Le notizie sulle gravi condizioni di salute di Niki Lauda sono arrivate giusto nei giorni dell’anniversario del terribile incidente del pilota austriaco al Nurburgring. Successe quarantadue anni fa, e tutti pensarono che sarebbe morto. Mentre scrivo non siamo certi ce la possa fare ancora un’altra volta, dopo avere subito il trapianto di un polmone. Chi ha visto il film ‘Rush’ ricorda certamente le condizioni terribili in cui erano i polmoni del pilota austriaco per il fumo rovente inalato mentre la sua Ferrari bruciava.
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Niki Lauda, se posso scriverlo con estrema franchezza, stava sulle scatole alla maggior parte dei tifosi Ferrari. Di certo alla stampa specializzata, guidata da ‘Autosprint’ e dal suo direttore Marcello Sabbatini, allora assai influente nello sport dei motori (il settimanale bolognese vendeva tipo 300.000 copie negli anni settanta, un’enormità ancor più in paragone con gli striminziti numeri dei giornali di oggi). Non c’era settimana in cui non venisse criticato, il “coniglio” (o a scelta il “topo”) che non aveva cuore, si rifiutava di imparare l’italiano, portava via il sedile ai nostri piloti, aveva fatto perdere il mondiale all’amato “baffo” Clay Regazzoni…
Quando Niki Lauda era arrivato alla Ferrari alla fine del 1973, la situazione della casa di Maranello nelle corse era la peggiore di sempre.
Non vinceva un titolo della massima serie dal 1964, pilota John Surtees già campione con le motociclette, poi messo alla porta dopo un litigio con il d.s. Dragoni (le contese e gli intrighi alla corte del Drake erano parecchio diffusi). I piloti italiani su cui il Commendatore aveva puntato avevano trovato tutti la fine allora molto diffusa tra i “cavalieri del rischio”: Lorenzo Bandini nelle fiamme a Monte Carlo (come già raccontato), Lodovico Scarfiotti il parente stretto della grande Famiglia torinese, in una corsa in salita neanche al volante delle amatissime rosse.
Proprio Scarfiotti aveva dato una rara soddisfazione a Maranello, trionfando a Monza nel 1966, in anni in cui dominavano le vetturette leggere e pericolose assemblate dai “garagisti” inglesi. Erano anni di controlli meno rigorosi, e sulla reale cilindrata delle rosse in quella corsa ci sono molte illazioni (era appena entrato in vigore il regolamento dei 3 litri aspirati che durerà per oltre un decennio, probabilmente la cilindrata delle rosse in quella occasione era ben superiore).
Anche nelle gare prototipi, allora sullo stesso piano della Formula 1 per popolarità, la Ferrari non vinceva più dopo lo sfiancante duello contro Ford, conseguenza del grande rifiuto del Commendatore che aveva abbandonato il tavolo delle trattative al momento della firma dell’accordo di vendita al colosso di Dearborn: gli americani non piacevano a Enzo. A dire il vero era raro che gli piacesse qualcuno.
Ferrari era un gigante solo. Piegato dalla morte tragicissima del figlio Dino. Inviso a entrambe le chiese che allora comandavano in Italia. Disposto a tutto per ottenere il suo unico obiettivo: costruire le automobili più belle, più veloci e più vincenti del mondo.
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Tornate a Dearborn le vetture statunitensi, soddisfatte per avere battuto a Le Mans le “rosse”, la rivale nei prototipi era diventata la Porsche, un duello in cui la 512 di Maranello fu sgominata dalle 917 di Stoccarda. Forse i due prototipi più belli di sempre, ripresi anche al cinema dal film con Steve McQueen.
L’ultimo lampo per Ford era arrivato nella 24 ore del 1969 quando una GT40 ormai affidata a una scuderia privata aveva battuto proprio le Porsche grazie alle prodezze alla guida di un ragazzino belga, che in Italia s’era guadagnato il soprannome di “Pierino”.
Jacky Ickx, il pilota più forte di sempre coi prototipi, il pilota che guidava come nessun altro sui quasi 23 chilometri del pazzesco circuito del Nurburgring, era stato la speranza più concreta per tornare a vincere in Formula 1 quando con la Ferrari 312B (la sigla diceva tre litri, 12 cilindri, boxer) lottò fino all’ultima gara per il titolo del 1970. Lottò contro un pilota che non c’era più. L’austriaco Jochen Rindt si era ucciso con la velocissima e altrettanto pericolosa Lotus nelle prove di Monza, il sabato verso sera, uscendo di pista alla Parabolica per un cedimento meccanico. Il giorno dopo avrebbe vinto proprio la Ferrari con l’altro pilota, lo svizzero Clay Regazzoni, esuberante, simpaticissimo, uno che non si lasciava scappare una bella donna neanche per sbaglio, non ancora coi baffoni che sarebbero presto diventata una sua caratteristica inconfondibile. Ickx vinse due delle tre ultime gare disputate dopo la morte del rivale ma non fu sufficiente e quella fu l’unica volta in cui il titolo venne assegnato postumo, e mestamente ritirò il trofeo la giovane vedova Nina.
Il terzo pilota Ferrari quell’anno a Monza era un romano su cui si riponevano molte speranze, Ignazio Giunti. Pochi mesi dopo un incidente sciagurato proprio con i prototipi a Buenos Aires, quando tamponò la Matra rimasta senza benzina che Beltoise pericolosamente spingeva in pista, e anche per lui fu la fine.
Ferrari infastidito dalle polemiche che accompagnavano la morte dei piloti italiani con le sue vetture, sempre meno volentieri dava un volante ai nostri: l’ultimo per un buon decennio fu Arturo Merzario, il fantino cowboy che ebbe un ruolo nel salvataggio di Lauda dalla vettura in fiamme al Nurburgring, ruolo enfatizzato da Autosprint, invece trascurato in ‘Rush’.
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Alla fine del 1973 le polemiche contro Ferrari e la Ferrari erano al massimo. Non vinceva più. Inoltre c’era l’austerity, un termine fino ad allora sconosciuto, le domeniche a piedi, il consumo della benzina controllato, le auto di lusso per molti erano un privilegio inaccettabile, che doveva finire.
Sempre nascosto dai suoi perenni occhiali neri, dal suo ufficio spoglio come la cella del priore di un monastero il Drake decise di rivoluzionare il programma delle corse. Stop ai prototipi. Ritorno alla guida tecnica dell’ingegner Forghieri, che lavorava a Maranello fin da quando aveva i pantaloncini corti, e che seppe ridare vita alla 312B3 che nell’ultimo mondiale proprio non andava avanti: in tutto l’anno tre quarti posti e Ickx esasperato che per arrivare sul podio corse al Nurburgring con una McLaren privata. Da Torino era arrivato un giovanissimo direttore sportivo dai capelli fluenti, si diceva parente molto prossimo dell’Avvocato e proprio lui, Luca Cordero di Montezemolo sarà la spalla fondamentale per Lauda.
Vennero cambiati anche i piloti, tornò Clay dopo un anno d’esilio in Brm (il Commendatore si contraddisse, aveva più volte ribadito che non considerava mai di riprendere driver che erano andati via) e lo svizzero si portò con sé il semi-sconosciuto giovane austriaco che fino a quel momento nessuno aveva notato, dopo una stagione e mezza corsa senza lustro.
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Lauda ripagò Regazzoni del favore non aiutandolo nella lotta per il mondiale 1974 che, dopo grande equilibrio, andò al “raton” Fittipaldi, prima vittoria assoluta della McLaren che aveva assunto il brasiliano, scaricato nell’inverno precedente da Colin Chapman che non l’aveva mai molto amato, nonostante il titolo vinto nel ‘72, dopo esserselo trovato prima guida per caso proprio per la morte di Rindt. Ora il geniale inventore delle Lotus, l’uomo che festeggiava le vittorie lanciando in aria il cappellino, gli preferiva il velocissimo svedese Ronnie Peterson (il pilota più amato da chi scrive).
Perso per poco il mondiale del 1974, la Ferrari tornò a vincere finalmente nel 1975. Secondo il racconto di Autosprint non tanto per merito del “coniglio”, piuttosto per la geniale invenzione tecnologica di Forghieri che sbaragliò tutti con la 312T, dove la T indicava l’innovazione del cambio trasversale. Il 1976 era iniziato come l’anno precedente, e sembrava in arrivo il bis, fino a quella corsa al Nurburgring, circuito che Lauda detestava e che cercò senza successo di boicottare.
Mentre scrivo non sappiamo se Niki Lauda ce la farà anche questa volta anche se le ultime notizie sembrano positive: d’altronde molti sostengono Niki sia immortale, e l’essere sopravvissuto a quell’incidente orrendo, essere tornato poche settimane dopo, pur orribilmente scempiato per sempre, starebbe a confermarlo.
Vedremo. Non dovesse farcela sarebbe la seconda perdita per la Ferrari, di cui comunque l’austriaco è parte della storia, in poche settimane dopo il presidente Sergio Marchionne, sì proprio quello che aveva allontanato da Maranello Montezemolo, perché in questa storia tutto si collega, compresi i polmoni ammalati sia per Marchionne sia per Niki.