“Lo vedo dall’autostrada. Attraverso il parabrezza. I bambini sul sedile dietro. Giù dalla discesa di Beeston Hill. Ci siamo quasi, dicono. Ci siamo quasi, papà? Accasciato contro la ferrovia e il terrapieno dell’autostrada. Mi chiedono di Billy Bremner e Johnny Giles. I riflettori e le tribune, tutte dita e pugni che si alzano tra pietre e bastoni, carne e ossa. Eccolo là, dice il maggiore al più piccolo. Eccolo là. Dall’autostrada. Attraverso il parabrezza.
Posto odioso, odioso; posto maligno, maligno…
Elland Road, Leeds, Leeds, Leeds.”
(David Peace. Il maledetto United)
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Elland Road è molto vecchio. Costruito nel 1897, il Leeds United ci gioca dal 1919 quando venne fondato. Oggi ospita meno di quarantamila spettatori, ma il record che risale agli anni sessanta è vicino ai sessantamila. Come da tradizione inglese, hanno un nome diverso i quattro “stand” e uno è intitolato a John Charles, il gigante gallese che giocò a lungo, negli anni cinquanta, anche alla Juventus, fuoriclasse buono in campo, sfortunato e infelice dopo.
All’esterno ci sono due statue, una del leggendario capitano Billy Bremner, l’altra di Don Revie, il manager con cui nella prima metà degli anni settanta arrivarono i maggiori successi, quello al cui posto arrivò Brian Clough, che lo detestava più di tutti, che detestava quel Leeds più di tutti, come racconta lo splendido libro di David Peace.
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Salto in avanti. Di quarant’anni.
Marcelo Bielsa. Il Loco.
Ultima vittoria: 2004. Olimpiadi. Con una squadra di futuri campioni, tanto che si fa più in fretta a nominare i pochi che non ce l’hanno poi fatta, magari pur promettendo di diventare fenomeni come D’Alessandro, piuttosto che i Tevez, Mascherano, Saviola, Burdisso, Ayala, Caballero, Coloccini, Lucho Gonzalez, Kily Gonzalez, Heinze che hanno poi avuto carriere di alto (o altissimo) livello.
Come d’altronde hanno avuto grandi carriere molti dei ragazzi che il Loco ha allevato a Rosario, in quel Newell’s Old Boys che gli ha già intitolato lo stadio, da vivo.
Basta nominare Batistuta, uno dei più forti centravanti che io abbia mai visto giocare, e l’unico che mi abbia mai ricordato Bonimba, mio mito d’infanzia. O Mauricio Pochettino, che nel frattempo è diventato lui pure uno straordinario allenatore, come il Tata Martino d’altronde.
Ma tutto questo non serve a spiegare la vera magia di Bielsa, il suo essere Loco. In una storia in cui la “locheria” non manca.
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“Nick Hornby – scrivevo quasi dieci anni fa sul mio blog “grandetaxigiallo” – ha appena perso il titolo di autore di miglior libro generazionale calcistico inglese. Lo sfidante, che ha vinto per kappaò, si chiama David Peace e il suo libro ‘Il maledetto United’. Non lo consiglierei a tutti, certo, perché non credo che tutti apprezzerebbero allo stesso modo un romanzo ambientato agli inizi degli anni settanta per seguire le avventure del funambolico allenatore Brian Clough: fra la carriera spezzata da un infortunio e il Derby County portato al titolo, un flashback raccontato in seconda persona, e i quarantaquattro giorni catastrofici alla guida del Leeds United, la squadra più odiata (odio del tutto ricambiato da giocatori e ambiente), raccontati in prima persona.
Ciò detto, ‘Il maledetto United’ è semplicemente straordinario, non riuscivo a smettere di leggerlo, e sarò uno delle tre quattro persone, in Italia, che vorranno vedere il film che ne hanno tratto. Anzi, aggiungo, ‘Il maledetto United’ mi è piaciuto tanto quanto mi piacque, all’epoca, ‘Alta fedeltà’.”
(Nel frattempo David Peace ha scritto anche ‘Red or Dead’, ancora più straordinario, su un altro pezzo di storia del calcio inglese come Bill Shankly).
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Un’altra cosa scritta alcuni anni fa, sempre sul “grandetaxigiallo”, che mi pare sia ancora attuale, a proposito del Loco Bielsa:
“Ora si portano molto gli allenatori belli, eleganti, convinti di essere ieratici, obbligatoriamente presuntuosi. Vincenti è un altro discorso, che l’unico vero segreto per essere un allenatore vincente negli ultimi anni è (attenzione: spoiler!): allenare il Barça.
Tempi durissimi, poi, per quelli che assomigliano, si vestono, corrono esultando sotto la curva ospite come il grandissimo Carletto Mazzone (memorabile infatti l’intervista di sua moglie, quando gli ricordava che le squadre di vertice preferiscono gli eleganti incravattati alla Ranieri piuttosto che lui, vecchietto in tuta e “spelacchiato”).
Stile (si fa per dire) sor Magara ne sono rimasti così pochi che li conti sulle dita di una mano. Da noi Sarri, cui auguro di cuore una stagione splendida al Napoli, non solo per le memorie della grande annata sulla panca dei grigi.
Ora si portano molto gli allenatori in giacca e cravatta, magri, pettinati benissimo, fermi in piedi sull’orlo della zona di competenza, non capisci bene se un po’ imbronciati, infastiditi o solo leggermente confusi da quello che stanno facendo (loro malgrado?) i calciatori.
Vederne uno in tuta, poco in forma (non però della pinguedine da falso abate del sopravvalutato Rafa), seduto sulla glacière probabilmente con già in testa le ennesime variazioni tattiche e i cambi di ruolo in corsa, be’ colpisce e a me fa pure parecchio piacere. Soprattutto se la sua squadra gioca benissimo.”
(Nel frattempo il Barça ha vinto molto meno del Real, Ranieri ha conquistato una incredibile Premier, e Sarri s’è messo giacca e cravatta per la prima sulla panchina del Chelsea. La squadra del Loco all’epoca, l’OM, ha giocato benissimo finché ha retto e, ça va sans dire, non ha vinto niente).
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Marcelo Bielsa è andato ad allenare il Leeds, nell’ennesima svolta originale della sua carriera. Mentre a Marsiglia, l’ultima tappa positiva prima dello splendido inizio di stagione che sta facendo a Elland Road, seguiva la partita seduto su una glacière che era diventata un feticcio phocéen, qui lo fa su di un secchio rovesciato.
Quando lasciò (sbattendo la porta) Marsiglia furono 110.000 gli spettatori web della conferenza stampa dell’allora Presidente dell’OM. Il doppio della media dei tifosi al Velodrome. E il Presidente dovette ammettere come il Loco avesse, in poco più di un anno, del tutto rivoluzionato la mentalità di una squadra che era in uno dei momenti più difficili della sua storia gloriosa, lasciando «un héritage structurel, culturel et philosophique à l’OM» (pur senza vincere niente, come quasi sempre: lui costruisce perché vincano quelli che arrivano dopo di lui. Se sono in grado.).
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Don Revie venne nominato allenatore-giocatore del Leeds nel 1961, e alla guida di una squadra che non era mai stata nella prima serie, arrivò a vincere due campionati, una FA cup e due coppe delle Fiere, con un gruppo di giocatori cattivissimi (“dirty Leeds”) che intimidiva volentieri gli avversari, guidati dal piccolo capitano scozzese Billy Bremner, uno dei più grintosi centrocampisti di sempre.
Quel Billy Bremner che contese a Johnny Glies il posto di manager quando Revie si dimise nell’estate del ‘74 Per risolvere la questione senza scontentare nessuno dei due campioni, la decisione dei vertici della squadra dello Yorkshire fu salomonica: al posto di Revie arrivò Brian Clough per gli ormai immortali 44 giorni al “maledetto United”.
Don Revie divenne manager della nazionale inglese che era stata appena clamorosamente eliminata nelle qualificazioni per i mondiali di Germania, uno smacco enorme per gli autoproclamati “maestri”, “gli inventori del football”. Durò tre anni tra risultati scadenti (fuori dagli Europei alle qualificazioni, eliminati dalla Cecoslovacchia che poi andrà a vincerli), accuse di essere avarissimo quando lasciò la panchina dei “tre leoni” per andare a guidare gli Emirati Arabi (calcisticamente, il niente, economicamente un affarone), che sfociarono perfino in illazioni di tentativi di corruzione.
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Come un allenatore che è ritenuto uno degli strateghi più acuti del gioco moderno sia potuto passare in pochi anni da guidare l’Argentina contro l’Inghilterra al mondiale a essere festeggiato per una vittoria contro il Rotherham, si chiedono nello Yorkshire in questi giorni, mentre i ragazzi di Bielsa, partiti fortissimi come sempre le sue squadre, fanno sperare nel ritorno alla Premier, e temere invece la flessione primaverile che è un’altra caratteristica delle squadre guidate dal Loco.
Il Leeds è una squadra strana, quindi perfetta per il manager rosarino: ha avuto due brevi periodi da gigante nel calcio mondiale. Ha perso immeritatamente una finale di Coppa Campioni con il Bayern, e una di Coppe delle Coppe con il Milan che poi arrivó stravolto alla “fatal Verona”, verso la metà degli anni settanta. Ancora nel 2001 era in semifinale di Champions, poi è fallito e rimasto nelle serie minori.
Anche Bielsa ha avuto grandi alti e bassi. Alla Lazio è durato due giorni, un record davvero difficile da battere.
I suoi giocatori devono seguire le regole. Alla fine delle partite in trasferta puliscono lo spogliatoio, prima di andarsene. Ha calcolato che il tifoso medio ci mette tre ore e mezza di lavoro per pagarsi il biglietto, e ha fatto raccogliere ai suoi giocatori rifiuti per tre ore e mezza.
I suoi giocatori di solito lo adorano.
Il pubblico lo adora. A Leeds, terra del “maledetto United” si prevede un incremento delle vendite di secchi. Su cui sedersi. Rovesciati.