Corso Roma e le pietre d’inciampo.
Parlando della città, a volte, si può anche tornare su argomenti già trattati.
In quante occasioni ho raccontato fatti e aneddoti tornati alla mente grazie alle cartoline dell’Alessandria di un tempo?
Bene, tante volte ne ho parlato e tante volte ancora ne parlerò.
L’occasione di questa puntata nasce per una rovinosa caduta.
– Che cosa c’entra una caduta? – Si chiederà il mio paziente lettore. Non c’entrerebbe nulla, se Corso Roma fosse rimasta1 come era un tempo, in quanto il ruzzolone difficilmente ci sarebbe stato. Una volta cadeva soltanto qualche incauto ciclista che andava a finire con le ruote della bicicletta nella sede delle rotaie del tram. Tram, appunto, quindi servizio utile e necessario per la collettività.
Invece il capitombolo di cui parlo oggi è un ruzzolone recentissimo, che mi offre l’occcasione di mostrare l’ennesimo scorcio di Corso Roma, così com’era all’inizio degli anni Trenta, quando ancora non si cadeva così facilmente.
L’ennesimo capitombolo! Infatti, da quando qualche bella testa fina ha partorito2 il progetto di questo scempio urbanistico e qualche altra testa, che non definisco per mero pudore, ha deciso di mettere in pratica il progetto, la gente cade. Continua a cadere e – di certo – sempre cadrà!
Qualche anno fa capitò ad una mia carissima amica – nei pressi dell’edicola di Piazzetta della Lega Lombarda – e pochi giorni or sono è successo ad una ragazza che non conosco… ma che ha conosciuto bene la durezza del discutibile fondo di cui la strada è lastricata.
A detta di molti tante persone sono cadute in questi ultimi anni per via di quelle ignobili cunette che sembrano essere state create a bella posta per che si possa perdere l’equilibrio. Questo è uno – uno su mille – dei motivi per cui spesso mi scaglio contro certi politici (rigorosamente con la p minuscola).
Un giorno un mio conoscente, chiacchierando del fondo stradale di Corso Roma, mi diceva che spesso si soffermava a pensare a quella bella mente illuminata che – oltre ad inventare le ormai famose cunette-amiche-degli-ortopedici, aveva avuto – forse in sogno o in seguito all’assunzione di bevande alcoliche o di sostanze allucinogene – la visione di una strada lastricata di un materiale assurdo e tutta punteggiata di lumini cimiteriali immersi direttamente nel fondo stradale.
A volte anch’io mi chiedo quale mente possa avere uno che progetta simili “astrusità”. Quei lumini poi, che (accesi) hanno fatto brutta mostra di sé per pochi giorni soltanto, si saranno spenti in poco tempo, forse anche per via delle maledizioni dei passanti. Anche da spenti continuano a fare brutta mostra di sé, some tanti occhi a cui manca la vista, come tanti inutili buchi che testimoniano il valore di chi li ha progettati e voluti.
Ecco, certi progettisti (continuava a sostenere il mio interlocutore di cui sopra) fanno paura perché poi, oltre a partorire delle pensate che già soltanto per questo sarebbero da ricovero in manicomio, hanno anche un riscontro nella realtà, essendoci sprovveduti che, credendo in queste idiozie allo stato progettuale permettono di farne cosa fatta. Trovano chi ha il coraggio di metterle in pratica! Con soldi pubblici aggiungo io.
Nessuno di quelli che hanno voluto queste astruse ed intollerabili modernità si è mai preso la briga di riparare il danno (a proprie spese), di rimettere a posto quella pseudo illuminazione o di pretendere che a farlo fosse colui che aveva concepito tale ridicolo e risibile progetto.
Io adesso vorrei che chi mi legge andasse a controllare se quanto asserisco non corrisponda al vero. Una capatina in Corso Roma, ma anche in Piazzetta della Lega, toglierebbe ogni dubbio e chiarirebbe molti concetti.
Ad onor del vero devo ammettere che – per qualche misteriosa ragione – le lucine interrate lungo il perimetro dell’Obelisco ai Caduti, almeno fino al momento di andare in macchina, sono ancora miracolosamente tutte accese. Poco importa questo, comunque, in quanto per motivi estetici e di decoro sarebbe meglio non fossero neppure mai state pensate.
Non ho voluto mettermi a contare quanti siano i punti luce che – lungo Corso Roma, a partire dalla Piazzetta – arrivano fino all’incrocio con Corso Crimea. Bene non so quanti ce ne siano esattamente ma di una cosa sono certo: non ce n’è uno, non uno soltanto, ancora funzionante.
Se mi avessero chiesto un modesto parere prima di fare questa ghinata (soprattutto dispendiosissima, oltre che inutile) avrei saputo dare io il giusto consiglio.
Politici! Prima di fare certe cose chiedete a Tony Frisina. Lui vi consiglia bene! (Per il bene della città e del cittadino).
Senza essere un elettricista e neppure un ingegnere… ma soltanto e semplicemente un modesto geometra, avrei detto loro:
“Lasla buji!!! Lasa stè cul c’u j’è ša, ch’èl và ben acsé ‘cme ch’a l’è!!!” Tipica risposta dell’uomo qualunque, forse, ma di certo risposta saggia.
Gli alessandrini capiranno queste parole senza necessità di traduzione!
Un amico, (uno tosto, che vince sempre tutte le battaglie) a cui avevo anticipato l’argomento della mia chiacchierata odierna, a proposito dell’attuale fondo di Corso Roma, mi ha suggerito trattarsi delle famose Pietre d’inciampo… (Senza nulla togliere alle Altre, a quelle Vere, più Giuste e dignitose Pietre d’inciampo; frutto di nobile gesto metterle in opera nel fondo stradale, dedicate agli ebrei alessandrini morti nell’Olocausto).
Quindi il precursore delle ormai famose (e certamente nobili) Pietre non sarebbe il tedesco Gunter Demnig ma altri. Chi vuol fare la ricerca per scoprire quali siano i nomi di questi progettisti misteriosi la faccia.
Acsì chì (ant èl Curs Ruma) u’s dròca! Si cade! Si inciampa e si continua a cadere rovinosamente!
Ma dove sono finiti i bei lastroni di granito dei marciapiedi? Dove i cubetti di porfido che per anni hanno dato modo di passeggiare in tutta tranquillità e sicurezza?
Tutte domande che hanno già una risposta e quindi evito di enunciare.
1 Non so per quale motivo Corso Roma abbia per me una connotazione femminile. Me lo sono chiesto e – non sapendomi dare una risposta – continuerò a parlarne al femminile, come se intendessi “strada”, “via”, anche se per gli alessandrini resta e sarà sempre e soltanto Corso Roma.
2 Il mio amico Antonio Silvani, vecchio ed impenitente Goliarda, nonché Pontefice Massimo dell’Italica Goliardia, certamente avrebbe definito questo lavoro con una semplice frase: “Un parto anale”.