Il primo horror [Il Superstite 425]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona    

 

Nel dicembre del 1969, troppe vite fa, me ne stavo in un letto di ospedale al Civile di Alessandria con naso rotto e trauma cranico, conseguenze di un incidente stradale che ho rievocato qui https://www.carmillaonline.com/2016/04/22/la-luce-oscura-del-rock-qualcosa-sinistro-accadde-12-dicembre-del-69/, e potete andare a leggere perché è un bel pezzo persino a detta dell’autore (che di solito ama poco quel che produce).

La degenza non fu lunga, poco meno di una settimana, giusto per tornare a casa per il pranzo di Natale. In quei giorni, sfigurato come la creatura di Frankenstein, ricevetti un sacco di visite da amici e soprattutto amiche, ben più gradite dei maschi coetanei. Perché, si sappia e lo si ricordi a eterna memoria, le ragazze del ’69 – le “banotte”- , complice anche una moda esteticamente maliziosa, esibivano una bellezza commovente.

Fu una processione di gnocca in microgonna, se posso sintetizzare, e il reparto andò in ormonico subbuglio per qualche giorno. Me ne ricordo una per tutte che arrivò in ospedale coi fiori; la conoscevo a malapena di vista, una visione mistica e biondissima con occhi verdissimi, e io da uomo Denim (e pirla) che non deve chiedere mai quale mi sentivo, le dissi solo: «Ehi, ci si vede là fuori». Neppure ne conoscevo il nome. Lei che parlava pochissimo (se lo poteva permettere il silenzio, perché parlavano per lei gli occhi, la bocca e il resto distribuito con equilibrio divino) assentì col capo e scappò via. Qui fuori non la vidi mai più e oggi mi piacerebbe sul serio incontrarla dopo 50 anni per dirle almeno grazie.

Okay, ma questo è un preambolo che c’entra poco con il seguito. Va da sé, è ovvio, che venissero a trovarmi anche i miei genitori. Mia madre affranta per la faccia nuova, a suo dire – ancora oggi – ben peggiore di quella di prima e mio padre, uomo taciturno ed essenziale. Fu lui che giunse un paio di giorni prima della mia uscita dal nosocomio con in mano la copia di un giornale appena uscito, una goduria fresca fresca di stampa che  conservo tuttora con religiosa cautela tanto che sembra praticamente nuova: il numero 1 della rivista HORROR dell’editore milanese Gino Sansoni, estrosissimo personaggio che – lo seppi anni più tardi – sposò una delle creatrici di Diabolik, Angela Giussani, e fornì spunto al nome dell’implacabile ispettore Ginko (Gino + la lettera K). Devo confessare, ma credo di non essermi censurato con papà, che mai regalo fu più gradito e a suo modo produttivo per quel che riguardava certi miei giusti allora in fase di sviluppo.

HORROR – gli appassionati come il sottoscritto sanno già tutto – era un mensile a fumetti che resistette sino all’ottobre del 1972 per poi trasformarsi in altro nel tentativo di resistere a quella crisi quasi d’obbligo che prima o poi colpisce sempre nel bel paese le iniziative editoriali dedicate appunto all’horror.

HORROR di Sansoni era una rivista meravigliosa. Ci stavano storie complete, articoli, strisce satiriche e comiche, disegni stupendi. E un gruppo di collaboratori da paura – data la definizione, quale posto migliore? Alfredo Castelli, Pier Carpi, un giovane Luigi Cozzi alle prese con la saggistica cinematografica, Forrest Ackerman, Tito Monego, Emilio  de’ Rossignoli e tanti altri ancora. La copertina di Marco Rostagno, ben presente anche nelle storie all’interno e che potete ammirare a commento grafico dell’articolo, si presentava come un riuscito compendio di temi e sensazioni: “terrore, magia, incubo e mistero”, come si leggeva prima del prezzo (300 lire), ma pure erotismo (che magari era controproducente scrivere), mostri, infanzia problematica… La prima storia a inaugurare la portata era una libera riduzione a opera di Baratelli e Castelli di un classico di Lovecraft I topi nel muro, impreziosito dal tratto gotico e denso di Giovanni Cianti. Va da sé che il modello fosse l’americano Creepy, apparso in America cinque anni prima, ma la rivista anche nei contenuti rigurgitava di sana autarchia, come dimostravano la sceneggiatura di Carpi Il tempo è vicino e l’intervista di Castelli a Mario Bava, in cui il sommo regista dichiarava in chiusura: «Alla peggio cambierò genere, l’importante è durare»

Comperai la rivista fino alla fine e anche dopo quando al suo posto comparve un ibrido “mensile dell’insolito”, chiamato SuperVip che, per quanto interessante, un po’ faceva rimpiangere l’antica formula. Però intanto il seme era gettato e la rivista HORROR di Gino Sansoni, assieme ai “Racconti di Dracula” letti quasi di nascosto durante l’adolescenza, resta tra le ispirazioni primarie che mi hanno spinto a scrivere quello che ho scritto nel campo della narrativa.

Naturalmente ho comperato e collezionato (e continuo a farlo)  una caterva di fumetti dell’orrore che francamente non so più dove mettere. Non ho più spazio e non butto via niente. Mia moglie è disperata ma intanto se li legge. È la dura legge del feticista a cui non si può sfuggire. Certo, mi servono anche per lavoro. Ma la verità è che proprio mi piacciono. Oggi come 50 anni fa.

La coerenza prima di tutto.