In vent’anni il mondo è cambiato. E Alessandria? Questa è un’altra storia, a partire dall’università [Centosessantacaratteri]

10 a Enrico Sozzetti, zero agli anonimi del web! [Le pagelle di GZL] CorriereAldi Enrico Sozzetti

 

In vent’anni il mondo è cambiato più volte, è nata una nuova economia dopo le crisi che hanno lasciato dietro di sé ceneri e macerie, la velocità è il segno distintivo, innovazione e tecnologia trovano straordinarie declinazioni in ogni settore produttivo.

Intanto Alessandria dopo vent’anni dice che “l’università è una opportunità”. E che deve passare da “città con l’Università a Città Universitaria”. Per chi ha avuto modo di seguire e raccontare prima l’avvio dei corsi decentrati dell’Ateneo di Torino e poi l’istituzione, nel 1998, dell’Università del Piemonte Orientale, e ha assistito al Consiglio comunale convocato alla presenza dei consiglieri di oggi e di ieri su stimolo del Comitato promotore “Alessandria 850” (Antonio Maconi, membro del Comitato, ha rilanciato l’appello all’unità, “superando le divisioni politiche sui grandi temi di sviluppo”, quindi ha aggiunto: “Per la città universitaria ci manca ancora molto, ma l’eredità che lasciamo alle nuove generazioni è grande”), l’incontro è apparso quasi fuori dal tempo.

Ma poi cosa succede fra Tanaro e Bormida? [Centosessantacaratteri] CorriereAl

Chi avesse ascoltato per la prima volta gli interventi (da quelli dei Rettori, l’uscente Cesare Emanuel e il nuovo Gian Carlo Avanzi, a quelli degli amministratori) che hanno richiamato il bisogno di assicurare “servizi, residenze, trasporti, mense” nel rispetto della “centralità dello studente”, la necessità di “coinvolgere gli imprenditori” e l’appello allo sviluppo dei rapporti fra città e ateneo, poteva pensare che l’università fosse nata il giorno prima. Invece no, sono passati vent’anni. E una parte di Alessandria ancora discute sulle “potenzialità”. Nell’economia e nella società di oggi, cogliere una opportunità significa individuarla e agire di conseguenza, ovviamente con competenza e capacità, nel giro di pochissimo tempo. Va bene che la pubblica amministrazione è più lenta e pachidermica dell’imprenditoria privata (che invece ad Alessandria ha iniziato subito una sinergia con l’università), però ascoltare certe parole dopo due decenni lascia perplessi e non poco.

Morale: i rapporti fra l’ateneo e il capoluogo sono all’insegna di almeno due velocità, quella dei privati e quella del settore pubblico (con solo alcune realtà come la Fondazione Cassa di risparmio di Alessandria che negli anni ha mantenuto impegni e sostenuto progettualità nel rispetto dei confini delle competenze attribuite alle fondazioni), lasciando sullo sfondo nodi irrisolti fondamentali.

In presenza di contenitori vuoti e inutilizzati, pare che (forse) qualcosa si possa muovere per l’ex ospedale militare, ma per la ex caserma dei carabinieri di via Cavour, si continua a fare i conti con “una possibile futura svolta” annunciata ciclicamente da anni e mai avvenuta. Intanto Palazzo Borsalino, sede del Digspes (Dipartimento di giurisprudenza, scienze politiche, economiche e sociali) lotta con spazi sempre più esigui, in attesa delle nuove matricole (oltre cinquecento).

Paradossale a questo proposito la vicenda del museo del cappello Borsalino che lasciando la sala esposizioni del primo piano per trasferirsi a piano terra doveva liberare spazi per ricavare nuove aule (circa seicentomila euro di investimento universitario). Sono stati necessari anni per arrivare al trasloco degli armadi storici, ma ancora l’intervento non è concluso, gli spazi non sono vuoti del tutto e non è stata nemmeno ripristinata la rampa per i disabili. Quando il Comune ha aperto il cantiere per il museo era stato assicurato che l’intervento “avrebbe comportato la chiusura per pochi mesi”. Sono passati due anni, lo spazio museale non c’è e la rampa nemmeno. Ed è stato anche chiuso con un muro il collegamento fra l’area universitaria e quella museale.

Intanto è realtà lo sdoppiamento del corso di laurea di medicina ad Alessandria (i primi anni della didattica sono ospitati nelle aule della sede del Dipartimento di scienze e innovazione tecnologica, al quartiere Orti). Una presenza ovviamente positiva, che apre scenari nuovi per la realtà locale. Tutti contenti. Un po’ meno, sembrerebbe, i futuri studenti. Dopo avere spiegato che “la frequenza è obbligatoria e la residenzialità è importante” e ricordato che negli anni scorsi “gli studenti iscritti al corso di laurea di medicina a Novara provengono, oltre che dal Novarese, anche dalla provincia di Vercelli e dalla Lombardia, mentre sono pochissimi quelli da Alessandria”, Marco Krengli, presidente della scuola di medicina dell’Università del Piemonte Orientale, intervenendo durante il Consiglio comunale, ha detto che “finora alcuni studenti hanno già fatto la scelta di Alessandria”. Quelli che mancano “verranno assegnati”. Passaggio che merita una riflessione perché, proprio in ambienti novaresi, si parla di richieste esplicite per la sede di Alessandria che si contano sulle dita di una mano. Ovviamente i posti saranno tutti coperti in ogni caso e quindi non c’è il problema della saturazione del corso. Piuttosto è evidente che manca un certo appeal, quella necessaria capacità di attrazione. Non per la qualità dei corsi e della ricerca (altissimi, certificati e premiati), bensì per l’accoglienza e l’ambiente nel suo complesso. Quello di cui si continua a parlare da vent’anni.