Il compagno di penna per questo nostro appuntamento domenicale è un autore casalese, Christian Sartirana, che dopo vari spostamenti ha scelto di stabilirsi ad Aramengo, tra le colline dell’astigiano. Tale è il suo interesse per i libri, da lavorare come artigiano rilegatore. In veste di scrittore ha pubblicato diversi racconti e romanzi brevi, incentrando la propria attività letteraria sul mondo della narrativa fantastica, oltre che su quella per l’infanzia, interesse comune con Francesca, la sua compagna illustratrice (con la quale condivide il brand Book Cemetery).
Insieme ad altri autori e alla casa editrice Acheron Books, ha definito il nuovo movimento letterario Strän Il Neogotico Piemontese che raccoglie e diffonde alcune tra le migliori firme piemontesi del settore weird italiano.
Il testo presentato oggi su ALlibri è uno stralcio del racconto La memoria della polvere, inserito nell’antologia Ipnagogica (edita da Acheron Books 2017) dove Christian Sartirana indaga con i suoi strumenti più congeniali la questione amianto. In questa sua antologia sono raccolti cinque racconti horror capaci di condurre il lettore lungo le strade perdute del Piemonte da incubo, là dove si incrociano fantasmi di vecchi carri funebri, bambini con gli occhi cuciti, porte che si aprono su luoghi sbagliati, e mani deformi dotate di vita propria…
Come dice Eraldo Baldini, uno dei padri del gotico italiano, Christian Sartirana riesce a “creare incubi, distillare i succhi acidi delle nostre cattiverie, cercare il fascino freddo delle ombre più scure e malate, indagare la metà oscura di luoghi e anime, vedere la realtà (e in particolare quella della provincia italiana) con gli occhi acuti di chi, con la fantasia e le parole, sa comporre mosaici d’inquietudine e percorsi nella follia, nella fobia e nel terrore”
di Christian Sartirana
“Questa città ormai è conosciuta solo per le sue disgrazie. Guarda qua,” disse indicando un articolo. “Ci vengono perfino i turisti, neanche fossero i campi di Auschwitz!”
“Non è una bella immagine,” fece l’altro uomo.
“La città della polvere, la chiamano!”, disse il terzo. “Sarebbe ora di piantarla!”
“Vallo a dire alle mogli degli operai che sono morti,” intervenne il barista.
“Sono passati quarant’anni, non bastano per finirla una volta per tutte?”
Il barista fece spallucce e la discussione morì lì. I tre uomini pagarono il conto e se ne andarono. Rimasero soltanto Filippo, il barista, e il tizio in tuta da lavoro in fondo alla sala. Da quando Filippo era entrato, non si era mosso di un centimetro. Continuava a fissare il tavolo con le mani giunte attorno a un bicchiere d’acqua.
C’era qualcosa di strano in lui. La sua tuta era completamente ricoperta da una polvere grigia. Ne aveva anche nei capelli. Il suo sguardo era vuoto.
“Lei è di Casale?” gli domandò il barista.
Filippo si voltò di nuovo verso il bancone. “No, vivo in una di quelle case dopo la periferia, verso la collina. Mi sono trasferito da poco.”
“Ah,” fece l’altro. “E come vi trovate? È un posto piuttosto tranquillo, vero?”
“Anche troppo.”
Il barista a quel punto assunse un’aria cupa. “Questa zona è stata rovinata. Infettata.”
“Si, ho sentito parlare dello stabilimento. Ma è passato molto tempo, non capisco perché la gente continui a evitare il posto. C’è ancora pericolo?”
Il barista scosse la testa. “In un certo senso è come se il disastro non fosse mai passato. La gente ci prova a venire qui, mi creda… Il posto è bello e tranquillo, e anche vicino alla città, ma dopo un paio di mesi se ne vanno tutti, e questo anche se gli affitti sono bassissimi. Perché? Non lo so, ma non credo sia a causa delle polveri. Forse è per qualcosa che le polveri hanno lasciato. Fantasmi, ma di un tipo strano. Questi non fanno cigolare le catene, né tirano le lenzuola mentre dormi. Ti si piazzano davanti e ti guardano fisso, sino a sfinirti. Dice che è assurdo? Ho sentito di famiglie che hanno traslocato qui e poi se la sono svignata nel giro di una settimana. E che dire della vecchia madre che va ad aspettare il figlio davanti alla fabbrica? Si piazza di fronte ai cancelli chiusi con i catenacci e se ne sta lì finché qualcuno non si decide a riportarla a casa. Crede che il figlio sia vivo e che alle sei smonterà dal turno. Ci sono solo ricordi dolorosi, in questo posto. Le persone sane li evitano, le altre ci perdono la ragione. Quindi voi abitate vicino alla diga?” chiese infine.
“Sì, proprio sopra a quella casa coperta dalla boscaglia. Quella con gli abbaini alti.”
Il barista annuì. “Sì, ho capito quale. La vecchia casa dei Baldovino.”
“È abbandonata, vero?”
Il barista parve sorpreso da quella domanda. “Certo. Ed è un miracolo che sia ancora in piedi. Perché me lo chiede?”
Filippo sollevò le spalle. “Curiosità. La vedo sempre dalla finestra del mio studio.”
“È vuota da poco dopo la chiusura dello stabilimento. I Baldovino erano i proprietari di una ditta di pompe funebri proprio qui vicino, nella vecchia zona industriale. Quando la gente ha cominciato a morire c’è stato un momento in cui quel loro maledetto carro funebre passava su e giù per la città. E quando lo vedevi, sapevi già che cosa stava succedendo. Per i Baldovino quello delle polveri fu un affare d’oro, ma poi si ammalarono anche loro, e la ditta finì in mano ai figli che la fecero fallire miseramente.”
Dopo quell’ultima battuta Filippo si congedò. Aveva sentito abbastanza e voleva tornare a casa. Quindi pagò il caffè e uscì dal locale.