Con Danilo Arona si gioca in casa, e quindi chi meglio di lui può occupare le pagine domenicali di Allibri senza riservarci sorprese? Dal punto di vista letterario, ormai lo si conosce fin troppo bene. Lui, el brujito local, lo stregone di via Trotti che ha trasformato la propria erboristeria di famiglia in un mondo magico in cui si vendono gli articoli più bizzarri e pericolosi del pianeta. In una città morente avvolta dalla nebbia sopravvive una bottega di erboristeria che si chiama Opus e di cui Arona ci racconta nella sua nuova antologia di racconti pubblicata da Edizioni Watson L’inquietante bottega delle piante fatali.
Chissà se è proprio lui, il nostro autore, l’uomo appostato dietro il banco del negozio, il tipo strambo e disilluso che accoglie una composita clientela di altrettanta eccentricità: maghi, esorcisti, scrittori folli, forse anche fantasmi. Mentre le vie del centro sono sempre più invase dalla terrificante progenie dei Fratelli dell’Ombra.
L’inquietante bottega delle piante fatali è una discesa negli incubi condivisi della provincia italiana che strappa la risata e non lesina sui brividi da elargire. Con un nuovo, indimenticabile personaggio dalle mille sfaccettature: Martino Tavaglione, erborista. Forse assassino. E se tra i lettori qualcuno si riconosce nel varcare la soglia fatale dei vari racconti, allora è il benvenuto nel mondo dell’incubo
Lo capisco subito che cosa sta per chiedermi.
Si muove con lentezza. Varca la soglia dell’Opus Magica con ieratico distacco. Veste un abito talare, per forza nero, lungo fino ai piedi. È uguale a Max Von Sydow in quel formidabile film degli anni Settanta. Accidenti, un autentico esorcista nella mia bottega!
Lo lascio venire avanti. Quindi mi esibisco in un leggero inchino dovuto al carisma che l’uomo irradia. E per forza emetto un affettato “buongiorno”.
«Buongiorno a lei», mi risponde con piglio autoritario. Mi studia per qualche secondo e poi:
«Immagino sia abituato alle richieste, diciamo… eccentriche.»
«Lo sono, lo sono, lei si trova nella patria delle risposte strampalate. Ancora più stravaganti delle domande.»
«Bene. Un suo collega mi ha svelato che lei detiene degli originali ciondoli sumeri di un certo demone», pausa sacerdotale, «… imbevuti nello stramonio.»
Trasalisco. So chi è la merda in questione. Un rosicone romano che ha aperto due anni fa in pieno centro un’erboristeria in franchising piena di caducità alla moda. Un arrogante peracottaro che voleva farmi le scarpe e impadronirsi della mia clientela. Per quel che mi risulta, sta leccandosi le ferite.
Ma devo tornare con la mente all’inusitata richiesta. Senza tanti fronzoli verbali. Con Padre Merrin temo di non poter bluffare.
«Non posso negarlo, Padre, soprattutto se il certo demone si chiama Pazuzu.»
«Lui, la pestilenza che ammorba il mondo.»
Il giudizio, pronunciato con voce tagliente, mi sembra eccessivo. Ricordate, vero, di chi stiamo parlando? Pur essendo brutto come un cornacchione dal muso preso a martellate, Pazuzu era stato in parte assolto persino da William Peter Blatty nelle prime pagine de L’esorcista[1]:
Era una pietra verde, la testa del demone Pazuzu, simbolo del vento di sud-ovest. Suo dominio era la malattia, qualsiasi condizione patologica. La testa era forata. Il proprietario dell’amuleto lo aveva portato al collo come uno scudo protettivo. Il male per combattere il male…
E Danilo, in questo momento in missione montagnina, sotto iperdosaggio di Ganoderma, per ritrovare il suo amico Daniele, non ne ha parlato in assoluto negativo nel suo lungo saggio L’ombra del dio alato[2] del quale detengo una sgualcita copia nel retrobottega:
… Pazuzu era in Assiria il vero, grande baluardo contro l’orrida orchessa Lamashtu. Al punto che gli amuleti che lo ritraevano erano portati al collo dalle donne incinte (Lamashtu, con il suo fiato pestilenziale, era pure in grado di provocare aborti) e dalle puerpere, e venivano collocati sui letti dei neonati durante i primi nove giorni di vita, oppure erano infissi direttamente sulla porta di casa, non solo per proteggere bimbi e adulti dai malevoli attacchi di Lamashtu, ma per generare efficacia contro il flagello dei venti caldi di sud-ovest. Un vero paradosso a dir poco, data l’iconografia tradizionale su Pazuzu… “Io sono Pazuzu, figlio di Hampa, il re dei perfidi spiriti dell’aria, che escono con violenza dalle montagne, menando strage”. Così traduciamo da un antico e minaccioso scongiuro contro Lamashtu), nel quale veniamo a conoscenza che Pazuzu ha un padre che in altre fonti è chiamato Harbu. Un demone, un demone ibrido, all’apparenza nel senso più classico del termine, quello che indica il demone come l’essere intermedio tra la suprema divinità e gli uomini, sui quali può esercitare influenza buona o cattiva, secondo i casi. Un corpo possente, uccelliforme e rettiloide al contempo, in cui trovano albergo l’aquila, il leone, lo scorpione e lo sciacallo. Immagini, simboliche e non, che pescano contemporaneamente dalla mitologia come dal quotidiano. Soprattutto a proposito del quotidiano, il vento sudoccidentale che rappresentava per il contadino assiro-babilonese il terrifico presagio di futuri terreni incolti e desolati, ovvero fame, inedia e disperazione.
«Perché tace?»
Ho perso qualche secondo nel rievocare Blatty e Danilo. E Merrin già parte sul piede di guerra. Ma qui, alla Opus Magica, non ci troviamo in campo neutro. Qui è casa mia.
«Mi sembra un giudizio sin troppo severo», rispondo, «i ciondoli per i quali non garantisco autenticità perché provengono dal mercato nero, servivano ad allontanare influenze maligne.»
«Anche lei, signor Tavaglione» – Merrin già conosce i miei dati anagrafici! – «crede alle menzogne di quel gesuita rinnegato di Blatty? Pazuzu attira il male e non lo scaccia. Peraltro la vicenda di Regan MacNeil, tutt’altro che inventata, lo conferma, nonostante quell’ambigua prefazione. In ogni caso, intende vendermi i ciondoli?»
«Ne vorrebbe più di uno?»
«Certo, tutti quelli che ha in casa.»
Sorbole. È un incasso da farmi star bene per almeno due mesi. Faccio mente locale con fulminea velocità fotografica. Su uno scaffale del retro ne ho tre. A me, all’epoca, sono costati 118 euro.
«È una discreta cifra, Padre.»
«Sono in missione per conto del Vaticano. Mi auguro di poter pagare con la carta.»
«Certo», rispondo con tono professionale, «ma non sono in grado di garantire neppure la faccenda dello stramonio. Il venditore ai tempo sottoscrisse un certificato di autenticità che posso allegare ai prodotti. Ma l’effetto dell’impregnazione ormai è nullo, è trascorso troppo tempo. E forse è meglio così. Si evita il contatto coi guanti.»
«Li toccherei con i guanti con o senza stramonio. Il problema è lui e non la guarnizione. La prego, non perdiamo altro tempo.»
Vado, in effetti ho tergiversato sin troppo. Mi fiondo nel retro. Stanno tutti quanti avvolti in una plastica adesiva all’interno di involucri di cartone della loro dimensione, più o meno sui 40 centimetri. Li afferro in due mani e vado a posarli sul bancone, davanti allo sguardo vagamente schifato del prelato.
«Ne togliamo uno dall’involucro? Giusto per verifica. Nel suo interesse.»
Lui annuisce con un mugugno. Apro una scatola e con delicatezza srotolo la plastica. Ma non serve neppure che lo tiri fuori. Lui è lì, inclinato, verdastro e grifagno. Bruttarello, faccia deforme e occhi sbarrati da uccello. E la mia curiosità diviene inarrestabile.
«Perché, Padre?»
«Perché cosa?»
«Perché tutti? Se ne avessi avuto venti, li avrebbe comperati tutti e venti?»
«Mi risulta che al mondo non ne esistano più di cento esemplari tra reperti autentici e copie che forse sono più pericolose degli originali. Il nostro compito è di farli sparire tutti quanti dal mercato.»
«Il vostro?»
«Altri dodici fratelli stanno girando in questo momento per tutta l’Europa alla caccia dei ciondoli. Io sono il tredicesimo. Una missione di salvezza sotto l’egida del Santo Padre».
«Addirittura.»
«Se le dico che la gente dell’ISIS ha scoperto il demone con i suoi poteri durante il saccheggio del museo di Mosul del 2015 cosa può venirle in mente, signor Tavaglione?»
Non risposi. Di sicuro la mia faccia esprimeva il nulla mentale.
«Siamo convinti, e il Santo Padre è con noi, che Pazuzu e altri demoni come lui siano tornati e questo spiega la rabbia sanguinaria del Califfato. Pazuzu è l’antico nemico che ha trovato il modo per ricomparire e infestare i cuori e le menti dei contemporanei Assiri con la stessa sete di sangue dei loro antenati. Per noi tanta crudeltà e violenza irrazionale che emergono in questo momento dalla Siria e dall’Iraq non hanno altra spiegazione. Quello che voi laici non capite e non volete vedere è l’autentica dimensione spirituale del Male che sta avanzando. Nessuno che si ponga domande sul perché di tanti imitatori tra gli attentatori solitari. Pensate veramente che sia solo fanatismo? Pensate sul serio che pochi bombardamenti o inerti dichiarazioni delle Nazioni Unite possano porre fine alla mattanza?»
Cominciavo a sentire puzza di predica da invasato. Sul genere pastore trinitario canadese. Eppure il ragionamento di Merrin appariva solido.
«Ma io non penso nulla, Padre. Vivo qui dentro da decenni.»
«Anche lei dovrebbe sentirsi in guerra, mi creda. Guerra spirituale, ma non meno ardua. Questo è un male reale che è al contempo soprannaturale e demoniaco. Dopo il saccheggio del museo alcuni ciondoli di Pazuzu sono comparsi al collo dei comandanti del Califfato e le copie stanno propagandosi in Europa. Dobbiamo fermare questa espansione idolatrica che è in grado di potenziare l’avanzata degli assassini dell’ISIS».
«E andate in giro a requisire le reliquie di Pazuzu per il vecchio continente? Siete già passati dal Louvre e al British Museum?»
«Requisire? Non mi pare. Mi dica quanto le devo.»
Nelle mani del prete compare quasi dal nulla una VISA. Adesso, guerra spirituale o meno, io dovrei portare a casa 750 euro.
Ma certo, un po’ di sconto ci può scappare. In effetti chi me lo dice che i Fratelli dell’Ombra non siano anche loro gentaglia del DAESH?
«Guardi, Padre, mi ha convinto. Visto l’alto scopo dell’inopinato acquisto, le applico un generoso sconto. Invece di 750, le faccio 675 con un 10% reale. Che ne dice?»
«Grazie, Martino», mi chiama per nome e rabbrividisco, «la sua generosità sarà molto apprezzata», pausa, «in alto.»
Agguanto la carta e la striscio nel POS. Digito la cifra e intanto batto lo scontrino in cassa. Tempo, cinque secondi riconsegno scontrini e Visa all’arcigno Merrin, così somigliante all’originale che verrebbe voglia di chiedergli notizie di Padre Karras. Quindi infilo le tre scatole in un’elegante borsa cartonata e anonima.
«Ecco a lei, Padre. Ma… le posso chiedere?»
«Dica.»
«Qui a Bassavilla ha terminato il giro?»
«Sì. Devo ancora fare Triora e un paese che si chiama Paroldo, che non so neppure bene dove si trovi. Lì ci sono due negozi che vendono ciondoli di Pazuzu. Pare autentici.»
«Ah, pensa te.»
Non si tratta di un eccesso di confidenza, ma di un modo di interloquire proveniente dal nostro dialetto. Ma Merrin mi fulmina lo stesso con lo sguardo e mi gira le spalle dicendomi: «Le auguro una buona giornata.»
«Anche a lei, Padre.»
Si avvia con il passo stanco verso l’uscita. Proprio uguale a Max, lo stesso cappellaccio nero. Quando pone la mano sulla maniglia, si gira verso di me e per un secondo temo di udire la frase Bestia immonda, abbandona questo corpo, riferita a me. E invece l’anziano presule mi gela in altro modo:
«Ah, Martino, per sua informazione. I Pazuzu del Louvre e del British Museum sono spariti dalle teche tre mesi fa. Diretto intervento del Santo Padre.»
Poi esce e sparisce nella nebbia. Tutto sommato un proficuo modo per concludere la giornata lavorativa. Proficuo sì, ma per niente tranquillizzante.
[1] William Peter Blatty, L’esorcista, Mondadori, Milano, 1971.
[2] Danilo Arona, L’ombra del dio alato, Marco Tropea Editore, Milano, 2003.