostre identità, non abbiamo paura di trasformarci, non abbiamo paura di guardare la maschera e oltre la maschera – puntate l’occhio, guardate bene e fatevi guardare bene, ma non siate la vostra etichetta, come disse Pier Paolo Pasolini “siate sempre voi stesse e voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili! – Dimenticate subito i grandi successi, come quello di oggi: e continuate imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare – Siate eternamente irriconoscibili!”
* Presidente Cooperativa Il Gabbiano