Pensiunà d’Italia, curagi ch’lè festa.
Ui riva ei bunific a l’ufisi d’la posta,
sgagev a branchèli, ma prum-ma cu scapa
ånfilev la munåida ånt-la galinèra ’d-la giaca.
I voran rivè a fè quota “cento”, magari cupiånda
quånd che u duce u s’era fisà ad fè quota” nuvånta”.
Ma s’iv disu ‘d cantè la cansòn de l’Italia s’è desta,
uv cunvena stè citu e andè-anån cun cul cuv resta.
Cul semu na vòta ei criava: “dov’è la vittoria?”
Ma va-a- nan tabalœri! La gént l’è tropp smorbia
L’è mej capì ben che forsi ei paregi ei bastava,
percaira ånt’ ei bilancio du Stat ei souta la crava.
A jœn del pais ch’la ‘l ciapp ånculai ån-sla bånca
e u leva gnånc sû per pisà, che u dis cu sa stånca.
um ven voia ad di-ji : “Curagi cuntagi,
uarda bèn ad fat pasè la mòla e i bagagi;
dat d’aturan pü che t’pȏ, ma sgagia’,
si di nò a jo poura che ‘t fass la fen ‘d cul pover Tananà.
Luigi Timo
Spiegazione del finale: il povero Tananà (epiteto che in dialetto castelceriolese equivale all’organo sessuale maschile) era alla fine dell’Ottocento il soprannome di uno del paese che era tornato dall’Argentina con un gruzzolo sostanzioso e pensando di campare non oltre gli ottant’anni, che allora era già un bel record, si vantava dicendo: “prima che io abbia consumato il mucchio di soldi che possiedo sarò di certo già morto”. Non era sposato e non aveva più parenti, per cui se la spassava abbastanza bene vivendo da solo in casa sua. Frequentava i migliori caffè e dicevano che spendesse anche talvolta facendo visita a quella che agli Orti chiamavano “la Cà russa”. Ad un certo punto però, specie dopo la fine della guerra del 15-18, si accorse che il mucchietto si era svalutato di molto per la perdita di valore della lira, e, non avendo la pensione, che allora non esisteva, si ritrovò in breve tempo in povertà completa ad oltre ottant’anni di età. Andava in giro chiedendo l’elemosina e, tendendo la mano, diceva in dialetto: “fè limosna ai pover Tananà, che la mort u l’ha ånganà”. Cioè: “Date l’elemosina al povero Tananà, perché la morte lo ha ingannato”, (obbligandolo a campare oltre il limite preventivato).
Non vi sembra una favola futuribile?
Pensate se nella malaugurata ipotesi abbandonassimo l’euro o ci sbattessero fuori dal sistema, per cui fossimo costretti a tornare alle lirette che inevitabilmente subirebbero una svalutazione dietro l’altra, cosa ne sarebbe dei salari e delle pensioni?
Quanti poveri Tananà dovremmo assistere con la pensione di cittadinanza, pure lei svalutata da un anno all’altro a due cifre come in Argentina?
Non ci sarebbe alcuna “manovra del popolo” in grado di porvi rimedio. Pensiamoci seriamente fin che siamo in tempo!
Luigi Timo – Castelceriolo