Le notti della luna piena [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

Quando Liam Brady segnò il rigore che permise alla Juventus di vincere lo scudetto della seconda stella, come scrivevamo, “già sapeva di dovere lasciare il posto”. Dalla Francia arrivava a sostituirlo, “pagato un tozzo di pane” secondo il solito celebrato umorismo dell’Avvocato, Michel Platini (“lui ci ha messo sopra il foie gras”, aggiungeva l’Avvocato).

Tu odi la Juve, mi dicono. Vero, confermo.
Devo, peraltro, confessare una debolezza, per un giocatore oltretutto non dei più simpatici. Però, accidenti, che bellezza vederlo giocare, Platini.

Oggi i problemi che sta avendo da dirigente calcistico, uniti al fatto che lui di certo non è che si sia fatto amare nell’ambiente, fan sì che venga raccontato e celebrato meno del dovuto, mi pare. È stato (come sempre a mio modestissimo parere) il Cruijff del decennio successivo, per impatto sul gioco se non per caratteristiche tecniche. È stato uno dei centrocampisti più belli che io abbia visto giocare, e anche uno dei più bravi di sempre a trovare con continuità il gol.

Michel Platini arrivó infine in Italia (da dove erano partiti i suoi nonni, novaresi) alla Juventus e non all’Inter che l’aveva cercato per primo, poi non ci aveva creduto a sufficienza (di mezzo un infortunio serio), nell’estate del 1982. Aveva già ventisette anni, e aveva sempre giocato in Francia con squadre di club medie come il Nancy o comunque non abituate ai trofei continentali come il St. Etienne, che pure era allora forte di campioni come l’idolo Rocheteau e il grande Johnny Rep che aveva vissuto gli anni d’oro dell’Ajax e della nazionale “orange”.

L’avevamo notato la prima volta quando fece – di fatto – due gol in pochi minuti a Zoff in un pareggio tra le nazionali (2-2, vincevamo due a zero), un’amichevole a Napoli poco prima del mondiale di Argentina (han fatto quarant’anni un mesetto fa). Si guadagnò una punizione dal limite, con dribbling ubriacanti. La mise nel sette a destra del Dino nazionale. L’arbitro annullò. Lui, sempre impassibile, infilò la punizione successiva, rasoterra, a sinistra del portierone inutilmente proteso in tuffo.

“A questo punto non possono esistere più discussioni, – dirà Beppe Viola nel servizio del TG1 – Platini è un giocatore di grande talento.”

Era riapparso quattro anni dopo, a un passo dalla finale mondiale in quella che oggi viene ricordata come la “notte di Siviglia”. Ad abbattere le speranze dei galletti, e non è un modo di dire, pensò il portiere tedesco Schumacher col suo terribile intervento su Battiston, lasciato per terra più morto che vivo in una semifinale che sembrava già vinta per i transalpini, avanti di due gol nei supplementari.

Arrivò in Italia a ventisette anni, non più ragazzino Platini, e di importante non aveva ancora vinto niente. Oltretutto risultava avere qualche problema coi vicini tedeschi (è nato nel dipartimento di Meurthe-et-Moselle, regione Grand Est, frontiera franco-tedesca tra il 1871 e la fine della prima guerra mondiale), come dimostrato pure dalla finale di Coppa Campioni del 1983 contro l’Amburgo, che sembrava già dei bianconeri, finché non ci pensò Felix Magath a risolverla con una delle più grandi beffe europee della squadra della Fiat.

Michel Platini arriva in bianconero subito dopo il mondiale di Spagna del 1982, trova un bel po’ di campioni del mondo – è una squadra che inizia ancora con Zoff Gentile Cabrini… – e l’altro straniero appena acquistato, Zbigniew “Zibì” Boniek che presto il solito Avvocato etichetterà “bello di notte” visto che in coppa rendeva molto più che in campionato. Devono vincere tutto, perdono il campionato, dove esordiscono battuti 1-0 dalla Samp (gol di Ferroni) e come detto la coppa con le orecchie (la finale di Atene sarà l’ultima partita giocata dal grandissimo Dino Zoff).
Il francese parte male, ma chiude comunque con 16 gol in campionato e 28 complessivi (in 52 partite giocate, il più presente). Pablito Rossi l’eroe mundial inizia il suo declino: appena sette gol in campionato, ma ne aggiunge sei in Coppa Campioni, compreso quello al primo minuto della vittoria di Birmingham contro l’Aston Villa (Telemontecarlo che ha comprato la partita è ancora in pubblicità).

L’anno successivo si torna alla normalità, campionato vinto, il francese ne fa venti mentre in Coppa delle Coppe va in rete solo all’esordio, coi polacchi del Lechia Danzica, un 7-0 che replica il punteggio della prima partita di serie A (travolto l’Ascoli).

Noi, nel mentre, siamo campioni del mondo ma non ci qualifichiamo per la fase finale degli europei, la seconda edizione con otto finaliste. La prima – 1980 – era stata da noi, nell’estate del calcioscommesse: si giocò in stadi semivuoti e finì mestamente. Azzurri fuori contro il Belgio, giocando male, vittoria tanto per cambiare della Germania in un torneo che vale la pena ricordare solo perché si rivela il biondo centrocampista Bernd Schuster, subito acquistato dal Barcellona dove, appena arrivato (il benvenuto nello spogliatoio sono le foto appese della splendida, pepata, moglie Gaby nuda per Playboy), si azzuffa con il veterano Migueli prima di diventare il pupillo del settantenne HH, all’ultima panchina.

Nell’estate del 1984 la fase finale degli europei si disputerà in Francia. A Parigi, intanto, sono le notti della luna piena.

(segue)