di Cristina Bargero
Il tema delle periferie, diventato un cruccio per amministratori pubblici e studiosi per le problematiche connesse al disagio, è riferito solitamente alle metropoli. Del resto, spesso, gli episodi di violenza e marginalità più gravi che occupano le pagine delle cronaca nera e le aperture dei telegiornali avvengono nelle zone più degradate di Roma, Napoli, Milano e Torino.
Aldilà delle grandi aree metropolitane, tuttavia, la nostra Penisola è composta da una serie di città medie e dai piccoli centri orbitanti intorno ad esse: rimane forte l’identità civica nazionale, come già rimarcava Putnam (1993), facendo risalire alla vita cittadina del medioevo una delle principali radici dello sviluppo socio-economico italiano. Il cambiamento in corso a partire dagli anni 2000, legato alla rilocalizzazione di molti centri produttivi e direzionali, ha mutato profondamente la geografia economica e sociale del nostro paese.
I poli di sviluppo si sono evoluti in cluster, attraverso fenomeni di collaborazione ma spesso anche di competizione tra i territori.
La convergenza delle attività economiche in alcuni luoghi ha favorito i processi di concentrazione e agglomerazione, creando inevitabilmente fenomeni di squilibrio.
La trasformazione dell’economia industriale in economia della conoscenza ha acuito il fenomeno, aumentando il divario tra città grandi sempre più attrattive e centri minori svuotati di centri direzionali e servizi.
La disuguaglianza territoriale si è quindi acuita, declinandosi in senso economico, politico e sociale, di possibilità di riuscita scolastica e lavorativa, di mobilità sociale e spaziale
Ecco perché il concetto di periferia va esteso in senso spaziale, comprendendo non solo i quartieri meno centrali delle città, ma a quelle zone aldilà dei capoluoghi, dove risiede ancora larga parte della popolazione: solo il 15% della popolazione italiana, infatti, vive in città con più di 250.000 abitanti.
In Provincia di Alessandria il 45% della popolazione è localizzata in centri con meno di 10.000 abitanti, accomunati spesso da un processo di graduale abbandono, il cui primo indicatore consiste proprio nel calo demografico.
Tali aree fragili anche sotto il profilo dell’accessibilità e della dotazione di servizi rischiano, oltre al progressivo spopolamento, l’acuirsi di fenomeni di dissesto idrogeologico.
Eppure le aree fragili della nostra provincia costituiscono un unicuum dal punto di vista paesaggistico, turistico e di parecchie produzioni agroalimentari.