di Dario B. Caruso
Ho una dozzina d’anni, forse tredici.
Mio papà mi dice: “Sai che dovremmo riordinare la dispensa?”
La dispensa era per una buona metà invasa da giornalini a fumetti. Miei e di mia sorella, ma soprattutto miei perché lei si dedicava preferibilmente ad altri giochi essendo più piccolina.
Apro la porta della dispensa e trovo davanti un muro di carta colorata; copertine di Topolino, Zagor, Comandante Mark, Alan Ford, ma soprattutto Topolino, tutti sparpagliati alla rinfusa.
Riordinare significava perdere quella possibilità di pescare a caso nel mare cartaceo e sorteggiare le avventure che avrebbero accompagnato i miei dopopranzo prima di cominciare a studiare per il giorno seguente.
Prendo una decisione: “Ascolta, pà, andiamo alla bancarella e vendiamo tutto.”
“Sei sicuro? Guarda che non occorre, se li ordiniamo recuperiamo lo spazio necessario e….”
Sono irremovibile.
Si vende.
Andiamo alla bancarella.
Il commerciante guarda dentro i sacchetti e i cartoni, fa una stima a spanne e offre poche lire.
Mio padre lascia che sia io a decidere.
Sono irremovibile.
Prendo le poche lire e lascio al commerciante il mio cuore di carta.
Oggi Topolino compie novant’anni, ovunque si moltiplicano i festeggiamenti e le celebrazioni.
Allora apro la porta della dispensa.
Spero di ritrovarmi dentro una di quelle storie a fumetti dove tutto è possibile, il tempo è fermo oppure passa solamente quando il lettore decide che passi, i buoni sono buoni e i cattivi cattivi, gli incidenti sono reversibili e i sorrisi hanno la meglio sulle lacrime.
La dispensa è piena di oggetti ma Topolino non c’è.
Essere irremovibili non è poi così importante, soprattutto quando lo si è con se stessi.
Oggi infatti quel “sei sicuro?” di mio padre risuona come “ti do la facoltà di sbagliare”.
Oggi potrei serenamente fare a meno di quello spazio, per averne altro.
Viva Topolino!