Desaparecidos. Parola – triste privilegio argentino! – che oggi si scrive in castigliano su tutta la stampa del mondo (Desaparecidos. Palabra – ¡triste privilegio argentino! – que hoy se escribe en castellano en toda la prensa del mundo). Da ‘Nunca Mas’, il rapporto della commissione nazionale sulla scomparsa di persone.
Ci sono termini, e luoghi che purtroppo identificano all’istante l’Argentina di quegli anni: la Escuela de mecanica de la armada (Esma), oggi il simbolo per eccellenza delle dittatura, sita a poche centinaia di metri dallo stadio Monumental del River Plate, e i prigionieri durante le partite, quando venivano momentaneamente sospese le torture, sentivano i boati dei tifosi attraverso le finestre con le inferriate.
I voli della morte, epilogo della vita di tantissimi, vita che cambiava in tragedia quando si veniva caricati su una delle Ford Falcon senza targa che “richiamava, come la pinna di un pescecane, una realtà sommersa di tortura e sterminio”.
Le Madri di Plaza de Mayo che, con le loro manifestazioni ogni giovedì sfidarono la dittatura per ritrovare i figli scomparsi. Nell’anno che precede l’inizio del mondiale (hanno iniziato a ritrovarsi alla fine di aprile del 1977) sono ancora solo «las locas de la Plaza de Mayo», che in pochi conoscono fuori dall’Argentina prima che la tv olandese, anziché trasmettere la cerimonia inaugurale, le riprenda e le proponga all’attenzione del mondo intero.
Da queste donne coraggiose, coi loro foulard bianchi, l’unica forma di resistenza che i militari non riuscirono a stroncare.
C’è una splendida intervista in cui una di loro racconta come, dopo essersi ritrovate la prima volta il sabato, scelsero invece il giovedì, e come il camminare invece di sedersi su una panchina gli venne, involontariamente, suggerito proprio da un militare.
Lei si chiama Vera Vigevani Jarach, quest’anno ne compie 90 e, incredibilmente, unisce in sé due terribili tragedie del XX secolo. Nata a Milano, nel 1939 con la sua famiglia di religione ebraica si rifugia in Argentina. Suo nonno, troppo anziano per affrontare il viaggio, morirà in un lager. Della sua unica figlia Franca Jarach, una ragazza di appena 18 anni, si sa che venerdì’ 25 giugno del 1976 era in un bar, l’Exedra, o nelle vicinanze. Dopo, più niente.
Desaparecidos. Parola – triste privilegio argentino! – che oggi conosciamo troppo bene.
“Il secolo scorso è stato pieno di repressioni e genocidi e questo non è iniziato molto meglio: dobbiamo evitare l’imbavagliamento generale, la disinformazione ed il silenzio. Io voglio stabilire dei ponti di memoria: un ponte ha due vie, pretendo e spero che anche la seconda via sia percorsa”. Se vi capita, ascoltate una delle testimonianze di Vera Vigevani Jarach, credo sia necessario.
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In questo clima si giocarono i mondiali di Argentina ’78. Come sempre succede in questi casi, è difficile riconoscere chi non sapeva quel che stava succedendo da chi semplicemente preferì distogliere lo sguardo: gli studenti delle scuole religiose il giorno dopo la finale andarono in Plaza de Mayo e gridarono “Videla corazon”, racconta lo scrittore Osvaldo Bayer.
Indubbiamente i militari avevano assimilato la lezione cilena: la presa del potere fu invisibile e discreta, le persone che sparivano sembravano inghiottite nel nulla.
Il colpo di stato avvenne alle tre di notte del 24 marzo 1976, dando inizio al periodo più tragico della storia argentina: il “Processo di riorganizzazione nazionale”.
Non fu neppure improvviso, il paese aveva già attraversato nel dopoguerra ogni tipo di traversia: i militari nel ’76 deposero Isabelita, l’ultima moglie di Juan Domingo Perón. Già presidente dal 1946 al 1955, quando sua moglie era la mitizzata Evita, finché una giunta militare seguendo un rituale che si ripeterà più volte nel corso degli anni, chiuse il parlamento, sciolse la Corte suprema di giustizia, commissariò i sindacati, impose lo stato d’assedio, e Perón trovò asilo nella Spagna del “caudillo” Franco.
A metà anni sessanta il generale Ongania, nella sua veste di comandante in capo dell’esercito, aveva formulato da West Point la cosiddetta “Dottrina della sicurezza nazionale”, in cui era teorizzato l’intervento dell’esercito nella politica interna, a difesa delle “frontiere ideologiche” contro il pericolo comunista. Per l’Argentina un ritorno al Medioevo.
Perón, ripreso il potere con le elezioni del 1973, morì il 1° luglio dell’anno successivo, e sua moglie prese il suo posto. All’interno del movimento peronista il conflitto tra la destra e la sinistra del partito era aspro e confuso, la violenza all’ordine del giorno. A marzo del 1976 l’Argentina era in una crisi economica terribile, e il tentativo di applicare i dettami del monetarismo non fecero che peggiorare la situazione.
I militari che presero il potere avevano comunque ben chiara una cosa: il mondiale già assegnato all’Argentina si sarebbe disputato, e sarebbe stato spettacolare. A ogni costo, letteralmente.
L’Argentina di Videla non era il Cile di Pinochet, dove la violenza della repressione era esibita e gli stadi trasformati in campi di concentramento; in Argentina negli stadi si giocarono partite di calcio davanti a folle di tifosi in delirio. La realtà venne ricoperta da uno spesso strato di ovatta, scrive Alec Cordolcini in ‘Pallone desaparecito’.
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Quelli del 1978 furono gli ultimi mondiali con 16 squadre alla fase finale. Da Espana ‘82 saranno 24, oggi 32 ma già si parla di salire a 48.
Noi siamo sorteggiati nel girone con la Francia del giovane campione Michel Platini e con l’Ungheria, entrambe affrontate a Mar del Plata. E siamo destinati, non col sorteggio ma per una decisione di politica calcistica, a scontrarci nell’ultimo turno coi padroni di casa, allo stadio Monumental, quello a poche centinaia di metri dalla famigerata ESMA.
I campioni in carica della Germania Ovest portano solo 7 dei 22 che avevano vinto il titolo a Monaco. Ritrovano la Polonia che quattro anni prima era stata una grande sorpresa del torneo, Tunisia e Messico.
Anche il Brasile è molto rinnovato. Della squadra che ci ha battuto in finale a Mexico ‘70 sono rimasti solo Rivellino e il portiere Leão (che allora era riserva). Il giovane campione Zico piace poco a Claudio Coutinho, che lo lascia sovente fuori. Trova tre avversari europei, l’Austria, la Spagna e la Svezia.
L’Olanda, che ha fatto innamorare tutti quattro anni prima, non ha Cruijff e sul motivo della sua assenza nel tempo si dirà di tutto. Trova nel girone l’inedito Iran, il Perù e la Scozia, che quattro anni prima era stata ingiustamente eliminata senza mai perdere, e che è partita da Glasgow campione del mondo.
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Nelle prossime settimane:
La Scozia vincerà la coppa del mondo
Apodos: il coniglio e il lupo
Enrico e Dino, uomini verticali
Sangue sul palo