di Dario B. Caruso
Ogni lavoratore cerca di portare la propria dose di esperienza, capacità e serenità sul posto di lavoro.
Qualsiasi preoccupazione, ansia o turbamento trascinato da casa o maturato in loco, si riversa sul prodotto.
Un panettiere infelice che sta impastando la focaccia potrebbe avere quale risultato una focaccia stopposa, oleata e nauseabonda.
Un chirurgo depresso rischierebbe la vita del paziente o quantomeno la riuscita dell’intervento.
Un prete afflitto e distratto potrebbe non accorgersi del malessere di un parrocchiano e quindi finirebbe per non assolvere al proprio compito.
Tutti i lavori fatti con noncuranza possono causare danni, piccoli o grandi, reversibili o meno. Ma di danni si tratta.
In certi frangenti i danni si possono misurare dopo mesi, anni, decenni; a quel punto è troppo tardi.
Un impiegato intento a scambiare messaggi con un amore che non ne vuole sapere, un amore che ormai lo ha dimenticato e si è già rifatto una vita con un altro impiegato ma di livello superiore, trascina le pratiche per qualche settimana anziché eseguirle in poche ore.
Ciò comporta un danno difficile da calcolare ma talvolta la burocrazia è lenta proprio perché qualche piccolo ingranaggio si inceppa.
Un maestro entra in classe arcigno, con lo sguardo di colui che attende la vendetta, una vendetta che non può consumare a caldo con il diretto interessato ma che è così facile da riversare a freddo su questi piccoli di cinque sei sette anni.
Loro probabilmente non diranno nulla – troppo sciocchi – e lui si sentirà forte – troppo intelligente – e in questo modo sarà sollevato, uscirà nel mondo esterno più lieve e per un po’ avrà la coscienza a posto.
Questi danni spesso sono irreversibili. Fra qualche anno un ragazzo di sedici diciotto anni sarà un ragazzo frustrato, violento o vittima di violenze. Tutti si chiederanno per quale ragione e nessuno comprenderà un cambiamento così repentino e inatteso (era un ragazzo così tranquillo).
Solo le cronache dei quotidiani locali proveranno a darsi risposte plausibili.
Il maestro, leggendo i giornali, entrerà in classe con una nuova vendetta da perpetrare.
Io odio certe minoranze.
Non sanno perdere, rimboccarsi le maniche e provarci ancora, studiare, crescere rimanendo fanciulli.
Vi esorto ad uscire di casa, frequentare gente, incontrare l’altro sesso – di qualsiasi sesso si tratti – e magari provare a capire che non siamo soli.
Ci sarebbe anche una seconda soluzione: fare in modo che per queste minoranze ci sia in licenziamento in tronco ed una ricollocazione più idonea. Ma per questa alternativa ci vuole troppo tempo.
E poi chi deve controllare è intento a scambiare messaggi con un amore che non ne vuole sapere.