di Danilo Arona
Secondo Alessandra Luciano, studiosa torinese di antiche mitologie, il Piemonte fu scelta millenni e millenni orsono dai depositari del sapere iniziatico per potervi fondare un unico grande centro di tradizione magica: una zona in cui non soltanto scorrevano le molto discusse Linee Sincroniche, adatte già di per loro a far confluire e riunire le conoscenze segrete, ma che era pure caratterizzata dal congiungimento delle succitate linee in due importanti nodi energetici: Torino e Alessandria, non stupitevi, anche se l’energia di quest’ultima pare azzerata da un groviglio di cause, un po’ note e un po’ oscure.
Torino nacque nel punto in cui s’incontravano due fiumi, il Po e la Dora Riparia, e nacque soprattutto come città sacra, ovvero come colonia di soli sacerdoti, dove Druidi e maghi egizi si scambiavano le rispettive conoscenze, nel tentativo di ricostruire l’antico sapere. Ma il tentativo fallì e, di conseguenza, anche nella città sacra qualcosa sfuggì al dominio dell’uomo e si perse il controllo delle forze magiche. Da allora, si racconta, il Piemonte divenne teatro di scontri aperti dove forze opposte, favorevoli e contrarie all’evoluzione dell’uomo, si combattono apertamente. Ancora oggi la città di Torino è definita, e non a torto, capitale sia della magia bianca che di quella nera. E di questo scontro, in maggiore o in minore misura, ne risentono tutte le altre città piemontesi. Naturalmente la storia di cui parla la Luciano è storia esoterica, che in qualche modo richiede un piccolo atto di fede o, quanto meno, di tolleranza. Di certo, sotto questo profilo, colpiscono alcune analogie tra Torino e Alessandria. Da quelle linee sincroniche che determinarono in tempi remotissimi la nascita della taurinense città sacra, Alessandria è sfiorata e sarebbe probabilmente lecito pensare che una scheggia del destino torinese qui abbia potuto ritrovare terreno. L’analogia dei due fiumi è ovvia e non necessita di commenti. Altri fatti meno ovvi sono gli ipotetici reticolati sotterranei, reliquie in ambedue i casi di precedenti insediamenti iniziatici poi “interrati” da successivi livelli da riferirsi a comunità di carattere militare come la Cittadella.
Da qui una certa abbondanza di “punti magici”, tanto in città che in provincia. Alcuni di questi erano nell’antichità dedicati alle divinità delle acque, identificate poi a causa del Cristianesimo con la figura della Madonna. Tra le tante, si può ricordare la Madonna del Pilone, protagonista dell’episodio “di fondazione” del 1664 che racconta come, in una zona compresa tra via Po e Sant’Ottavio, una popolana si rivolgesse all’immagine della Madonna custodita sulla superficie di un pilone allo scopo di salvare la figlia caduta in acqua e ne ottenesse la salvezza. In seguito a quest’evento, fu eretta una chiesa, Nostra Signora Annunziata, nella quale è conservata l’immagine miracolosa.
Là un pilastro di pietra, le acque vicine, una bellissima e misteriosa signora. Nell’alessandrino, gli stessi elementi sono protagonisti di un mito diverso, ma sostanzialmente analogo nei significati: quello della famosa pietra di Santa Verena, la santa di Villa del Foro che è venerata con riti somiglianti ad antichissime tradizioni celtiche e che risulta quanto mai simile ad altre divinità femminili piemontesi (Oropa, Novalesa, Lugnacco) anch’esse collegate a pietre dai poteri medicamentosi. Ma l’energia sincronica torinese può riscontrarsi anche in altri eventi che paiono l’uno specchio dell’altro, pur se ovviamente in scala minore.
Secondo la discreta e ironica tradizione popolare della capitale piemontese, numerosi fantasmi albergherebbero in alcuni illustri palazzi del centro: Palazzo Reale, Palazzo Barolo, il Museo Egizio, l’Abbadia di Stura, l’Hotel Nazionale, tra i più famosi. Anche Alessandria, nel suo piccolo, vanta similari fenomenologie, dal mitico fantasma femminile della Cararola, ormai sfrattato da tempo a causa di lavori di ristrutturazione e nuovi insediamenti urbani, ai numerosi fantasmi di case “infestate” della periferia e del circondario. Più, alcuni, veramente notevoli, ospiti “invisibili” di certi, eleganti palazzi del centro città e sui quali la ben nota ritrosia locale non ama sbilanciarsi. Sappiamo per certo, ad esempio, di un’evanescente contessa che è apparsa quasi quotidianamente in una bella casa restaurata in compagnia nientedimeno che del fantasma del suo gatto. Apparizioni benefiche con le quali i proprietari hanno tentato per un po’ di convivere. Ma oggi abitano altrove.
Peraltro, a proposito di Torino “diabolica”, molti anni fa ci si mise pure il Papa che disse “dove c’è luce, occhieggia il demonio”. Anche Alessandria è di tanto in tanto investita da quest’alone torinese. Anni fa un parroco di San Rocco, poco prima di un suo trasferimento in altra sede, usò l’identica frase durante una predica, dando ad intendere di saperne in merito. In cronaca, di tanto in tanto, qualche piccola news darebbe a intendere che sotto sotto i “misteri di provincia”, a base di apparizioni e occulti scontri tra Bene e Male, non siano sopiti, ma in realtà quasi sempre la forma è ben più della sostanza.
E allora? Un amico, musicista non a caso, mi faceva notare qualche giorno fa che in Alessandria e campagne limitrofe gli spettri non esistono più, tutt’al più sono una trascorsa memoria del folclore, e collegava la loro sparizione all’avvenuta “presa di potere” del mondo immateriale e digitale (computer, smartphone, e via dicendo) su quello fisico. A me per assonanza è tornato in mente un grandissimo libro del 2003, La città che si dimenticò di respirare, del canadese Kenneth J. Harvey che ha ispirato e continua a ispirare la musica dei De La Vega dell’alessandrino Flavio Gemma. In quelle pagine circola una tesi non così lontana: gli spettri sono scomparsi dal mondo (o quanto meno dal piccolo mondo di pescatori dell’isola di Terranova in cui si ambienta la storia) nel 1952, l’anno in cui arrivò la televisione con i suoi rumori e le sue musiche. Spettri e fantasmi che avevano tante cose da raccontare ai vivi, ma qualcosa nell’aria al seguito delle onde elettroniche della TV li “sfilacciò”. Non vi racconto come gli spettri nel libro decidano di tornare – è sintomatico soltanto il fatto che sia la catastrofe la cifra del loro ritorno -, ma è pertinente precisare, come lo fa Harvey, che trattasi di microonde, energia invasiva che ti prosciuga della linfa vitale.
Le analogie ci sono, è innegabile. Un quesito interessante, se volessimo tornare all’interpretazione iniziale di Alessandra Luciano, sarebbe quello di capire quali sono le forze “bianche” e quelle “nere”, per ipotizzare una tantum che quel mondo occulto, tradizionalmente identificato come il Male, non sia in realtà il suo contrario.
Ovvio, questo è un discorso del tutto simbolico di cui chi legge può farne ciò che reputa meglio. La purezza del simbolo è una delle pochissime certezze che restano a disposizione di chi tenta di capire la sconcertante complessità filosofica dell’attuale momento storico. Sgradito persino agli spettri.