Da Tecla [Il Superstite 364]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

La Sherlockiana, alias la Libreria del Giallo di Milano, stava in via Peschiera, una stradina quasi cieca dalle parti dell’Arco della Pace e degli imponenti giardini di Parco Sempione. Si trovava in una posizione difficile dal punto di vista commerciale perché ci dovevi andare apposta e non era neppure pensabile l’eventualità di passarci davanti per caso. Però la Sherlockiana era un posto dell’anima e per l’appassionato dei generi pop (spero di non doverli elencare) costituiva il punto di riferimento del nord Italia. Lì ci trovavi sul serio tutto, e forse di più. Da edizioni rarissime fuori catalogo a collezioni complete di tascabili da edicola: un mare magnum che a molti come me è costato non dico un occhio della testa, ma qualche decimo di vista perduta sì.

Alla Sherlockiana però esisteva una bella lista di valori aggiunti. Il profumo, il climax, la gente che ci trovavi e soprattutto lei, Tecla Dozio, affascinante e coriacea padrona di casa, autentica come l’asprezza della vita. La storia della libreria è (stata) nota: rilevata nel 1985 da Gianfranco Orsi, la prima sede in Piazza San Nazario in Brolo, il trasferimento in via Peschiera per tentare di migliorare – la controparte era il Comune – una serie di criticità dell’andamento economico. Su questo molti hanno scritto e detto, ma qui non è sede.

Da Tecla [Il Superstite 364] CorriereAl

Qui mi piace rituffarmi nel ricordo dei sabati alle ore 12, le date fisse per l’incontro con l’autore che trasformavano gli spazi un po’ angusti della Sherlockiana in un emozionante luna park dove incontravi i tuoi consimili. Mettendola sul personale, io ci andavo tutte le volte che potevo, facendo in modo di arrivare mezz’ora prima (almeno) per parlare con Tecla senza impicci e altra gente attorno. Non sempre capitava perché non ero il solo a reclamare un piccolo spazio privato ma, quando mi andava bene, quella rarità esistenziale diventava  ricchezza per la mente e per lo spirito. Decine di aneddoti e di retroscena da pochissimi conosciuti raccontavano una frammentata “storia del giallo” che il mondo ancora ignora. Immancabilmente, sul più bello, la porta si apriva, arrivava gente e le storie s’interrompevano. Le persone che entravano, a parte qualcuno che colpevolmente non conoscevo, erano leggende deambulanti: Altieri, Di Marino, Pinketts, Cappi, Oliva e Narciso tra i più noti. Poi, per dirla con Tex, i pard e le pard. Va da sé che gli incontri non andavano mai all’asciutto perché, a fine evento Tecla serviva prosecco, salatini e un primo piatto, spesso piccante per scaldarsi le ossa nel caso ci trovassimo in pieno inverno.

Tra i tanti avvenimenti ne ricordo uno perché un po’ fuori tema in quanto dedicato all’horror. Va precisato che Tecla, come molti giallisti puri, detestava l’horror. Non le piacevano le scene sanguinolente e le soluzioni “soprannaturali” perché, a suo parere, scorciatoie per addormentare i cervelli. Io evitavo di discuterci perché alla fine vinceva sempre lei e di sicuro per più di un titolo aveva ragione. In ogni caso arrivò un sabato di febbraio del 2001:  presentazione dell’antologia curata da Andrea G. Colombo ed edita da Punto Zero (ovvero, da Edoardo Rosati) Jubilaeum, un clamoroso esempio tuttora insuperato, a parer mio, di “theological horror” a più mani – e che mani, fatemele elencare: Alessandro Defilippi, Carlo Lucarelli, Edo Van Belkom, Giuliano Fiocco, Giampiero Rigosi, Gianmaria Panizza, Dario Tonani, Joe Lansdale, Al Sarrantonio, Andrea G. Colombo, Pier Luigi Ubezio, Giovanni Arduino, Gianfranco Nerozzi e me medesimo.

In quell’occasione si vide qualcosa di miracoloso e che mai più si sarebbe ripetuto: una fiumana umana, una specie di movimento neo-gotico in divenire, che provocò in via Peschiera una coda tipo botteghini de L’esorcista nell’anno 1974. Ci vennero tutti, ovviamente gli scrittori partecipanti, ma anche tutti gli altri che si dilettavano 17 anni fa a scrivere horror e weird. Tutti amici, pacche sulle spalle, mille progetti, con Tecla che come al solito distribuiva salatini e bottiglie di prosecco. Una bolgia con la netta e percepibile sensazione che l’horror aveva la potenzialità di spiccare il volo spaccando il culo ai passeri. Accidenti, Colombo e io che presentavano Lucarelli, lui che parlava di gothic, Altieri in prima fila che mi confessò poco dopo che avrebbe scritto al più presto un racconto horror – lo fece da lì a poco e me lo affidò come conclusione del progetto collettivo Le tre bocche del Drago. Sfiorammo il bis nel 2007 quando da Tecla si presentò Il Vangelo della Maddalena di David N. Wilson, edito da Gargoyle con la presenza, piuttosto eccezionale, di Paolo De Crescenzo, patron della casa editrice (uomo straordinario che come Tecla è volato via troppo presto), e gli horroristi arrivarono in massa, molti con un manoscritto sotto il braccio.

In verità ogni presentazione era un evento. Ma per me la gloria più ambita – che non subito mi fu concessa – era quella di poter andare “di sopra”, al primo piano della libreria, in una parola l’archivio della Sherlockiana. Se non siete bibliofili alias feticisti della carta stampata e se, soprattutto, non amate il thriller e le sue tante diramazioni, non potete forse capire. L’archivio della libreria di Tecla era il Posto delle Fragole. Come riuscivo ad arrivarci, il mio corpo astrale di separava da quello fisico e prendeva a vagare indisturbato tra le pile di libri rari, manoscritti (Tecla era in carico come editor alla Todaro e consulente di qualche famoso scrittore), tesi di laurea, volumoni di saggistica, comic e ogni altro ben di Dio. Il tempo lassù si annullava e in un paio di occasioni mi giungeva dal basso la squillante voce di Tecla: Danilo! Devo chiudere!

Ho scritto più sopra che qui non è sede per rampognare sulla chiusura della Sherlockiana. Lo confermo, però voglio dare spazio a un frammento, per me significativo, della lettera che Tecla scrisse ai suoi amici prima della definitiva chiusura:

Non finirò mai di ringraziare le centinaia di persone che mi hanno aiutata in questi anni, ma non si può, credetemi, vivere in uno stato di continua emergenza. Quando, in passato, inopinatamente, ho detto di voler chiudere la libreria (e sapevo che era la cosa giusta), la stima, l’affetto, la partecipazione e le iniziative nate spontaneamente, mi hanno convinta a cambiare idea. Questa volta no. Sono stanca, dedico alla libreria molte ore al giorno e sono sola… Me ne voglio andare da Milano. Questa città, la mia città, che ho amato follemente non ricambia certamente il mio amore e sto odiandola. Desidero ritmi lenti e la natura intorno a me e tempo per leggere non solo quello che devo, ma anche quello che amo.

Tecla è morta nel febbraio del 2016. Non è retorica l’affermare che in quella data si è chiusa un’epoca. Di certo da allora siamo più poveri. Disseccati dentro. E Milano ha lasciato naufragare uno straordinario patrimonio culturale – ecco, ho rampognato, chiedo venia.