Processo di Appello per l’inquinamento ambientale al polo chimico di Spinetta: le arringhe dei difensori della Solvay

Si sono completate mercoledì le arringhe degli avvocati difensori di parte Solvay al processo in Corte di Assise di Appello di Torino, per il caso ambientale di Spinetta Marengo.

In primo grado, la Corte di Assise di Alessandria aveva assolto gli amministratori di Solvay, Pierre Joris e Bernard de Laguiche, dall’accusa di avvelenamento doloso di acque. Nelle udienze di appello, i loro difensori hanno evidenziato l’assoluta inesistenza di elementi d’accusa nei confronti dei loro assistiti. Per gli altri imputati Solvay, Giorgio Carimati e Giorgio Canti, la Corte, nell’escludere l’avvelenamento, aveva derubricato l’accusa in disastro innominato colposo.

Il Pubblico Ministero applicato Riccardo Ghio e la Procura Generale di Torino con il Sostituto Procuratore Generale Marina Nuccio, nelle rispettive requisitorie, hanno riproposto l’accusa di avvelenamento, formulando richieste di pena severissime, fra i 15 e i 17 anni.

L’appello della Procura è inammissibile. Il Pubblico Ministero non ha potuto criticare le motivazioni della sentenza di primo grado relativamente alle assoluzioni, ma ha ripreso integralmente la sua precedente memoria senza nulla aggiungere.

I legali di Solvay che si sono succeduti nelle arringhe sono: Giulio Ponzanelli per la Società come responsabile civile; Massimo Dinoia per Pierre Joris, Domenico Pulitanò per Bernard de Laguiche, Roberto Fanari per Giorgio Canti, Dario Bolognesi per Giorgio Carimati e Luca Santa Maria per Giorgio Carimati e Pierre Joris.

Sintetizziamo per punti le principali argomentazioni difensive presentate in aula durante le loro arringhe:

-Per quanto riguarda la responsabilità civile.
Gli atti di appello proposti dalle persone fisiche non risarcite in primo grado sono inammissibili, posto che i motivi di impugnazione sono estremamente generici e standardizzati.
Inoltre, il responsabile civile Solvay Specialty Polymers Italy S.p.A. ha impugnato la sentenza di primo grado laddove ha accolto le pretese risarcitorie delle parti civili e ha chiesto la revoca o la riforma delle relative statuizioni di condanna. In particolare, Solvay ritiene inammissibile, oltre che infondata, la condanna generica alla riparazione del danno ambientale, poiché non è stato provato un “deterioramento significativo e misurabile” dell’ambiente (tenuto conto sia della contaminazione storica esistente ben prima del 1995, sia degli interventi di bonifica già in corso), né sono stati rispettati i criteri di accertamento previsti dagli artt. 300 e 311 del Codice dell’Ambiente.

– Per le difese degli imputati.
– L’appello della Procura è inammissibile non essendo motivato da chiari rilevi alla sentenza di primo grado. Nel ricorso della Procura, infatti, mancano indicazioni e riferimenti di contenuti non adeguati della sentenza, che possano permettere ai giudici di appello di capire se ci sono stati errori nel giudizio in Corte d’Assise.

– L’appello della Procura è in ogni caso infondato. Il processo ha chiaramente dimostrato che l’acqua distribuita per uso civile nell’area di Spinetta Marengo è sempre risultata conforme alle norme sulla potabilità delle acque. Tale circostanza, confermata dalle relazioni tecniche dei consulenti del PM e dalla stessa sentenza di primo grado, consente di affermare con certezza che la salute degli abitanti di Spinetta Marengo non è mai stata messa a repentaglio.

– Il fatto che la popolazione di Spinetta Marengo abbia sempre bevuto acqua potabile esclude sia il delitto di avvelenamento, sia quello di disastro innominato: entrambi i reati, infatti, richiedono la prova di un pericolo per la pubblica incolumità, prova che in questo processo è del tutto assente.
– La sentenza di primo grado ha sostenuto l’esistenza del disastro innominato immaginando scenari di pericolo mai contestati e tanto meno provati dalla pubblica accusa.

– Solvay, nel 2001, quando ha acquistato lo stabilimento di Spinetta Marengo, ha ereditato un inquinamento antico, frutto di passate gestioni industriali, ma non il patrimonio di conoscenze in possesso del precedente proprietario. Non appena ha scoperto le reali criticità ambientali del sito, nel 2004, ha informato immediatamente le pubbliche amministrazioni e ha proposto di avviare da subito i lavori per la messa in sicurezza delle acque di falda sottostanti lo stabilimento. I lavori sono stati realizzati a fine 2006, ben prima lo scoppio della cosiddetta emergenza cromo, e solo dopo aver faticosamente superato l’ostruzionismo delle stesse pubbliche amministrazioni. Nel 2008, sempre prima dell’emergenza cromo, è stata ancora Solvay a segnalare alle pubbliche amministrazioni che le caratteristiche della falda erano diverse da quelle note fino a quel momento, e che quindi la messa in sicurezza andava potenziata.

– È quindi grazie a questa attività, avviata da Solvay con ingentissimi investimenti ben prima dell’inizio di questo processo, che oggi l’area risulta messa in sicurezza e in piena fase di bonifica.

In conclusione, i difensori hanno messo in evidenza sia l’insussistenza oggettiva dei delitti di avvelenamento e disastro innominato, sia l’impegno profuso dalla Società per porre rimedio a criticità ambientali che le erano state nascoste al momento dell’acquisito e che erano state ignorate dalle pubbliche amministrazioni per anni.

È sulla base di questi argomenti che i difensori Solvay hanno chiesto la conferma dell’assoluzione degli amministratori delegati, l’assoluzione degli imputati condannati per disastro colposo, e il rigetto di tutte le richieste risarcitorie nei confronti della Società.