“Sono il più vecchio su piazza, mi interpella per questo!”. Felice Borgoglio esordisce con una battuta e un sorriso, ma sa bene che le motivazioni dell’incontro sono altre.
Sindaco di Alessandria dal 1972 al 1979, poi fino al 1992 parlamentare ‘di prima fila’ del Psi, e ancor oggi abile ‘tessitore’ di progetti politici (il Quarto Polo alessandrino è in gran parte ‘farina del suo sacco’, e dice “siamo solo all’inizio”), Borgoglio è certamente la figura più qualificata per cominciare ‘un viaggio’ fra le personalità più significative della città, e del territorio, che abbia come fil rouge Alessandria 2018: non tanto (o comunque non solo) come memoria e identità, ma anche come prospettiva di futuro.
Chi meglio dell’ex sindaco socialista può allora aiutarci a comprendere com’era l’Alessandria degli anni Sessanta (“ma nel 1968 il sindaco era Abbiati: non fatemi più vecchio di quel che sono”), e soprattutto Settanta, in una fase di tumultuoso sviluppo, in cui si posero le basi per i decenni successivi? “Basti pensare”, premette Borgoglio, “che le aree industriali cittadine di oggi sono le stesse che progettammo allora: è evidente che, da lì in poi, qualcosa si è interrotto, o non ha funzionato a dovere”. Sempre in quegli anni nascono le società pubbliche di servizi, ‘che all’epoca chiamavamo municipalizzate: oggi sono partecipate o multiutility, ma il principio è, o dovrebbe essere, lo stesso: offrire alla cittadinanza servizi di qualità, e sotto la governance pubblica”.
Insomma, provare a ripercorrere le scelte strategiche della classe politica e amministrativa locale (si legga al riguardo l’imperdibile “Alessandria, ieri: un passato ancora presente” di Debora Pessot) è un passo fondamentale, se vogliamo capire dove Alessandria sta andando, e quali scelte dovrà compiere da oggi in avanti per ricominciare a parlare di sviluppo, e non solo di declino, crisi, dissesto.
On. Borgoglio, Alessandria quest’anno festeggia i suoi 850 anni. Lei tra i sindaci emeriti è il più anziano: c’era già nel 1968, quando si festeggiarono gli 800 anni…
(sorride, ndr) Sì, c’ero ma ero un ragazzo, il sindaco era Pietro Magrassi: socialista, come Abbiati che lo precedette (e come tutti gli altri dal dopoguerra, ndr). Io diventai sindaco qualche anno dopo, nel 1972, e avviamo la grande stagione del centro sinistra: socialisti e comunisti alleati nel governo della città.
Partiamo da lì onorevole: l’Alessandria di oggi, per molti versi, nasce in quei tumultuosi anni Settanta. Lei divenne sindaco a 31 anni: oggi fa quasi sorridere….
Era un’Italia giovane quella del 1972, con una forte spinta verso il futuro. Lacerata anche da conflitti forti, anche se qui ad Alessandria un po’ attutiti. Comunque sì: non ero solo giovane io, ma ci fu un vero e proprio salto generazionale un tutti e tre i grandi partiti dell’epoca: oltre a Psi e Pci ovviamente anche la Dc, qui da noi all’opposizione, ma con un ruolo comunque significativo.
In quegli anni si faceva il nuovo piano regolatore, si realizzavano le aree industriali che, di fatto, sono ancora quelle di oggi, nascevano le moderne società di servizi pubblici, dette municipalizzate…
Andiamo con ordine: appena diventai sindaco, nella primavera del 1972, ci ritrovammo tra le mani la grana del piano regolatore bocciato dalla Regione. Era stato elaborato dalla giunta precedente, ma con parametri ritenuti eccessivi. Si immaginava una grande Alessandria, che potesse arrivare addirittura a 300 mila abitanti, ed essere ‘attrattiva’ per grandi insediamenti industriali. Ma arrivò la frenata, e in qualche modo ci adeguammo, ‘ridefinendo’ il piano regolatore su dimensioni di crescita meno ambiziose: si tenga presente, peraltro, che in quella stagione la sensibilità sul consumo del suolo e il rispetto dell’ambiente era diversa da quella di oggi: all’epoca progresso significava edificare, costruire strade, palazzi e fabbriche.
Chi fu a frenare?
(sorride, ndr) Non certo noi socialisti, che siamo sempre stati per l’innovazione. Ci furono resistenze sia sul fronte Pci che su quello confindustriale, per ragioni diverse ma, in fin dei conti, convergenti. I comunisti temevano ‘l’onda’ dei movimenti giovanili, che ovviamente nuovi grandi insediamenti industriali avrebbe portato con sé. Confindustria era quantomeno ‘fredda’ su una eccessiva espansione: avvicinarsi alla piena occupazione avrebbe significato anche una crescita rapida dei salari, e questo probabilmente li spaventava. Così alla fine l’unico vero nuovo insediamento di quegli anni rimase Michelin. Per il resto, lavorammo su aree industriali prossime alla città (eliminando ad esempio quella di San Michele), puntando sullo sviluppo dell’imprenditoria locale.
Aree industriali che, ricordiamolo, sono ancora oggi le stesse: in parte fatiscenti, o semi abbandonate…
(ride, ndr) Questo però lo dice lei: è vero che, da allora, poco o nulla di nuovo è stato sviluppato.
E le municipalizzate? Furono occasione di sviluppo, ma anche di clientele a non finire…
Alt, non facciamo di tutta l’erba un fascio. La creazione delle municipalizzate, ad Alessandria, credo rappresenti ancora oggi uno dei fiori all’occhiello di questa città, e territorio. Parliamo di un comune vastissimo, in cui all’epoca mancavano quasi del tutto, fuori dal perimetro cittadino in senso stesso, servizi essenziali come fognature, acqua, gas, trasporti. Tutto ciò fu realizzato, e in pochi anni. L’idea era anche più ambiziosa, e la sta perseguendo in qualche modo adesso il Gruppo Amag: ossia arrivare a proporre quei servizi anche a gran parte della provincia. Le clientele ci furono certamente, in un contesto di ampia crescita dei servizi, e quindi degli addetti. Ma vorrei anche sottolineare che, in qualche modo, c’era sempre la logica di scegliere persone in grado di svolgere bene quel dato ruolo: e comunque se facevi assumere qualcuno ne rispondevi. Mi pare che i problemi di Alessandria, quelli che ci portarono poi al dissesto, abbiano radici decisamente più recenti….
Ossia nel post tangentopoli?
L’alluvione fu il vero snodo, che lo si accetti o meno. All’epoca di Tangentopoli, nel 1993, il comune di Alessandria e le municipalizzate avevano bilanci sani, e importanti avanzi di gestione. A seguito dell’alluvione arrivarono risorse ingenti, e comunque in quegli anni Novanta si diede vita ad una politica di assunzioni e di spese molto ampia, con tutto ciò che ne conseguì.
Saltiamo però a piè pari le polemiche sugli ultimi vent’anni onorevole: se ne parla costantemente. Più interessante provare a capire che futuro avrà Alessandria. Siamo una città con un’età media elevata, e un’economia non proprio florida. Oggi un sindaco che può fare?
Un sindaco oggi ha poteri sulla carta più ampi di quelli di allora, non creda. Il punto è che non ha più vera legittimità popolare, è distante dalla gente perché non esistono più corpi intermedi. Non sto parlando di Cuttica, badi bene, ma della figura del primo cittadino di oggi, in generale. Se tu non hai più alle spalle partiti strutturati, ma anche un rapporto forte con il mondo del sindacato e delle associazioni di categoria, non puoi contare su una reale partecipazione e consapevolezza dei cittadini. Che oggi si limitano ad inveire sui social: ma quella non è partecipazione, è semplice manifestazione di un malessere collettivo.
Dell’amministrazione Cuttica che giudizio dà?
(riflette, ndr) Intanto gli alessandrini li hanno votati, quindi non si lamentino. Hanno scelto di fatto la continuità, e lo si sta vedendo in tutte le grandi scelte, o non scelte. Non mi pare sia cambiato nulla di significativo rispetto all’amministrazione Rossa. Ciò detto, il problema non è di colore è il gatto, ma se è capace di prendere i topi. Quindi valuteremo sui fatti: per ora non ne vedo di significativo.
Lei cosa avrebbe fatto di diverso?
A mio avviso il primo passo indispensabile sarebbe stato chiamare un vero esperto di ristrutturazioni aziendali, dargli degli obiettivi precisi, e in 6 mesi avere in mano un progetto vero di modernizzazione della macchina comunale. Non è stato fatto, e siamo al piccolo cabotaggio quotidiano.
Il Quarto Polo non desiste?
Assolutamente, siamo all’inizio del percorso. Oria Trifoglio in consiglio farà opposizione costruttiva ma anche rigorosa, e guardiamo al 2022, perché alla necessità di trasformare questa città ci crediamo davvero.