Tra i briganti che imperversarono tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo nel territorio alessandrino[1] quello più famoso è senz’altro Giuseppe Antonio Mayno detto Mayno della Spinetta (Maien d’la Spinetta).
Giuseppe venne al mondo, secondo di sei fratelli, in una famiglia umile[2] da Giuseppe, carrettiere, e Angela Maria Roveda in una casa (ora demolita) nella piazza antistante alla chiesa parrocchiale di Spinetta.
La data precisa della sua nascita è controversa, poiché i registri parrocchiali furono distrutti dalle truppe francesi dopo la battaglia di Marengo. Grazie ad alcuni indizi sulla vita dei genitori, ai registri di leva e alle carte presenti nell’archivio comunale, è possibile ritenere che Giuseppe sia nato nel 1780 oppure, al più tardi, nel 1784.
Non sono state invece rinvenute prove documentali circa un suo passato da seminarista ad Alessandria[3] e a proposito di un periodo trascorso sotto le armi[4]. Alcuni autori riportano infatti la notizia di Mayno arruolato nell’esercito regio di Vittorio Amedeo III di Savoia nel corso della leva di massa. A seguito di un litigio con un ufficiale[5], avrebbe poi disertato dal suo reggimento provinciale stanziato a Tortona[6], trovando rifugio presso la comunità valdese del cuneese. Successivamente, approfittando del momento di confusione conseguente all’invasione napoleonica, si sarebbe riarruolato, questa volta nel nascente esercito del Regno d’Italia, combattendo sino alla compiuta annessione del Piemonte alla Francia[7].
Una delle poche certezze riguardanti la gioventù di Mayno rimane dunque il suo grande amore nei confronti della giovane Cristina Ferraris, nipote del parroco del paese. Relativamente all’aspetto fisico della fanciulla, si registrano, tanto per cambiare, tesi differenti. Secondo Francesco Viganò[8] era una ragazza carina con portamento dignitoso. Diversamente, nei verbali del processo alla banda dei mainotti l’imputata n.5 veniva descritta come: «d’altezza di un metro e cinquecentododici millimetri, capelli e sopracciglia neri, fronte ordinaria, occhi castagni, naso grosso, bocca mediocre, mento incavato, faccia ovale, vajuolata». In ogni caso, Giuseppe e Cristina (appena sedicenne) convolarono a giuste nozze il 19 febbraio 1803 e la loro unione fu allietata dalla nascita di due figlie: Maria Teresa e Giuseppina[9].
Secondo la leggenda popolare, proprio nel giorno del matrimonio ebbe inizio la sua fama di bandito inafferrabile. Pare, infatti, che nel corso dell’allegro banchetto nuziale fossero partiti alcuni colpi di fucile[10], così come imponeva la tradizione paesana, nonostante una legge degli occupanti francesi vietasse l’utilizzo di armi da fuoco. In uno scontro con le guardie, sopraggiunte per ripristinare l’ordine, Mayno finì per ucciderne il capo, che probabilmente aveva osato oltraggiare la sposa. Per evitare una pesante condanna, Giuseppe si diede alla macchia nella zona della Fraschetta[11], ma anche sulle montagne al confine con la Francia e la costa ligure, raccogliendo in breve tempo intorno a sé una numerosa compagnia con la quale mise a segno clamorosi colpi.
Forse, più prosaicamente, Mayno si fece semplicemente interprete di un crescente odio antifrancese [12], che la popolazione locale aveva maturato dopo un primo momento di speranza verso i “liberatori”. I soldati francesi, infatti, si comportavano spesso come vere e proprie truppe di occupazione (depredavano le campagne, requisivano il bestiame, violavano le fanciulle, offendevano i sentimenti religiosi). Inoltre, Mayno e gli altri membri della banda erano soprattutto dei renitenti alla leva, poiché si opponevano alla coscrizione obbligatoria che vessava ulteriormente i contadini, già alle prese con i gravi problemi legati alla mera sopravvivenza.(continua)
[1] Tra i più noti si ricordano: Antonio Maino detto Passapertutto (omonimo e forse parente di Mayno); Andrea Oddone detto Gian o Giuan; “Il Guercio” (brigante del genovesato, ucciso a Pasturana nel 1802); Vertoa (amico di Mayno, arrestato alla vigilia di Natale del 1805); Domenico Valsania (condannato a morte per l’assassinio del cognato Valentino Cauda) e Luigi Bresso detto “Oliva” (arrestato nel 1808).
[2] Diversi autori ritengono che provenisse da una famiglia di piccoli e onesti possidenti. Anche a proposito dell’istruzione di Mayno si registrano pareri opposti: secondo alcuni era colto, per altri invece completamente analfabeta (così come tutti i componenti della sua futura banda).
[3] Non pare fosse particolarmente ansioso di prendere i voti. Infatti, sarebbe presto fuggito dal Seminario in compagnia dell’amico Paolo.
[4] Francesco Gasparolo, “La banda di Mayno della Spinetta, Contributo alla storia del brigantaggio in Italia nel secolo XIX,” Rivista di Storia, Arte e Archeologia della Provincia di Alessandria, 1905, fasc. XIX, pp. 345 ss.
[5] Probabilmente a causa di una bella ostessa, di nome Rosa, a cui Giuseppe si era rivolto con ardore, mentre la fanciulla stava già discorrendo con un cadetto. Quest’ultimo si era scagliato con decisione verso Mayno, il quale, per nulla intimorito, lo avrebbe colpito, stordendolo.
[6] In un racconto di Sergio Arcioli, edito nel 1900 dalla casa editrice Angelo Bietti, si apprende che la vecchia madre si sarebbe ammalata gravemente a causa del dolore provocatole dalla diserzione del figlio. Giuseppe ebbe comunque la possibilità di arrivare al capezzale della genitrice morente invocando il suo perdono.
[7] Anche in questo caso, si possono leggere svariate versioni circa le modalità secondo cui avrebbe trascorso il periodo dopo la diserzione e sino al suo ritorno a Spinetta. Alcuni sostengono che fosse partito per l’America, altri che abbia trascorso il periodo di latitanza con la banda di Giacomo, un fuorilegge calabrese.
[8] Francesco Viganò, “Il brigante di Marengo o sia Mayno della Spinetta leggenda popolare” 2 voll., Milano, Borroni e Scotti, 1845 (2ª ed., ivi, 1853; 4ª ed., Milano, Guigoni, 1891)
[9] Anche sul numero di figli non c’è accordo. Molti ritengono che ebbero una figlia soltanto: Maria Teresa.
[10] Forse al matrimonio partecipò anche Lanzone, zio di Giuseppe, che faceva parte di una delle bande più efferate che agiva tra la Francia e il Piemonte con a capo il mitico Arragon.
[11] Corrispondente, all’incirca, alla zona pianeggiante compresa nel triangolo tra Alessandria, Tortona e Novi. Si poteva distinguere in Alta Fraschetta (dal greto dello Scrivia a Pozzolo) e Bassa Fraschetta (da Pozzolo alla Bormida e al Tanaro).
[12] Al riguardo, circolavano alcuni detti popolari: “Libertè, egalitè, fraternitè – i franseis an carosa e i Lisandren a pe'” , “Libertè, fraternitè, egalitè la moglie tua dammela a me” – “Libertè, fraternitè, egualitè spogliarti te e vestirmi me”.