Alessandria e Asti, unione congelata. Almeno per un po’. Che l’Italia sia la nazione delle centomila leggi e dei milioni di cavilli, si sa. Certo non fa molto bene avere la conferma quasi ogni giorno di un immobilismo che sfocia nel suicidio. Stavolta è il turno delle aggregazioni fra le Camere di Commercio, una riforma già scandita da tempi biblici e che ora è al palo. Sì, perché la Corte Costituzionale ha accolto parte di un ricorso presentato dalle Regioni Toscana, Liguria, Lombardia e Puglia contro il decreto attuativo 219/2016. In queste regioni non mancano gli enti camerali che non si vogliono unire ad altri. E le logiche perverse dei campanili fanno impallidire le contestazioni, critiche e riserve che hanno scandito il processo di fusione avvenuto in Piemonte.
La decisione della Consulta è ancora più esemplare perché tutto ruota intorno a tre parole. Ma prima una premessa. La Corte riconosce che “l’intervento del legislatore statale sul profilo in esame non è di per sé illegittimo, essendo giustificato dalla finalità di realizzare una razionalizzazione della dimensione territoriale delle camere di commercio e di perseguire una maggiore efficienza dell’attività da esse svolta, conseguibile soltanto sulla scorta di un disegno unitario, elaborato a livello nazionale”. Però, a giudizio dei giudici costituzionali, questa finalità “non esclude tuttavia che, incidendo l’attività delle Camere di commercio su molteplici competenze, alcune anche regionali, l’obiettivo debba essere conseguito nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie”.
Tradotto? La Corte Costituzionale ha riconosciuto “l’illegittimità dell’articolo 3, comma 4, che stabiliva che il ministro dello Sviluppo economico avrebbe emanato il decreto ‘sentita’ la Conferenza Stato-Regioni, e non ‘previa intesa’ con essa, dunque violando il principio di leale collaborazione”. Già. Bisognava avere prima una ‘intesa’ con la Conferenza e non ‘sentire’ la Conferenza. Chi doveva comportarsi diversamente? Il Ministro dello sviluppo economico cui spetta la “rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, l’istituzione delle nuove Camere di commercio, la soppressione delle Camere interessate dal processo di accorpamento e la razionalizzazione”.
La pronuncia della Consulta ha fatto sprofondare nella massima incertezza la tempistica della riforma con le ovvie ricadute su tutti i territori a partire dall’inizio della procedura di nomina del Consiglio di quella che dovrebbe essere la nuova Camera di commercio Alessandria-Asti. Infatti dovrà essere convocata una nuova Conferenza Stato-Regioni per raggiungere l’accordo, indispensabile visto il pronunciamento della Corte Costituzionale. Ma con le elezioni previste per il 4 marzo e il prossimo scioglimento delle Camere il tempo pare non ci sia. “È l’Italia, bellezza. E tu non ci puoi fare niente…” verrebbe da dire, parafrasando il finale del film interpretato da Humphrey Bogart (Deadline, in italiano ‘L’ultima minaccia’).