È una vicenda italiana, in cui la lingua tanto amata e raffinata (e molto studiata, all’estero) gioca un brutto scherzo. Complice un altro linguaggio, quello della burocrazia. La storia si svolge ad Alessandria e per certi aspetti ricorda da vicino le mitiche “convergenze parallele” di democristiana memoria.
Tutto viene a galla con un intervento video su Facebook (diventato il palcoscenico di buona parte dell’umanità) in cui Emanuele Locci, presidente del Consiglio comunale alessandrino, spiega di essere arrabbiatissimo: “Da sempre sostengo (a ragion veduta) che i buro-tecnocrati governano a ogni livello mentre la politica è sempre più marginale… quando però scopro plateali prese per i fondelli (il termine originale è un altro, ndr) ai cittadini, la rabbia diventa incontenibile…”.
Che succede? La sintesi è questa. Alessandria non dovrebbe piantare più alcun albero per altri 92 anni, grazie alle centomila rose dell’amministrazione Fabbio. Lo dice chiaramente la ‘Relazione sul verde urbano e il Bilancio arboreo’ 2012-2017, approvato dall’amministrazione di Rita Rossa il 12 aprile 2017 (quasi a fine mandato) con la delibera di giunta numero 98 / 16090 – 145.
Alla base di tutto c’è la legge numero 113 del 1992 (modificata dalla legge 10 del 2013) che prevede che in ogni comune italiano sia obbligatorio “entro dodici mesi dalla registrazione anagrafica di ogni neonato residente, porre a dimora un albero nel territorio comunale”. Se Alessandria è a posto per i prossimi novant’anni vuol dire che c’è stato un incremento di nascite che non ha paragoni sul pianeta, oppure che c’è qualcosa che non va. Il caso è il secondo.
Ma cosa non va? La risposta è nella relazione del dirigente Pierfranco Robotti e del responsabile del servizio Giacomo Sacchi: “Vista la posa in opera di un copioso numero (circa 100.000) di arbusti floreali (rientranti certamente nella definizione data dalle norme di riferimento di “albero” inteso in senso lato del termine) avvenuta nel 2010”, il capoluogo è coperto per 92 anni.
Gli arbusti floreali della relazione sarebbero rose. Ma ancora nella modifica legislativa del 2013 viene usata sempre la parola ‘albero’. Allora? La spiegazione è ancora nelle parole della relazione quando di legge che gli arbusti floreali rientrano “certamente nella definizione data dalle norme di riferimento di ‘albero’ inteso in senso lato del termine”. E sì. C’è anche il ‘senso lato dell’albero’. Con buona pace dell’enciclopedia Treccani che definisce l’arbusto “una pianta perenne, legnosa, di media altezza (da 1 a 5 metri) in cui anche i rami basali persistono, in modo che le ramificazioni principali partano vicino al suolo, da un ceppo comune”, mentre l’albero è “una pianta perenne legnosa, con fusto diritto, colonnare, che solo a qualche metro d’altezza porta rami o un ciuffo di grandi foglie”.
La differenza fondamentale tra alberi e arbusti consiste nel fatto che i primi sono caratterizzati da un tronco unico, mentre i secondi hanno una ramificazione che parte dalla base. Poi ci sono i diversi arbusti, di piccole o grandi dimensioni, sempreverdi o floreali.
Ma grazie alla lingua, la norma è sempre rispettata. In senso lato.