Patty [Il Superstite 362]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Nei profondi anni ’60 si chiamavano “servizi”. Di che ciancio? Intanto escludiamo che il frasario provenga da una gergalità ritual-mafiosa, anche se in tante occasioni, sui libri o al cinema, si sono lette frasi del genere in riferimento all’accoppamento di una vittima designata. I “servizi” di cui parlo erano le serate musicali nel circondario provinciale che venivano proposte ai complessi dell’epoca, nati quasi tutti come “beat” ma subito trasformatisi in clamorosi minestroni musicali per poter giusto andare nei paesi, nelle balere delle SOMS e nei balli a palchetto dove ancora impazzavano le musiche campagnole dei nonni, leggi “il liscio”.

Chi dispensava allora i “servizi”? Le agenzie musicali. Per quel che può la memoria, esistevano la BIG di Marzano & Pavese, la ERPIC di Criniti e in un secondo tempo l’uninominale Valter Olivero, che si trattenevano tutte quante un onesto dieci per cento sui cachet pattuiti. Va da sé che nessuno dei vari gruppi – di cui trovate puntuale ed esaustivo elenco nei libri di Rangone e Boccassi Noi e la musica – si arricchì perché le cifre erano quel che erano e le spese, da sostenersi in tempo reale o da ammortizzare, erano tante e notevoli (trasporto, affitti, strumenti, manifesti – le cosiddette “plance”), però avevi l’illusione di girare non dico il mondo ma un pezzo d’Italia (anche ti spingevi solo nell’Astigiano…) e di molto bello ti poteva capitare di suonare assieme a delle superstar dell’epoca. Noi gruppo base, loro attrazione, ognuno rigorosamente sui propri strumenti. Modesti e lillipuziani i nostri, i loro giganteschi. Ma così vanno ancora le cose.

In ogni caso, tra Leons e Privilege (i gruppi storici con cui suonai sino a tutto il 1972), ebbi l’occasione di condividere il palco con un giovanissimo Albano alle prese con l’inaspettato successo di Nel sole, una meteora brillata pochi secondi che si chiamava Mack Porter e che mister Criniti voleva spacciare per il novello Otis Redding, Equipe 84, Patrick Samson, Sergio Leonardi, Nuovi Angeli, Camaleonti, Mario Tessuto & I Filati (come già successo, sottolineo che non è una battuta…), New Trolls, Donatello. E poi le superstar di una sola stagione come Nico e i Gabbiani, Barbarella, i Green. Confesso però che il mio massimo personale su questo fronte si realizzò il 28 novembre 1972 (mica per niente mi sono appuntato la data) al Giardino dei Sogni di Bubbio, versione invernale in interni, quando facemmo da apripista alla mitica Patty Pravo.

Ola, gente, Nicoletta Strambelli nel ’72 era quella che vedete nella foto a corredo della Patty [Il Superstite 362] CorriereAlpuntata di oggi, che sprizzava sensualità a ogni passo, con fascino da rubare. Non altissima ma chi zampilla “fighitudine” (che pare un termine ormai sdoganato) non necessita di vertiginose altitudini. Mi riferisco a quel quid unico che sta negli occhi, nello sguardo, nell’incedere, nel parlare – con quella strana “erre” pronunciata. E pensate che non ne parlo come cantante, che personalmente trovo unica e talentuosa, ma come creatura all’apparenza umana scesa da altri mondi per camminare in mezzo a noi miseri mortali. Anche allora ci fu impossibile avvicinarla a portata di stretta di mano perché era protetta da un servizio d’ordine di non so quanti gorilla, il tutto con una ragione ben fondata: l’anno prima a Lucca, una deficiente spacciatasi per fan, prima di un concerto l’aveva colpita violentemente sulla bocca lanciandole un portacenere in vetro contro il volto.

Così rievoca quel 12 dicembre del 72 la giornalista Paola Dello Iacono http://music.fanpage.it/: «Era pomeriggio e Patty era a Lucca, dove doveva esibirsi al Green Ship, un locale cittadino. Stava raggiungendo il palcoscenico passando attraverso la sala per salutare il pubblico, quando una squilibrata residente a Sant’Anna, alla periferia della città, le scagliò con violenza un portacenere di cristallo in pieno viso. “Nonostante il dolore e lo shock – raccontò in seguito la cantante – dovetti salvarla io dal linciaggio del pubblico, prima che portassero me in ospedale e lei in commissariato. Alle forze dell’ordine la donna che mi aggredì raccontò che mi voleva punire perché ogni giorno, secondo lei, passavo sotto la sua casa a Lucca e le spegnevo la radio”. Patty si ritrovò con una profonda ferita sulla guancia, tre denti spezzati ed un’altra ferita sulla fronte che fece temere un trauma cranico. “Ci misi diverse settimane per riprendermi fisicamente e molto di più per dimenticare lo shock. Ma tornai appena possibile ad abbracciare il pubblico”, ricorda.»

Andava da sé che un anno dopo per un “servizio” in un paese streghesco dell’Astigiano Nicoletta non si azzardasse a presentarsi da sola. Comunque me la gustai a distanza di quinta di palco e fu, per quel che ricordo – eh, sono 46 anni, faccio il possibile – un bel sentire e, soprattutto, un bel vedere. Perché a me, ventiduenne di allora, il modello Brigitte Bardot – capelli lunghi biondi, occhi verde mare e fighitudine, appunto – escludeva la possibilità di confrontarmi, perlomeno sul piano teorico,  con qualsiasi altro modello. Le morose me le cercavo così. Ma erano sempre more.

Ci furono, ovvio, tante altre “attrazioni” con cui ho calcato il palco. Tanti nomi storicamente importanti – Camerini, gli Actuala, Pino Masi, I Trip, La nuova idea – che poi sono un po’ scomparsi dalle memorie, colpevolmente per chi li ha dimenticati. Ma la mia hit personale resta Patty. Colpa del solito, vecchio adagio: tira più un pelo di fighitudine che… Oh, non sarò mica troppo volgare? Dai, sono vetusto e non mordo più. E un po’ di sana ironia basso-piemontese è quel che ci vuole per scacciare malinconie e rimpianti.