Vero protezionismo [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Nei giorni scorsi tutti noi Associati SIAE abbiamo ricevuto la lettera del Presidente Giulio Rapetti Mogol, relativamente alle “Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana”.

In buona sostanza nella proposta di legge si chiede “che le emittenti radiofoniche, nazionali e private debbano riservare almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione”, e inoltre che una quota “pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della produzione musicale italiana sia riservata alle produzioni degli artisti emergenti”.

Questa sollecitazione giunta dal Governo è evidentemente alimentata dalle major nostrane (quanto ci sarà di nostrano, poi…) che vedono affacciarsi alla finestra la possibilità di contrastare la musica straniera non attraverso il lavoro di qualità bensì grazie ad un protezionismo alla francese (in Francia la soglia per la programmazione nazionale è al 40%).

Giusto o sbagliato che sia, ciò che si prospetta per il prossimo futuro è un calcolo matematico della quantità di musica italiana.

Lo sfogo di Francesco De Gregori, che ha definito questo provvedimento “una stronzata”, è lo stesso che – con altre parole – ho avuto quando alcuni ragazzi di una classe terza media mi hanno sollecitato ad esprimermi.

Qual è però il messaggio che passa ai giovani?

Questa è la domanda che mi sono posto.

Perché se la ragione di una società civile deve passare attraverso norme così restrittive non ci sarà limite alle norme che arriveranno.

Vivremo di norme, di aride norme, saremo come grandi smartphone azionati attraverso codici pin da qualcuno che già sa tutto di noi, ha contingentato ciò che vediamo e vuole contingentare anche ciò che ascoltiamo, ciò che respiriamo.

La musica che si respira nell’aria non può essere controllata.

Proviamo ad immaginarci ragazzi, tornare indietro negli anni e non poter ascoltare il nostro vinile preferito, consumato dalla puntina e dalla nostra passione.

Riusciamo ad immaginarci fermi di fronte a due casse stereofoniche che trasmettono cose che non vogliamo?

Credo che chi sia stato adolescente almeno una volta nella vita non possa far soffrire in questo modo i propri figli e nipoti.

Con Francesco De Gregori ho cantato a squarciagola “Viva l’Italia”, “Alice”, “Generale” e da lì in avanti tutte le sue più belle canzoni.

Lasciatemi urlare con lui: È UNA STRONZATA!