Lo spettro 2 [Il Superstite 392]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

«Insisto. Chi sono i padroni della casa in cui viviamo?»

Il titolare dell’agenzia, con espressione rassegnata, allora si scioglie. Colui che alla firma del contratto si era dimostrato chiuso e taciturno, si lascia andare a un fiume di parole, non sempre incastonate alla meglio in quella che si definisce di solito “logica stringente”.

«Ma sì, avrei dovuto parlarne subito. In quella casa nessuno si è mai fermato più di tanto. Prima o poi la gente se ne accorgeva. Sissignora, credo di capire cosa mi sta chiedendo. Ha ragione, io non le ho affittato solo una casa, ma anche qualcos’altro che non mi chieda, per favore, di definire. Mi paghi pure l’affitto quando lo desidera. Anche ogni tre mesi, se si ritiene danneggiata. I padroni si chiamano omissis e vivono in Campania dalla morte del figlio. Io non li sento mai. Credo che come alessandrino possa loro ricordare questi luoghi e un pezzo di vita che oggi reputano insopportabile».

Quando finisce la telefonata, i ricordi si fanno strada nella mente della donna. Rammenta l’incidente e le sue modalità cruente. Le viene alla memoria il viso strano e corrucciato di quel ragazzo che non fu peraltro l’unica vittima. Possibile? Possibile che sia lui?

Va sottolineato che  la signora, a differenza della maggior parte della gente, crede fermamente nei fantasmi. È una di quelle persone le cui antenne si sintonizzano con facilità  con quegli eventi che, per comodità di definizione, battezziamo “misteri”. Per qualcuno sarebbe una medium potenziale, altri direbbero di lei che ha “la seconda vista” o “il terzo occhio”. In un gergo più specialistico la si indicherebbe come “sensitiva” e forse parte delle sue facoltà si sono trasmesse per via naturale ai figli.

Per un paio di settimane tutto fila liscio. Poi succede dell’altro. C’è un divano che la famiglia non sa dove piazzare. La ragazza propone di metterlo in camera sua perché potrebbe pure servire per qualche parente in visita. E così avviene.

La prima notte con quel divano vicino per la ragazza è un susseguirsi di incubi. Sogni che le danno l’angoscia e che le trasmettono il terrore allo stato puro. Al risveglio non li ricorda. Sa solo che raffigurano il volto della paura, ammesso che la paura possa essere dipinta con una faccia a nostra immagine e somiglianza. La madre entra e va ad alzare le tapparelle.

«Ti sei agitata stanotte, ti lamentavi. Hai fatto brutti sogni?» le chiede, sedendosi sulla sponda del letto.

«Sì» risponde la figlia «ma non ricordo nulla. So soltanto che…». Ma s’interrompe con la bocca aperta e negli occhi un’espressione che raggela. Lo sguardo è fisso sul divano letto sotto la finestra. Anche la madre guarda ovviamente in quella direzione. Pure lei resta sconvolta da ciò che vede. Su quel sofà, appena piazzato e non ancora usato, è ben visibile e inequivocabile l’impronta di un corpo umano rannicchiato in posizione fetale. I due cuscini che la sera prima si trovavano al centro adesso sono scomposti e schiacciati all’estremità di destra, come se fossero stati usati come guanciale da qualcuno che ha dormito lì per parecchie ore.

Le emozioni che invadono l’animo della donna sono brucianti e contraddittorie: risentimento per la violazione del proprio sacro spazio, paura per la figlia, ma soprattutto un’infinita tristezza che non trova spiegazione. Qualche minuto più tardi madre e figlia escono in corridoio.  Non parlano, ma si spiegano tutto con gli occhi. Quindi la famiglia al completo torna a contemplare il divano. Il padre, razionalista sfegatato che vuole vivere la sua vita lontano dai fantasmi e ci riesce, scrolla la testa. Colpa della moglie, sostiene.

Oggi questa famiglia convive con Cristiano. La madre è andata a rileggersi ogni articolo che uscì all’epoca dell’incidente. Persino dagli aridi reportage dei giornalisti d’allora, scaturiva come Cristiano fosse inguaribilmente innamorato della vita e in particolare di quella casa nel centro storico. Una casa che riempiva in ogni atomo di sé, della sua voglia di vivere e della sua sete di futuro. Una casa che ancora non ha intenzione di lasciare.

In fin dei conti gli intrusi sono proprio loro, tutte quelle persone che hanno potuto violarla grazie a quel brutto incidente. «Adesso è una convivenza tranquilla» dice la signora. «Di lui non ci accorgiamo quasi più. La stanza però è sempre più fredda del normale. E mia figlia adesso dorme col fratello. Così Cristiano ha uno spazio tutto suo».

Certo, si può non credere a questa storia. Esistono le nevrosi e le persone sempre disposte a farsi suggestionare. Ma per decenni molte famiglie sono transitate nella dimora di Cristiano e quasi tutte ne sono fuggite in fretta e furia. Tutti quanti erano esauriti? Difficile pensarlo.