Prima la pioggia, poi il sole. La primavera è questa. E come ogni giorno, anche in questo mese di aprile del 2018, ad Alessandria la vita scorre nel solco della più tipica quotidianità: la sveglia, la scuola e il lavoro, la spesa (quasi sempre al supermercato), l’attesa dell’autobus, la fila in banca, la lavanderia, le code in auto, i commenti sui parcheggiatori abusivi, l’aperitivo, la cena, la televisione. Di certo a quasi nessuno degli oltre novantamila abitanti importa alcunché della fine che farà la biblioteca di Umberto Eco. Come ben pochi sono raggiunti dalla dissertazione che la politica alessandrina propone quotoidianamente, anche in buonafede, va detto, su megagalattici progetti di sviluppo. La vita reale è una cosa, quella autoreferenziale della politica è decisamente un’altra.
Alessandria è bravissima a discutere senza confrontarsi con il mondo esterno. Vogliamo andare in un’ora dal capoluogo a Milano? Ecco pronte petizione e consultazione popolare, altro che iniziare prima di tutto a confrontarsi con chi gestisce il trasporto su rotaia, ovvero le Regioni Lombardia e Piemonte, oltre a Trenitalia. Vogliamo la biblioteca di Umberto Eco? In molti spiegano cosa si potrebbe fare, naturalmente con soldi che non ci sono. C’è un problema di inquinamento globale della pianura Padana? Tranquilli che le discussioni, e soluzioni, alessandrine risaneranno l’atmosfera planetaria.
Parlare di vicende in cui non si ha, di fatto, voce in capitolo è facilissimo. Risolvere i problemi è ben altro. La Biblioteca civica non ha spazio, non può ricevere donazioni, non riesce a potenziare il servizio? Passano le amministrazioni (ognuna dura cinque anni), ma di interventi nemmeno l’ombra. Ma forse è più facile discettare di progetti irrealizzabili, piuttosto che portare a termine qualcosa di semplice e capace di rispondere alle normali esigenze quotidiane di una comunità.
Il Pd quando è stato alla guida di Palazzo Rosso ha spiegato che non si poteva fare nulla perché era stato dichiarato il dissesto. Adesso che è all’opposizione è foriero di consigli. “Quando il 18 marzo 2016 il ministro Franceschini fece visita alla Cittadella di Alessandria, gli consegnammo come amministrazione comunale una lettera nella quale sottolineando le potenzialità della fortezza, ipotizzammo la creazione di un polo digitale dedicato alla conservazione e valorizzazione dei Beni culturali. Un mese dopo circa la Cittadella ottenne 25 milioni dal Governo e si aprì una fase nuova di reale prospettiva. Oggi ripartendo da quella prima idea pensiamo che si possa creare in Cittadella un centro studio e ricerca dedicato ad Umberto Eco” si legge su una nota del gruppo consiliare Pd-Lista Rossa.
A parte il fatto che i 25 milioni non ci sono ancora (almeno è stata salvata la prima erogazione da un milione e non si capisce bene come si muova la Soprintendenza e quali azioni si possano mettere in campo per iniziare una lunga, complicata, costosissima opera di bonifica, ristrutturazione, risanamento della fortezza, ecco che si pensa a “un polo che qualifichi la Cittadella e che ambisca a diventare riferimento nazionale e internazionale per la ricerca e l’applicazione di nuove tecnologie per la salvaguardia e il restauro dei beni archivistici ma anche beni culturali e architettonici, per sperimentare e realizzare idee creative, per ospitare biblioteche e archivi scientifici per favorire le start-up di giovani, accogliere spin-off dell’Università”. Sulla bontà dell’idea non c’è nulla da eccepire. Sulla praticabilità in termini economici e di tempi, siamo esattamente nella situazione opposta.
Quando il polo Human Technopole che sta sorgendo sul sito dell’Expo di Milano sarà operativo, probabilmente Alessandria starà ancora definendo i particolari progettuali del suo polo di innovazione. Pensare in grande è fondamentale, ma con i piedi per terra e ben consapevoli che la velocità dell’economia e l’affidabilità di un territorio non si misura con le parole, bensì con gli atti. Il commento finale del Pd suona così: “Parliamo di lavoro, per intenderci”. Certo. Ma le risposte vanno date appena possibile.
Durante la giunta precedente si era manifestata l’ipotesi di un insediamento di Amazon. Qualche contatto, poi nulla più. Dopo un anno e mezzo ha aperto l’enorme centro logistico alle porte di Vercelli. Da anni si parla quasi quotidianamente di rilancio dello scalo ferroviario. E ormai la ruggine è padrina delle decine di chilometri di binari. Ogni nuova amministrazione si annuncia con proposte mirabolanti. Proprio non si riesce a lavorare sulla programmazione a lungo termine, indispensabile, ma lavorando parallelamente sulle piccole cose? Che poi sono quelle che fanno bene alla comunità, anche se non portano ogni giorno sul giornale.
Per chi se la fosse persa (e sono certamente moltissimi), la storia della biblioteca di Eco è semplice: a chi andrà il patrimonio librario – circa trentamila volumi e 1.200 libri antichi dal valore stimato compresofra 2 e 4 milioni di euro – dell’autore de ‘Il nome della rosa’? Milano e Bologna si stanno contendendo i libri. Nella prima Umberto Eco viveva, in un appartamento che si affaccia su Piazza Castello, ed è la città dove fra le molte cose ha anche investito in modo consistente nel settore dell’editoria, mentre nella seconda ha insegnato per anni all’università e ha fondato il Dams. Cosa ha a che fare Alessandria con tutto questo? Nulla. E nemmeno la famiglia ha mai palesato la più pallida idea di prendere in considerazione la città in cui è nato. Il figlio Stefano, a nome della mamma Renate e della sorella Carlotta, ha precisato all’agenzia Ansa che “la biblioteca verrà donata a una istituzione in grado di valorizzarla e consentirne la consultazione pubblica”. E che per i libri antichi “non sono mai state prese in considerazione ipotesi di cessioni a università estere o vendite all’estero, né la vendita all’asta o il frazionamento”. La famiglia “ritiene giusto che la biblioteca rimanga in Italia”, ma al momento ha deciso di prendere tempo per “una scelta in serenità”, sospendendo così per ora ogni trattativa.