Le notti della luna piena: Francia, 1984 [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

Qui la prima parte

Noi non ci qualifichiamo agli Europei dell’84 disputati in Francia perché ci fa fuori la Romania allenata dal giovane Mircea Lucescu, uno a cui piace molto il nostro calcio, infatti verrà a portare la sua furbizia sulle panchine di Pisa, Reggiana, Brescia e Inter, chiamato a sorpresa da Moratti a sostituire l’esonerato Gigi Simoni (uno dei più gravi errori del buon Massimo).

La Romania viene subito eliminata nel suo gruppo della fase finale, insieme alla Germania (sorpresa!). Passano, dopo molto equilibrio, la Spagna quando all’ultimo minuto dell’ultima partita il difensore Maceda di testa batte Schumacher (che aveva parato un rigore, i tedeschi avevano preso una traversa con Briegel, un palo con Andy Brehme) e il Portogallo, con soli due gol fatti.

Cioè ben cinque in meno del bottino, nello stesso numero di incontri (tre), di Michel Platini: due triplette consecutive a Belgio e Jugoslavia dopo il gol vincente dell’esordio con la Danimarca. Proprio i danesi si qualificano insieme ai padroni di casa, rimontando da 0-2 a 3-2 con il Belgio, in un girone dove si segnano in sei partite ventitré reti, contro le nove dell’altro.

La Danimarca è fortissima. La guida il vecchio Morten Olsen, trentacinque anni ma sarà il capitano ancora per parecchio (e poi l’allenatore), tanto che tra i nomignoli della nazionale rimangono Olsen-Banden e Olsens Elleve. C’è ancora Allan Simonsen ma si rompe una gamba nell’esordio con la Francia. Diversi vengono a giocare in Italia: Elkjaer fantastico al Verona, Klaus Berggreen, Michelino Laudrup. Nel Belgio esordisce il giovanissimo Vincenzo Scifo, la Jugoslavia ancora unita, come sempre, ha superbi talenti (su tutti il bosniaco Safet Sušić, quello che complice Moggi firmò contemporaneamente per Torino e Inter, finendo così… al PSG) che non fanno una squadra.

L’incrocio delle semifinali determina una Danimarca-Spagna a Lione (vanno ai rigori, sbaglia proprio Elkjaer), mentre al Velodrome di Marsiglia la Francia affronterà il Portogallo.

Una delle cose odiose di Platini era quel tipico esultare dopo il gol, col ditino alzato, giusto per rimarcare a tutti la sua spocchia (non che ce ne fosse bisogno). Invece, quando segnò alla fine del secondo tempo supplementare di una delle partite più belle di sempre agli europei, semplicemente si mise a correre per l’area di rigore, una volta tanto soprattutto gioioso. Se l’erano vista brutta.

Nei tempi regolamentari dominio assoluto dei transalpini, gol su punizione non di “Roi” Michel ma del difensore Domergue, al primo centro con la maglia dei bleus, poi tante occasioni sbagliate e beffa nel finale, pareggio di Jordao grazie a una dolcissima invenzione di Fernando Chalana.

Chalana era un personaggio: bacino basso (statura 1,65), gambe corte e capelli lunghi; baffoni sul sorriso clownesco, secondo Eriksson che lo allenava al Benfica il giocatore più talentuoso mai incrociato.

Quando iniziano i supplementari le gambe dei galletti tremano e, sempre grazie a un assist di Chalana, di nuovo Jordao segna. Ora il Portogallo è, del tutto a sorpresa, in vantaggio (se non vi suona nuova: ebbene sì finora sembra la trama della finale degli ultimi europei, pure giocati in Francia).

Alla fine del primo supplementare: Portogallo 2, Francia 1. I padroni di casa, che non hanno mai vinto niente, rischiano di non riuscirci neanche stavolta. Stessa cosa per il loro capitano Michel Platini. I portoghesi iniziano a pensare di andarsene a Parigi.

Com’è la Parigi in quell’estate? Cosa fanno i suoi giovani? Chi lo racconta meglio di tutti è un regista di sessantaquattro anni. Eric Rohmer, esordio negli anni cinquanta, in carriera gira diversi film a tema, “seriali”: i Sei racconti morali tra il ’62 e il ‘72, negli anni ottanta Commedie e proverbi tra cui appunto ‘Le notti della luna piena’ che uscirà il 29 agosto di quel 1984. Il film, in una Parigi che mostra la sua magia perfino in quartieri come Les Halles, o il parc de La Villette, sa raccontare come nessun altro i giovani parigini dell’epoca, in buona parte grazie a Pascale Ogier, musa (partecipò alla scelta dei costumi, degli arredi, delle musiche e dei luoghi) ancor prima che interprete.

Figlia di Bulle Ogier, attrice della fine anni sessanta che la ebbe adolescente, cresciuta col di lei compagno Barbet Schroeder (Il mistero von Bulow, tra gli altri), una specie di flirt con Jim Jarmusch (era nella sua “banda b.c.b.g. – bon chic bon genre) che le dedicherà Daunbailò (sì, quello con Benigni e Tom Waits), come scrive un giornale: “Les filles de ce Paris 1984 voient Pascale comme leur modèle, les garçons rêvent qu’elle soit leur princesse. Et ce film, Les Nuits de la pleine lune, leur est tendu comme un miroir” (le ragazze di quella Parigi del 1984 vedono in Pascale il loro modello, i ragazzi sognano che diventi la loro principessa. E quel film è offerto loro come uno specchio).

È la nazionale di Michel Platini, ma la Francia ha tanti altri campioni, soprattutto a centrocampo con il piccolo Giresse, con Fernàndez, con Tigana che ha la maglia tanto lunga, portata fuori dai calzoncini, che sembra indossi un vestitino: formano le Carré Magique.

A riaprire i giochi nella semifinale col Portogallo, peraltro, pensa Jean-François Domergue: secondo gol dell’incontro, secondo in nazionale. E ultimo. Uno score tale e quale a Lilian Thuram, decisivo in un’altra semifinale, nel mondiale del 1998 pure giocato in casa.

Tutti pensano ai rigori, invece “all’ultimo respiro” Michel, proprio servito da Tigana, segna il 3-2 che ribalta l’esito dell’incontro e manda i padroni di casa a una finale che tutti aspettano come il prologo alla grande festa.

Lui: “Perché questa notte nessuno ha dormito.”

Louise (il personaggio di Pascale Ogier nel film di Rohmer): “Nessuno?”

“No. Neanche chi è andato a letto.”

“Mi scusi, ma come fa a saperlo?”

“Perché è colpa della luna piena.”

“La luna piena?”

“Ma come, non lo sa?”

“Non so neanche quando c’è o non c’è, la luna piena” (conclude il dialogo Louise).

Il 27 giugno del 1984 la luna non è piena, è calante. Lo stesso nessuno dorme a Parigi, in Francia, tutti a festeggiare la vittoria, maturata con un 2-0 iniziato da un altro gol di Platini (il nono in cinque partite!) con la complicità del portiere spagnolo, il capitano Arconada (il basco fino a quel momento aveva parato tutto, e anche per gran merito suo le furie rosse erano arrivate fino alla finale).

Michel ha finalmente il suo trofeo, a Parigi è “Le Roi”. Da ora nel suo destino anche le vittorie.

La “princesse” Pascale, invece, nel suo destino ha un’importante vittoria (migliore attrice alla mostra di Venezia) ma soprattutto l’imminente tragedia.

“Pascale est morte au petit matin du jeudi 25 octobre 1984, la veille de ses 26 ans, au sortir d’une fête… Morte d’un souffle au coeur, et peut-être d’autre chose.”

Chi ha spiegato meglio di tutti com’era, oltre ovviamente a Rohmer, è stata Natalia Aspesi, in un articolo apparso su Repubblica quando tutti, basiti, ci chiedevamo come fosse stato possibile morire così, “un souffle au coeur (et peut-être d’autre chose)” la notte prima del ventiseiesimo compleanno.

Lei “…riusciva a incarnare senza mediazioni cinematografiche l’ideale dolce e aspro, confuso e frivolo, autonomo e commovente di una nuova femminilità incauta e ancora inafferrabile” scrisse Natalia Aspesi: “eppure, per quanto la sua grazia fosse legata proprio alla sua fragilità fisica, a Venezia essa sembrava instancabile, soprattutto coi fotografi sedotti dalla sua creatività davanti alla macchina da presa, dalla sinuosità dei suoi gesti, dalle invenzioni del suo abbigliamento che lei aveva composto con l’intensità che le ragazze d’oggi dedicano ai vestiti come affermazione visiva delle loro idee. Non bella, molto attraente, con il viso roseo a punta, i grandi occhi neri, la pettinatura ottocentesca, il corpo affusolato adatto ad ogni travestimento, la ragazza quasi sconosciuta in Italia, raccontava di sé con una voce leggera e incantevole”.