Massimo Brusasco, ormai firma storica del giornalismo alessandrino e della testata Il Piccolo, è l’ospite domenicale di ALlibri. Autore per il teatro e il cabaret, ha pubblicato il libro di commedie Donne e altre stranezze, il saggio generazionale Sognavamo le Ragazze cin cin e i romanzi Palla tonda teste quadre, I Promessi sposi, la passione e il gatto che non voleva stare solo, fino al recente Il raduno dei Gramigna (Edizioni della Goccia 2018)
Collaboratore delle emittenti locali alessandrine Radio Voce Spazio e Radio Gold, Brusasco lega fin dal 1981 il suo nome fin come attore e regista alla Compagnia Teatrale Fubinese e come conduttore del sempre più apprezzato Il salotto del mandrogno, il talk show teatrale che dal 2002, una volta al mese, ha raggiunto il traguardo delle 150 puntate.
Nel suo nuovo romanzo, Massimo Brusasco racconta di Cosimo Gramigna, una brava persona, uno che si dedica al volontariato. Durante una delle molte missioni, incontra l’alpino Ernesto che porta il suo stesso cognome. Incuriosito, scopre dallo stesso Ernesto che i Gramigna sono molto più numerosi di quello che si possa pensare. “Io, al di là della mia famiglia, ne conosco alcuni. C’è uno che fa l’arbitro di calcio, poi una suora che opera in Africa. E’ gente che si dà da fare, insomma, come quel Michele che tutti i giorni va a preparare il pranzo a un’anziana signora…”.
Cosimo Gramigna pensa che valga la pena fare conoscenza degli omonimi, generosi quanto lui. E decide di organizzare un grande raduno con quanti più Gramigna possibili. Teatro dell’evento il suo piccolo paese, Casolari Diabete, frazione di Banello Monferrato.
Il raduno desta curiosità. E la notizia si diffonde. Purtroppo ne viene a conoscenza anche Vito, l’ingenuo figlio di un boss di una gang pugliese, la cui moglie Vilma sostiene che proprio un Gramigna le aveva rivolto uno sguardo malizioso in un centro d’accoglienza per immigrati, dove il Gramigna in questione presta aiuto e la signora cerca di reclutare poveri disperati per avviarli al malaffare.
Vito, seppur incapace di far male a una mosca, grida vendetta. Il padre Antonio, ne fa allora una questione d’orgoglio e, malgrado la ritrosia del figlio, lo invia nel luogo del raduno assieme a Testa Quadra, il suo uomo di fiducia, con l’obiettivo di cercare il Gramigna giusto e ucciderlo. Si mette in viaggio anche Vilma che vuole raggiungere Casolari Diabete perché innamorata di Testa Quadra.
Che succederà il giorno del raduno tra i tanti Gramigna e i tanti misteri che accudiscono?
UNA PARTE DEL CAPITOLO 8…
Alle sette e mezzo della sera, Gian Piero Baldini abbassò la serranda del suo negozio di ferramenta e salì in bicicletta con la soddisfazione di avere concluso la giornata di lavoro. Fischiettando una vecchia canzone di Tony Santagata, il suo cantante preferito, svoltò l’angolo. Tutto poteva immaginare tranne che, da dietro un cassonetto della spazzatura, sbucassero quattro persone. Il primo gli intimò l’alt, il secondo lo fece cadere dalla bicicletta spintonandolo, il terzo gli si avventò contro, il quarto cercò semplicemente di ricordare quale canzone di Tony Santagata fosse.
Erano nell’ordine Bastardo Uno, Bastardo Due, Testa Quadra e Vito Lu Moscio. Gian Piero non li riconobbe tutti, ma capì immediatamente che la serata non sarebbe stata piacevole come la giornata di lavoro appena terminata.
“Sei indietro di un paio di mesi” disse uno dei due Bastardo. E l’altro aggiunse: “Un paio di mesi di arretrati non sono pochi, amico mio. Te l’abbiamo detto e ripetuto, non capiamo perché ti ostini a non pagare, proprio tu che sei sempre stato uno che si vantava della sua puntualità”.
Baldini, tentando di rialzarsi, cercò di elencare i motivi per cui era stato inadempiente: “Mia figlia ha dovuto sottoporsi a un intervento dal dentista, e lo sapete che il dentista costa. Ho avuto anche spese impreviste, si è rotto uno scarico in casa, e lo sapete che l’idraulico costa. Poi è morto mio padre….”. “Certo, lo sappiamo che il funerale costa” lo interruppe Bastardo Uno, incalzato dal compare: “Però le regole sono regole e vanno rispettate. Testa Quadra, cosa facciamo noi a chi non rispetta le regole?”.
Non diede tempo a Testa Quadra di rispondere, che sferrò un calcio su un ginocchio del povero commerciante. “Ma così gli fate male!” si ribellò Vito Lu Moscio, ignorando che faceva parte del commando perché doveva imparare qualcosa di malvagio, non per solidarizzare con le vittime.
Testa Quadra lo tirò da una parte e gli disse: “Signor Vito, lasciate fare. Bastardo Uno e Bastardo Due sono esempi virtuosi di cui vostro padre Antonio va orgoglioso. E’ stato egli stesso a pretendere che vi portassi qui oggi, proprio per seguire da vicino le imprese di rispettabili signori che si possono considerare tra i migliori della zona quando si tratta di riscuotere il pizzo”.
“Ma a me non piace come trattano quell’uomo”, disse piagnucolando.
“Non lo si può aggredire con le carezze”.
E infatti furono pugni, sferrati ora sul viso, ora all’altezza dello stomaco del povero Baldini che emetteva gemiti di dolore. “Basta, basta, vi prego” implorava la vittima.
“Ancora, ancora, così don Vito vede come si fa” ribatté uno dei Bastardo.
E Testa Quadra, rivolgendosi all’allievo, lo supplicò: “Cercate di imparare in fretta, altrimenti lo massacrano di botte”.
Qualche minuto dopo, il commando si congedò, lasciando Gian Piero Baldini a terra con le ossa rotte e una ferita sotto il labbro. Bastardo Uno e Bastardo Due andarono a relazionare l’impresa al proprio superiore, mentre Testa Quadra cercava di convincere Vito a desistere dal soccorrere il malcapitato, spiegandogli la bontà dell’azione. “Voi siete un Lo Sano e i Lo Sano vengono onorati e venerati perché fanno rispettare le regole. E, come dice vostro padre, le regole sono fondamentali per garantire la pace sociale”.
“Ma quello della ferramenta è stato picchiato, poveretto”.
“Certo, perché ha infranto la regola. Non ha pagato due mensilità, capite? E, non pagando, non contribuisce, appunto, al benessere della collettività, come direbbe sempre il vostro rispettabilissimo babbo. Non crediate che non sia stato avvisato. Ma dopo un paio di avvertimenti, bisogna intervenire. Se non lo capisce con le buone, lo capirà con le cattive. E state tranquillo che, da ora in poi, pagherà puntualmente, a meno che non voglia che il suo negozio venga incendiato, esattamente come successe lo scorso anno a suo cugino. Ricordate, vero, quando la panetteria andò a fuoco?”.
“Non fu un cortocircuito?”
“Diciamo che, non proprio casualmente, una bottiglietta incendiaria venne buttata nel locale, e altrettanto casualmente le porte furono sigillate così da ritardare eventuali interventi dei pompieri. La questione del cortocircuito fu sostenuta da un paio di giornalisti amici del clan che, minacciati a dovere, misero in dubbio le indagini delle forze dell’ordine, riuscendo a persuadere anche alcuni loro colleghi. Vostro padre è una persona scrupolosa. Non tralascia dettagli. Dovete essere orgoglioso di lui”.
“Insomma…”.
“Don Vito, voi avete la fortuna di essere erede di una grande persona, grazie alla quale, tra l’altro, io uscii di galera molto prima del previsto. Non vi resta che seguire le orme di vostro padre. Vostro padre, capite? Vostro padre, vostro pa-dre”. Scandì le parole come se avesse voluto far confessare a Lu Moscio qualcosa che non avrebbe comunque potuto dire perché, per Vito, Antonio U Cazzapète era effettivamente il genitore naturale, così come Teresina era stata sua madre. Non sapeva né di orfanotrofio né di altro, contrariamente a Testa Quadra, tormentato di continuo da un segreto che doveva per forza custodire. Anche perché non gli piaceva affatto l’idea di mangiare minestra avvelenata, o di scomparire come successe a Silvan. Né si rallegrava immaginandosi con un vestito da suora in un convento dove si praticava la clausura.
Il giorno successivo accaddero alcune cose. La prima, non fondamentale ma utile a capire, fu il titolo stampato sul quotidiano locale: “Commerciante in gravi condizioni dopo essere caduto rovinosamente dalla bicicletta”. La seconda fu un’iniziativa presa da Testa Quadra che, a metà mattinata, arrivò a casa di Vito Lo Sano chiedendo di parlare con la signora Vilma.
“Cosa vuoi da mia moglie? Devo mica preoccuparmi?”.
“Non so che cosa intendete, ma mi sento di dire che potete stare tranquillo. Vorrei soltanto cercare di capire qualcosa in più di questo tal Gramigna che voi, don Vito, dovreste uccidere”.
“Parole grosse”.
“O grosse o piccole, voi dovrete mantenere alto l’onore dei Lo Sano. Io vi sono a fianco proprio per questo. Piuttosto, la sua signora?”.
Trascorsero due secondi e lei arrivò, avvolta da una sorta di vestaglia che né la smagriva, né l’abbelliva, né le dava charme. Testa Quadra pensò che al peggio non c’è mai limite. E non è che si sbagliasse. Vilma Sansovini gli porse la mano, lui gliela baciò arricciando il naso. I convenevoli finirono immediatamente; l’ospite andò subito al sodo: “Mi spiace molto che sia stata molestata al centro degli immigrati, ma sono certo che suo marito farà giustizia, come del resto ha solennemente promesso. Purtroppo girano troppi farabutti. Banalmente qualcuno dice che i delinquenti sono stranieri, ma, come s’è appurato, non è mica sempre così”.
“Sono scandalizzata. Una donna come me, che fa dell’onestà una ragione di vita” disse Vilma.
Testa Quadra cercò di allontanare pensieri che volevano la Sansovini amoreggiante in boschi e uliveti. Annuì e aggiunse: “Sono qui perché di questo Gramigna vorrei sapere qualcosa in più. Sa com’è: non vorrei mai che suo marito uccidesse la persona sbagliata”.
“Non lo vorrei neanche io”, intervenne Vito.
La Sansovini allargò le braccia per spiegare: “Non è che l’abbia visto tanto bene. Aveva un cane”.
“Di che colore? Di che razza?”.
“Feroce”.
“Feroce non è una razza. E neanche un colore. E poi, scusi signora, ma il cane interessa poco. I cani vanno e vengono, a parte quelli di porcellana fin che non si rompono. A noi interessa sapere dell’uomo. Dobbiamo sapere qualche caratteristica. Com’è fatto, insomma”.