Mi tocca ritornarci. Perché più d’uno vuol farmi notare che si dovrebbe scrivere “Medical Thriller”. D’accordo, di che parliamo? Della collana edita da INK (del gruppo Media & Co, che detiene altri due marchi editoriali, Metamorfosi e Mind Edizioni) che con l’amicissimo Edoardo Rosati tenteremo di portare avanti sino all’infinito. Va da sé che sto scherzando, nulla dura per sempre e in più di 40 anni spesi al servizio della parola scritta sono transitato attraverso tante avventure editoriali partite in quarta e finite in corsia d’emergenza anche dopo poca strada. Figuriamoci se non mi permetto un paradosso. Perciò ribadisco: con Edo il nostro obiettivo è l’infinito, che dal nostro terreno punto di vista potrebbe essere soltanto qualcosa in grado di durare oltre la nostra limitata esistenza. Una sorta di monumento alla memoria, vedi certe collane “economiche” fondate da tal Alberto Tedeschi.
Ma finisco di scherzare per tornare all’assunto. Perché Medical Noir dovrebbe abdicare a favore della sigla Medical Thriller? Neppure ci pensiamo, perché sull’anzidetto Medical Thriller la letteratura di consumo ci campa da mezzo secolo, sfornando trame dai solidi modelli di riferimento: ambiente ospedaliero, nemico di turno rappresentato da qualche morbo implacabile (vecchio, nuovo, geneticamente manipolato, e le mille varianti del caso), medici eroi e al contempo detective a un passo da un’apocalisse globale che viene di solito gestita come minaccia possibile ma per un soffio evitata. Ovvio che ci sto andando giù senza particolari finezze, ma giusto per capirci, perché anche all’interno del filone le variabili possono diventare numerose.
Quello che intendiamo noi è diverso. E, per semplificare, se la dimensione “thriller” fa riferimento alla tensione che si vuole suscitare nel fruitore, il termine “noir” di ovvia derivazione francese ci racconta della dimensione soggettiva di uno o più protagonisti laddove la tensione e lo spaesamento sono sempre intimamente legati a un atteggiamento o a un problema morale. Per farla ancora più breve (e con un aggancio cinematografico), il noir è la soggettiva della storia, laddove la percezione, magari accompagnata da qualche cattolico senso di colpa, deforma la realtà, mentre il thriller è l’oggettività della medesima, narrata da una terza persona – e non a caso i noir classici venivano raccontati da un io narrante, a volte addirittura da un morto, vedasi Viale del tramonto di Billy Wilder -.
Il tutto, trasferito in ambito medical, farà sì la collana non si occuperà soltanto del classico canovaccio medici-in-prima-linea-contro- virus-dilaganti, ma spazierà in tutte quelle variabili offerte dal “teatro” di riferimento (ospedali, cliniche, Pronto Soccorso…) con un occhio particolare al cosiddetto “drama”, come insegnano tante belle e recenti serie TV degli ultimi anni (per dirne qualcuna, Dr. House, Grey’s Anatomy, Scrubs e Nip/Tuck). Se il pubblico remerà a nostro favore, leggerete quindi di medici serial killer, fantasmi in corsia, love story maledette con sotto il càmice niente, prolungamenti contemporanei di classici del gotico “medical”, insomma, non il solito virus. Anzi, virus mai visti.
L’intento alla fine è sempre quello: divertire senza mandare in vacanza il cervello. Divertire, ovvio, con quella particolare ottica che trova divertente il fatto di avere paura. Viviamo in un’epoca dove la maggior parte delle nostre azioni e iniziative devono fare i conti quotidianamente con quello che Anna Oliverio Ferraris definiva in tempi non sospetti “l’assedio della paura”, quell’aspettativa sotterranea di catastrofe collettiva e individuale sempre più crescente causa la Rete, la Globalizzazione e l’estensione di attentati eseguiti su larga scala da cani sciolti (e non solo), un accerchiamento emotivo che ci vede accanto gli eroi in camice bianco, sempre sperando di uscirne alla meno peggio. Sotto questo profilo, me ne rendo conto, il Medical Noir è un genere parassitario e trarrà sempre più nuova linfa da un cronaca insospettabile quando non inaspettata. I buoni autori, se ce la fanno, possono giocare d’anticipo e molte volte la letteratura ha premuto dei campanelli d’allarme ancora prima di certi talk-shaw. L’acuta Paola Rambaldi, nel recensire il nostro Maledizione della Croce sulle labbra, conclude la disamina scrivendo: “… Ecco un genere di terrorismo a cui non avevo pensato e speriamo che i prossimi kamikaze non prendano appunti.” Al di là di un involontario e implicito humour nero, ecco che, senza rendercene tanto conto, forse abbiamo scritto un libro socialmente utile. E magari, tra i tanti tasselli del Medical Noir, da qualche parte potremmo intendere: “… Fate in modo che il nemico non abbia a prendere appunti.”