di Cristina Bargero
Senza aver consultato gli aruspici, non molto tempo fa, su questo blog, espressi preoccupazioni in merito alle prospettive dell’economia piemontese e nazionale per il nuovo anno.
La settimana scorsa alle nevicate che hanno colpito quasi tutta la penisola si è accompagnato anche il grande freddo dei dati ISTAT, i quali certificano la contrazione dello 0,2% del prodotto interno lordo nel quarto trimestre 2018.
L’Italia è quindi entrata in recessione tecnica.
Per i non addetti ai lavori forse è opportuno specificare meglio il significato di questa definizione. La recessione viene detta tecnica quando per due trimestri consecutivi si registra una contrazione del PIL. Diversa dalla recessione tecnica è quella economica, che si verifica quando la variazione negativa del PIL è tendenziale, ossia rispetto all’anno precedente.
Non ci troviamo, invece, in recessione economica, essendo la variazione tendenziale del quarto trimestre 2018 rispetto al quarto trimestre del 2017 pari al +1%.
La gelata sull’economia italiana è stata determinata da una stagnazione del valore aggiunto dei servizi, da una lieve diminuzione di quello dell’agricoltura e da un netto peggioramento di quello dell’industria. Per quanto riguarda la domanda, la componente estera netta ha retto ma non è stata sufficiente per compensare il calo della domanda interna da parte delle imprese e dei cittadini.
Cosa dobbiamo aspettarci per il nostro territorio? Le cronache degli ultimi anni ci hanno abituato a uno stillicidio di crisi e, talora, anche di chiusure di imprese che hanno fatto la storia di questa Provincia. È sufficiente aggirarsi per le zone industriali delle principali città per assistere al triste spettacolo di capannoni abbandonati e fatiscenti.
Nonostante ciò, Alessandria rimane la seconda Provincia manifatturiera del Piemonte, con punte di eccellenza e innovazione in svariati campi dell’industria e aziende leader a livello mondiale.
Gli effetti della crisi si possono leggere solo dall’andamento del valore aggiunto pro-capite, ossia della ricchezza prodotta in un territorio per abitante, inferiore sia a quello piemontese che regionale, attestandosi al 42° posto tra le province italiane, con una situazione pressochè invariata nel decennio, segno di una certa stagnazione economica.
L’export, che continua a crescere, trainato dai settori dell’oreficeria e della chimica e plastica, nei primi nove mesi ha raggiunto quasi i 5 miliardi di euro. Ma fino a quando riuscirà a controbilanciare la depressione della domanda interna, aggravata dal peggioramento delle aspettative e del clima di fiducia da parte delle imprese?
Se il pessimismo della ragion non lascia ben sperare, l’ottimismo della volontà di un intero paese ed in particolare delle zone del Nord manifatturiero e produttivo dovrebbe tradursi al più presto in quegli investimenti di infrastrutture materiali e immateriali di cui si sente oggi più che mai la necessità per colmare almeno in parte il gap competitivo che penalizza le nostre imprese e ridare ad esse fiducia.