di Graziella Zaccone Languzzi
1) Pernigotti: molti si sono mobilitati per non delocalizzare questo marchio storico. Tante buone parole, interpellanze, tavoli, raccolta firme, una messa. La realtà è che non ci caveranno nulla come al solito, i turchi sono legittimi proprietari dell’azienda e non è una città (sindaco, sindacati, deputati e senatori, informazione locale, chiesa) che li farà desistere. Pure la Regione Piemonte valuta l’acquisizione di marchio e fabbrica tramite la società finanziaria regionale Finpiemonte, ma sappiamo che fra pochi mesi si va alle urne: tutto è utile per acchiappare voti, ma poi se lo può permettere? Solo dall’attuale Governo potrebbe venir fuori qualcosa di buono che forse riuscirà a salvare la Pernigotti e metterà paletti per ogni forma di speculazione in ambito futuro. “Decreto Dignità: la norma anti-delocalizzazione. Non si possono spostare fuori dall’Italia attività agevolate da aiuti di stato legati a investimenti produttivi, norma anti-delocalizzazione valida anche per l’iperammortamento”.
La domanda è: c’è ancora qualche marchio da salvare in Italia visto che nessun Governo del passato ha tutelato tale patrimonio nazionale? Le sciagurate politiche italiane del passato hanno permesso che ci fossero portate via le nostre eccellenze industriali, grandi marchi di prestigio frutto dell’ingegno italiano, un vero massacro del Made in Italy da parte di gruppi stranieri. Il cambiamento di proprietà ha comportato nella maggioranza dei casi lo spostamento di risorse finanziarie della società acquisita, la delocalizzazione della produzione, la chiusura degli stabilimenti, disoccupazione e povertà per i lavoratori, le loro famiglie e per le casse dello Stato. Governo dopo governo abbiamo visto sfilare partiti litigiosi e uomini politici di poco valore, che non hanno avuto la capacità, la lungimiranza di vedere oltre il proprio naso, preoccupandosi solo della propria pancia. Tornando alla Pernigotti, si legge su Il Giornale: “Dopo gli annunci di delocalizzazione in Turchia fatti negli scorsi giorni, il gruppo industriale Toksöz dichiara che la produzione alimentare della Pernigotti sarà esternalizzata presso il territorio nazionale italiano, pur rimanendo ormai quasi certa la chiusura dello storico stabilimento di Novi Ligure”.
Ha senso? Perché Novi Ligure no, altro luogo italiano sì? Nella mia libreria vi è una strenna de Il Piccolo del 2007, curato da Enrico Sozzetti (oggi firma prestigiosa su CorriereAl) dal titolo: “Dal feltro al dirigibile”. Vi sono elencate molte delle nostre eccellenze provinciali e alcune le abbiamo perse. A pag. 106, una immagine pubblicitaria che ci racconta: “La gran marca PERNIGOTTI cioccolato-torroni NOVI LIGURE”. Ma temo che anche questa ormai sia storia del passato.
Voto: 2
2) A Emanuele Locci. Quanti 10 ha già “incassato”? Tanti. Passa il tempo e Locci non delude mai,con il suo modo di fare politica. Il Presidente Locci non è uno che si fa “appendere come un salame” dai burocrati, e sulla questione abbattimento alberi piazzale Berlinguer (protesta partita da alcuni cittadini e subito cavalcata da ambientalisti, gruppi di protesta e politici di minoranza) Locci è andato a mettere le mani nel pregresso trovando una relazione di 8 pagine del 03/04/2017, a firma del dirigente Arch. Pierfranco Robotti e del Dott. Giacomo Sacchi: “Servizio Gestione Servizi Manutentivi Verde Pubblico e Giardino Botanico” dove all’art. V° si legge: “Ottemperanza a un albero per ogni neonato”. Letto ciò che ha trovato, lo ha divulgato con un video su Facebook iniziando con la frase: “Quello che ho scoperto mi ha lasciato senza parole”, spiegando il contenuto del documento di cui all’articolo: “Locci: Subito nuovi alberi, un piano del verde urbano e la Consulta Ambientale”.
Divulgata tale notizia, l’ex sindaca Rita Rossa ha reagito, titolo: “Alberi tagliati e rose: infuria la polemica. Botta e risposta Locci-Rossa.” Sottotitolo: “100 mila rose conteggiate come nuove piante” ha attaccato il presidente del Consiglio Comunale. “Se vuole, ci denunci in Procura. Oggi 50 robinie tagliate senza un progetto” la replica dell’ex sindaco”.
E mentre la politica litiga, i dirigenti nicchiano come se non fossero toccati dagli atti che loro stessi stilano e firmano in ogni settore, giacchè è il loro compito. Ultimamente fatico a comprendere la linea di demarcazione tra politica e burocrati: mi sembra che a governare sia sempre più la burocrazia. Ma i politici sono i nostri eletti, i dirigenti sono dipendenti privilegiati, ma sempre dipendenti. E adesso che accadrà? Alla luce dei fatti, i dirigenti Robotti e Sacchi dovranno ricontare gli arbusti delle rose, perché se nel 2012 ce n’erano 5.000, nel 2017 (non avendole fatte accudire con diligenza nei cinque anni, con motivazioni direi vergognose) non sono più 5.000, quindi dovranno essere ‘scalati’ nei 92 anni di copertura verde, per aggiornare il parco “alberi” a fusto alto e a fusto basso.
Voto: 10
3) La notizia: “Rifiuti: si punta al porta a porta in quasi tutti i quartieri. Ma servono risorse…” (sottotitolo): Una parte, 900 mila euro, potrebbero arrivare nelle casse di Palazzo Rosso dal bando regionale che scade a fine mese al quale l’assessore Borasio vuole assolutamente partecipare. Ma per l’ampliamento del porta a porta in tutti i quartieri cittadini servono quasi 4 milioni. Dove si prendono le altre risorse?
Eccirisiamo! L’ipotesi di ritornare al “porta a porta spinto” (integrale), periodicamente rispunta in questa città. Anche se, a dire il vero, nell’intervista di oggi su CorriereAl l’assessore Borasio sul tema mostra grande, e apprezzabile, prudenza.
Tra il 2005 e il 2007 quando è stato impostato il ‘porta a porta’ in centro città, ci furono tante proteste per l’invasività, alti costi nel sostituire cassonetti e mezzi, e la necessità di moltissimo personale per la movimentazione dei cassonetti fuori e dentro dalle proprietà private. Tra l’attesa per lo svuotamento e l’attesa per rientrare negli spazi privati, i marciapiedi avevano perso lo scopo del loro utilizzo. Ad Alessandria negli ultimi anni amministratori, direttori, dirigenti del settore non sono stati neanche in grado di gestire al meglio la normale pulizia delle strade e delle isole ecologiche. Credono ora di poter risolvere ogni problema col “porta a porta internalizzato”? Bene differenziare, ma quanta monnezza non differenziata riceviamo e abbiamo ricevuto da altri territori? Gli alti costi solo per il personale per tale ritorno, dovranno essere caricati sui cittadini, altro che risparmi! Le proprietà private torneranno a dover rinunciare a quei pochi spazi utilizzati per i giochi dei bimbi, ricovero biciclette, piccole aree verdi tolte per piazzare i cassoni etc… Cassonetti piazzati sotto balconi, finestre, porte, androni che vanno contro la Circolare di Giunta Regionale n.3 del 25 luglio 2005 per non intralciare o ostacolare il passaggio nelle stesse pertinenze dei fabbricati o creare problemi igienici (se a qualcuno occorre possiedo il documento protocollato). Non da poco: si dovrano affidare le chiavi dei condomini in mano ad estranei. Tale metodo, in certe città italiane per la politica è stato una “iattura”, e ha generato ulteriori debiti per le casse delle aziende municipalizzate. Conosco questa materia e ciò che nel pregresso ha inciso sulla città in ogni suo particolare. La nostra Amministrazione, prima di prendere questa decisione, dovrebbe fare una chiacchierata con l’ex Direttore della defunta AMIU, Dino Foresto, e magari dargli ascolto. “Il porta porta internalizzato è l’ideale nei sobborghi dove ci sono case singole e piccoli condomini, ma non idoneo nelle città dove enormi palazzi sono senza spazi e cortili per ospitare i cassoni. Lo scrivono Gabriella Corona, ricercatrice del CNR di Napoli e Daniele Fortini presidente di Federambiente in un volume: “Rifiuti, Una questione non risolta”. Non sono contrari al “porta a porta internalizzato”, ma spiegano dove si può fare e dove no. Non da poco il non rispetto delle proprietà private, dove il pubblico entra ‘a gamba tesa’ magari utilizzando Ordinanze urgenti con la frase “per pubblica utilità”.
Voto: 2 (anche meno!)