Avevo convissuto per un anno con la possibilità che Liam Brady venisse trasferito a un altro club alla stessa maniera in cui, alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, gli adolescenti americani hanno convissuto con la possibilità di un’apocalisse incombente… Non avevo mai provato niente di simile per un giocatore dell’Arsenal: durante cinque anni era stato il nucleo centrale della squadra, e quindi il centro di una parte molto importante di me… Io lo adoravo perché era grande, e lo adoravo perché, nel nostro gergo, se lo spremevi sprizzava Arsenal da tutti i pori… ma c’era anche una terza cosa. Era intelligente…
Non lo rimpiazzammo mai degnamente, ma trovammo altre persone, con altre qualità; ed io impiegai parecchio tempo per rendermi conto che anche questo era un modo come un altro per affrontare una perdita.
Nick Hornby, Febbre a 90’
Quando Liam Brady segnò, alla mezzora del secondo tempo dell’ultima partita di campionato, a metà maggio del 1982, a Catanzaro, il rigore che permise alla Juventus di staccare la Fiorentina e vincere (non senza polemiche) lo scudetto, come scrivevamo la scorsa settimana “già sapeva di dovere lasciare il posto”.
Brady faceva parte della prima infornata di giocatori stranieri arrivati nella nostra serie A dopo quattordici anni d’autarchia.
Chiudemmo le frontiere nel 1966, in seguito alla disfatta contro la Corea nel mondiale inglese, le riaprimmo nell’estate del 1980, cercando di innalzare il livello tecnico del nostro campionato che si stava impoverendo, con partite sovente col “risultato a occhiali”. Per dirla tutta, e col senno di poi, in quei campionati senza stranieri erano peraltro cresciuti i giocatori che due anni dopo avrebbero vinto il Mundial di Spagna (e già nel ‘78 avevano giocato il calcio più bello di tutti al mondiale argentino).
Quando riaprimmo dunque le frontiere, limitando la possibilità di acquisto a un giocatore solo per le squadre in serie A (e cinque società su sedici rinunciarono), arrivarono in Italia undici stranieri, che raccontata adesso fa tenerezza (probabilmente sono meno di quanti ne compri un’Udinese o un Genoa a ogni mercato).
Ovviamente, stavano nel gruppo campioni, brocchi, personaggi strani: oltre a Liam Brady, con i Falcao e i Ruud Krol arrivarono pure gli Eneas e i Van de Korput, o Juary che ricordiamo sorridendo perché esultava girando attorno alla bandierina e che bollammo come brocco, ma poi segnerà un gol decisivo nella finale di Coppa dei Campioni vinta dal Porto contro il Bayern.
Mentre l’Inter campione in carica aveva invece pescato in Austria il centrocampista Prohaska, grande tecnica ma passo decisamente troppo compassato già per l’epoca.
Brady arrivava, dunque, dopo essere stato l’idolo assoluto di Highbury, a rafforzare una Juventus che dava costantemente alla nazionale nove o dieci titolari, eppure aveva appena perso due campionati consecutivi, andati alle milanesi: prima i rossoneri poi i nerazzurri.
Coi rossoneri nell’80 scesi per la prima volta in serie B, conseguenza del primo clamoroso calcioscommesse, quello di Trinca e Cruciani, delle volanti in campo alla fine delle partite della domenica, degli arresti clamorosi, tra gli altri Manfredonia, Wilson e Bruno Giordano (che peraltro finirà suo malgrado in ‘Romanzo criminale’) della Lazio, Ricky Albertosi il portiere di Mexico ‘70 che giocava nel Milan (e lo potevi sempre trovare al limitrofo ippodromo di San Siro), addirittura del coinvolgimento dell’adorato giovane centravanti Paolo Rossi non ancora Pablito.
“Impreca la Fiorentina anche per un gol annullato,” dice Antonio Capitta alla Domenica Sportiva del 16 maggio 1982. “Regalaci un sogno. recava scritto uno striscione viola, issato dai tifosi fiorentini giunti in duemila a Cagliari. Il sogno torna nel cassetto.”
Con Liam Brady a centrocampo la Juventus vinse due scudetti di fila, non senza polemiche: il primo davanti alla Roma, e lo ricordiamo per il gol annullato a Ramon Turone nello scontro diretto. Come già scritto, il presidente giallorosso Viola coniò a proposito del fuorigioco di Turone la famosa frase: “questione di centimetri”. Noto che il gol lo annulló l’arbitro Bergamo, poi designatore con Pairetto, quando entrambi erano agli ordini del direttore generale della società torinese.
Il secondo, nella stagione che portava al Mundial – il rischio di uno spareggio tra bianconeri e viola, che si sarebbe giocato a ridosso di Spagna ‘82 atterriva la federazione – davanti alla Fiorentina allenata da Picchio De Sisti, anche grazie al gol annullato a Ciccio Graziani nell’ultima giornata, per quello che di solito definiamo “fallo di confusione”.
Era l’anno in cui Giancarlo Antognoni aveva rischiato di morire in campo per un’uscita assassina del portiere genoano Martina (che fece scuola, e lo imitò pochi mesi dopo al Mundial il suo collega tedesco Schumacher contro il povero Battiston).
A sostituire per diversi mesi il “bell’Antonio”, con sorprendenti prestazioni e due gol pesanti contro Milan e Roma, fu Luciano Miani, venticinque anni, poco considerato prima, una carriera in rapida discesa dopo, anche un passaggio coi grigi senza lasciare il segno: 7 presenze nella stagione 1987-88, quella in cui Gino Amisano ci ripescò (letteralmente) e disputammo un avventuroso, pure per certi versi divertente campionato nel girone B della C2 (ce ne sarebbe da ricordare, a iniziare da quel gol di rapina di Pino Tortora allo scadere nel derby coi nerostellati, una partita orrenda finita in gloria). A centrocampo, dove spiccava “Bisolone”, a Miani (per dire quanto scaduto fosse) era sempre preferito Mastini, o Ivan Ferretti il figlio di Mirko.
Un’altra presenza grigia in quella Fiorentina era Renzo Contratto, qui negli anni di Cavallo, ottimo difensore che proprio coi viola fece più di duecento presenze.
Quando Liam Brady segnò, alla mezzora del secondo tempo dell’ultima partita di campionato, a metà maggio del 1982, a Catanzaro, il rigore che permise alla Juventus di staccare la Fiorentina e vincere (non senza polemiche) lo scudetto, “già sapeva di dovere lasciare il posto”. Ne parleremo prossimamente.