Non ti voglio al mio funerale [Il Flessibile]

 CorriereAldi Dario B. Caruso

 

 

 

Tra le ultime volontà del senatore John McCain una sola spicca sulle pagine di queste ore, dopo la sua dipartita.

“Non voglio che Trump venga al mio funerale”.

Le richieste di un neo defunto vanno prese come oro colato, se non altro perché impossibilitato a controbattere.

Cosa può portare qualcuno ad odiare a tal punto qualcun altro da pensarlo lontano al momento delle proprie esequie?

Quale rancore fa riflettere un vivo da ragionare su ciò che sarà intorno a sé da morto?

C’è sicuramente qualcosa di più, qualcosa che non ci è dato sapere.

O che è probabilmente facile da desumere.

Trump è sul limite, lo è sempre stato fin dall’elezione, continua ad essere protagonista di imbarazzi, scandali, dubbi. Anche e soprattutto all’interno della propria parte politica.

Immaginate il gotha repubblicano (e non solo) che si riunisce per decidere un colpo da knockout nei confronti del Presidente, che lo allontani definitivamente dal consenso popolare.

Immaginate che McCain, da eroe di guerra prima e “leone del Senato” poi, proponga di mettere a disposizione il suo cancro per agevolare il passaggio.

Il gioco è fatto.

Cinicamente semplice.

Eroicamente geniale.

Per quanto mi riguarda l’unica persona che vorrei non partecipasse al mio funerale sono io.

Mi spiacerebbe farmi soffrire, tirare sù di naso rimpiangendo ciò che non ho fatto in vita e pentendomi di ciò che ho fatto male.

Salutare amici e parenti scusandomi per la dipartita, distribuire loro kleenex citando una battuta che mi piace molto “quando hai fatto ripiegalo e ridammelo, grazie” così, per sollevare il morale e strappare un sorriso.

Sappiatelo, quando sarà il momento.