Un morto di fame

Dopo aver meditato sull’ultimo intervento di papa Francesco a proposito del dovere della solidarietà e dell’accoglienza, sempre per seguire le orme di quel povero Cristo che duemila hanno fa ha tentato, forse inutilmente, di insegnarci qualcosa di veramente rivoluzionario per regolare con giustizia i rapporti umani e d’altro canto dopo aver meditato sull’effetto delle sparate di uno che parla di crociere mediterranee e di pacchia finita, ho per caso ritrovato una poesia che non ricordo più per quale motivo è finita nel mio archivio Internet, scritta da un poeta contemporaneo di modesta fama ma di chiara visione della realtà.
Non le pare che sia di una struggente attualità?
Quando viene alimentata la guerra fra poveri il futuro diventa davvero molto nero, anche perchè i leghisti non hanno ancora capito che sono i cinesi che ci metteranno alla frusta e non i poveri migranti neri che vengono dall’Africa. Questi ultimi hanno in fondo gli stessi nostri interessi e se ci rubano il lavoro non è colpa loro.
Auguri ancora per il nuovo anno.
Un “morto di fame”
Ogni mattina alle sette,
davanti ai cancelli della fabbrica
sempre le stesse facce,
sempre le stesse occhiaie,
sempre la stessa miseria.
Andavo a prendere gli spiccioli
di un lavoro che non volevo.
Una laurea in lettere
appesa come carta da parati,
uno stipendio da cani
e cinque bocche da sfamare.
Un marocchino si avvicinava
e mi chiedeva due spiccioli.
“Smettila di stare qua, vai a lavorare!”
Dopo tre anni chiusero la fabbrica
e rimasi senza lavoro.
Fuori dal cancello il marocchino
ora vendeva bibite.
Avevo sete e solamente
due spiccioli in tasca.
Con l’orgoglio in gola,
ho pensato che non avevo poi così sete.
Antonio Sabia