Sceneggiatrice per il cinema, drammaturga e scrittrice. Questa in sintesi l’esperienza professionale di Sabina Guidotti, ospite questa domenica di ALlibri. Collaboratrice di Vincenzo Cerami, proprio da lui apprende le varie tecniche della narrazione cinematografica, i tempi comici, l’umorismo e la satira. Prosegue gli studi prima con Jean-Claude Carrière, alfiere di una creatività surreale, poi con Tonino Guerra, con cui affronta la scrittura visionaria di Federico Fellini, e infine si perfeziona come sceneggiatrice con Francesco Scardamaglia, storico sceneggiatore della fiction italiana.
Lavora nel cinema come story editor, story-analist e e script doctor. Entra a far parte dello staff redazionale dei Gialli Mondadori e lavora per anni per le collane Urania, Segretissimo e per l’innovativa collana Epix.
Ha recentemente pubblicato un romanzo scritto a quattro mani con il nostro Danilo Arona, Land’s End (il teorema della distruzione) edito da Meridiano Zero. Il racconto della settimana, La cartomante, fa parte dell’antologia Il Sovrano Giallo edito da Delmiglio Editore.
di Sabina Guidotti
La cartomante sedeva ogni sera all’angolo di Via S. Felice.
Bologna negli ultimi tempi non era più la stessa. La godereccia, grassa signora, era diventata una vecchia nobildonna, assonnata e stanca di lottare.
Lidia, col suo sgabello e un tavolino pieghevole, aveva scelto di non cambiare posizione, nonostante quel ristorante cinese avesse modificato gli avventori di Via S. Felice. A dire il vero, le piacevano quelle lanterne rosse appese a fianco dell’insegna del locale, le ricordavano qualcosa della sua infanzia.
Chiuse gli occhi solo per un istante e quella immagine fu di nuovo lì.
“Mi leggi le carte per 10 euro?”
A parlare era stata una ragazzina. Teneva il cellulare in mano e Lidia pensò volesse fare un selfie con lei, perché si era improvvisamente catapultata oltre il tavolino, mettendosi al suo fianco.
“Dieci euro sono un po’ pochi” rispose.
“Allora fottiti, tanto in Piazza Maggiore c’è una che li fa per 5 euro.”
“E vai da quella, no?” chiosò Lidia.
La ragazzina sculettando girò le spalle. Aveva tacchi alti e troppo trucco per la sua età. Lidia chiuse gli occhi una seconda volta e vide ciò che non avrebbe voluto vedere. Quella ragazzina non sarebbe arrivata ai 30 anni per mano dell’uomo che amava. Una morte violenta causata da una lama. Anche se il suo ventre era sterile, provò per quella ragazzina un istinto materno e il desiderio di proteggerla da se stessa.
“Ehi, vieni qui. Torna indietro!” gridò.
La ragazzina fece dietro front all’istante.
“Che vuoi?”
“Dai, siediti che ti faccio le carte.”
“Ci hai ripensato? Hai paura della concorrenza, eh?”
“No, non è per quello, ma mi stai simpatica.”
La ragazzina si accomodò nello sgabello.
“Quanto vuoi? Vanno bene, allora 5 euro?”
“Te le leggo gratis.”
Un’espressione indistinta si stagliò sul viso della teen-ager che immediatamente inviò un messaggio pieno di faccine a qualcuno.
“È davvero la mia serata fortunata. Grazie!”
“Di niente. Ora però devi fare silenzio.”
“Certo, posso dirti una cosa?”
“Ti ascolto.”
“Non è mica vero della cartomante in Piazza Maggiore. Ho detto così per farti dispetto.”
“Lo so.”
“Sei arrabbiata?”
“No, non mi arrabbio per queste cose. Avanti, prendi una carta dal mazzo.”
La ragazzina era molto eccitata. Le sue unghie smaltate di verde, indicavano l’ingenuità di una bambina cresciuta troppo in fretta.
“Metti la carta sul tavolo. Non scoprirla.”
La ragazzina eseguì meccanicamente quel che le veniva detto. Tagliò il mazzo tre volte, scegliendo una carta da ogni mazzo, rigorosamente con la mano sinistra. Il metodo della stella mistica era quello che Lidia preferiva quando doveva capire qualcosa di importante. Dispose le altre carte in senso antiorario. Formò tre mazzi e seppe in quell’istante che quel che temeva si sarebbe avverato.
“Non tenermi sulle spine. Marco tornerà con me?”
Il diavolo, la morte, l’appeso. Erano tutte carte girate. La stella della famiglia era in una posizione sbagliata.
“Potrebbe tornare, ma non è lui l’uomo della tua vita.”
“Insomma, torna o non torna? Che razza di cartomante sei?”
“Ascoltami Samanta, devi lasciare quel ragazzo. Hai capito bene quel che ti ho detto? Lui porterà lacrime e dolore. Sei bella, puoi avere tutto quello che vuoi. Lascialo perdere questo Marco.”
“Parli come mia madre, cazzo! A proposito, chi ti ha detto che mi chiamo Samanta?”
Gli occhi azzurri di Lidia divennero due stelle nel buio. Le lanterne rosse ondeggiavano perché il vento adesso aveva iniziato a farsi sentire.
Samanta scrollò le spalle.
“Lui ti farà del male. Hai ancora la possibilità di cambiare il tuo destino.”
“Vuoi spaventarmi, vero?”
“No, voglio solo metterti in guardia.”
Samanta si alzò indispettita.
“Mi sa che non sei tanto brava a fare le carte. Non me ne frega niente di quello che dici, chiaro? Io mi so difendere da sola. Tu Marco non lo conosci. Lui mi ama. Hai capito, vecchia? Mi ama!”
Se ne andò così come era venuta, un’apparizione nella notte. L’ultima immagine che Lidia vide fu quella di una ragazza che urlava dentro al ricevitore del cellulare.
Vendere illusioni alla gente per molti era un gioco, ma poteva essere pericoloso.
Cartomanti senza scrupoli erano disposte a raccontare qualsiasi frottola pur di imbambolare il cliente e ottenere soldi. Lidia, invece, aveva il dono della preveggenza. I tarocchi, per lei, erano solo un mezzo per vedere oltre.
Molte volte aveva barato, raccontando una verità diversa da quella che la sua sensibilità le consentiva di vedere. Perché era bello, nonostante tutto, fare sorridere qualcuno. E altre volte, come nel caso di Samanta, aveva usato il suo potere per cambiare un destino già scritto.
Samanta sarebbe andata incontro al suo assassino e lei non poteva impedirlo.
Quel dono le sottraeva energia, costringendola a convivere con le anime dei trapassati, impedendole di avere una vita realmente sua. Negli anni si erano seduti di fronte a lei personaggi ambigui, casalinghe disperate, puttane in cerca di una speranza, genitori preoccupati per la sorta dei figli. Ognuno con una richiesta impellente, troppe volte insoddisfatti del responso dei tarocchi.
Lidia guardò l’orologio. Erano le 22. Il vento era cessato. Poteva ancora aspettare.
A casa, in quel monolocale al terzo piano di quel palazzo senza ascensore, l’attendevano solo una marea di bollette e un gatto troppo magro. Avrebbe dovuto farlo visitare dal veterinario, ma non aveva soldi nemmeno per lei.
La sua vita era sempre stata così, costellata di appuntamenti mancati e occasioni perdute, ma la ricchezza non l’aveva mai conosciuta. La preveggenza era stata un marchio pesante da portare, uno scherzo beffardo per chi voleva soltanto scomparire. Col passare degli anni, dopo lavori precari e tante delusioni, si era decisa di sfruttare quel dono, interpretando la sofferenza delle visioni come una missione di salvezza.
Ma Lidia, i morti neri, li aveva visti davvero. Una bambina cattiva, questo dicevano di lei. Con l’ingenuità che contraddistingue i bambini, aveva raccontato quella storia alla maestra ed era stata punita per questo. Sua madre si era vergognata per quelle fandonie di una bambina asociale, né bella né brutta, ma tremendamente strana. La vergogna di sua madre era un fardello pesante che si univa all’altra vergogna, perché suo padre se ne era andato in un mondo lontano, anche se tutti la rassicuravano sul fatto che dal cielo poteva starle vicino.
Da quel giorno, Lidia smise di parlare, di raccontare di quelle figure che stavano accanto a ogni essere umano.
“Angeli, si chiamano angeli, Lidia” le spiegava il prete. “Si possono confondere anche con i diavoli, sai. Vuoi dirmi qualcosa, bambina?”
Gli occhi del sacerdote potevano squartarla, ma Lidia che vedeva volteggiare al suo fianco un fauno cornuto, scuoteva il capo perché dal profondo della coscienza una voce le imponeva di tacere. Suo padre le parlava ancora nella sua testa, promettendole che sarebbe venuto a prenderla, prima o poi, per portarla in quel luogo dove il sole non tramonta mai. Suo padre apparteneva alla notte, danzava con demoni ballerini che non facevano paura.
Sapeva che le sue ossa bianche dentro la bara si sarebbero ricomposte, e lui l’avrebbe abbracciata, sollevandola sopra la testa, giocando ancora con lei.
“CARCOSA”, questo era il nome che suo padre ripeteva sempre. “La terra dei non vivi, dove il bene e il male sono la stessa cosa, dove le anime possono assumere sembianze diverse e raggiungere l’immortalità.”
Le aveva fatto giurare di non rivelare il loro segreto.
Un cinese uscì dal locale per gettare l’immondizia.
“Chiudete prima questa sera, Cheng?”
“Sì, sono tutti a casa. Troppo freddo per uscire. Italiani, paura.”
Dopo tanti anni, Cheng parlava ancora un italiano basilare e sorrideva sempre, memore di una cultura ancora inespugnabile.
“Hai ragione. Butta male stasera, forse è meglio che me ne vada anche io.”
“Cambiare zona. Devi andare mare. Lì si lavora.”
“Grazie Cheng. Ci penserò.”
Lidia spense la candela, mise le carte nel sacchetto di velluto nero e iniziò a riporre nella borsa le sue poche cose.
Lui era lì.
Non ebbe bisogno nemmeno di alzare il capo per sapere che era arrivato.
Respirò lentamente mentre quell’uomo distinto si sedette di fronte a lei.
“Buonasera, Lidia” disse l’uomo con una voce calda, accattivante.
Posò sul tavolo una banconota da 50 euro.
“Leggimi le carte.”
Quel comando non ammetteva repliche.
La fiamma della candela si accese di nuovo, magicamente.
“Mi hai invocato tante volte, eccomi, sono qui!”
Gli occhi dell’uomo erano traslucidi.
“Leggimi le carte, te lo chiedo ancora una volta.”
Come un automa Lidia offrì il mazzo dei tarocchi all’uomo. Prese una carta e la porse a Lidia. La sua mano lunga e ossuta, si sovrappose a quella di una donna che non aveva mai dimenticato una promessa.
“Tu sai chi sono, vero?” chiese l’uomo.
Lidia annuì.
“Credevo ti fossi dimenticato di me.”
Una bambina cattiva, una bambina che aveva fatto un patto col Diavolo.
Dall’aldilà suo padre aveva visto il suo dolore e la sua solitudine. Lui voleva ritornare indietro, ma non poteva farlo senza la sua bambina. Nell’infinito dei mondi gli scheletri alzarono le teste e applaudirono.
L’uomo infilò una mano in tasca, in quel cappotto da metà Ottocento che ricordava un lord inglese. Estrasse un biglietto e lo infilò sotto la carta.
Il Cristo della chiesa di via S. Felice sobbalzò dall’altare e quel tentatore che vestiva solo di nero, rilesse le parole di una bambina che aveva scelto con quale Dio schierarsi.
“Lo hai messo nella bara di tuo padre e io ho mantenuto la mia promessa.”
“Lui dov’è?” chiese Lidia con una voce che quasi non pareva la sua.
“Ti aspetta da tanto tempo.”
Colui che per la gente aveva rinnegato il bene, che era stato lo scandalo da dimenticare, la vergogna di una famiglia sporcata dal suicidio, era ancora lì.
La parole sbiadite di quel biglietto lasciarono il posto a una foto post mortem.
“Lo incontrerai presto. Il ghiaccio e il fuoco creeranno un varco e tu potrai passare indenne. Lui ti verrà incontro” sussurrò l’uomo.
“Presto, portami da lui” supplicò Lidia.
Il Cristo sussultò una seconda volta, quasi un rigurgito impotente per lo scempio che stava per compiersi.
“È nel tuo regno?” domandò sgranando gli occhi.
“Lidia, dolce Lidia, incantevole Lidia, conosci le risposte.”
La cartomante, si sistemò meglio sullo sgabello, tenne la schiena ritta, come davanti a un esaminatore.
“Carcosa. Portami a Carcosa” disse tutto d’un fiato.
Mentre Lidia pronunciava quelle parole, il Cristo chiuse gli occhi perché un non morto sarebbe tornato su questa terra con uno scambio di anime.
Nello stesso istante, l’uomo girò la carta e la falce indomita della morte, calò sul tavolo.
Due lune identiche si scambiarono di posto e suo padre finalmente sorrise.