La tecnologia, l’innovazione, i nuovi materiali, la robotica, la gestione del paziente ‘per percorso’ e non più solo rigidamente per specialità, sono alcuni degli aspetti di una sanità complessa e delicata che sta registrando successi, a partire da alcune tipologie di interventi chirurgici particolarmente avanzati, ma che sta anche continuando a fare i conti con contraddizioni interne.
Durante il recente incontro intitolato “Dialoghi della salute” organizzato dall’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ di Alessandria sono stati presentati alcuni casi, dai responsabili delle strutture dell’area cardio-toraco-vascolare, di assoluta eccellenza che possono vantare, oltre al ricorso a tecnologie e metodologie avanzate, anche un numero di interventi definiti ‘ad alto volume’ che significa avere superato le soglie minime previste e maturato, negli anni, esperienze e competenze elevate.
La chirurgia vascolare, per esempio, dal 1999 al 2017, ha eseguito complessivamente quasi 13.000 interventi e nella chirurgia dell’aorta toracica (“Nei casi di emergenza sono necessari 23 minuti dalla diagnosi all’inserimento della protesi aortica, una volta si impiegavano ore” dice Mauro Salvini, responsabile della Vascolare), si mescolano l’uso di materiali di avanguardia e dalle innovative prestazioni alla chirurgia tradizionale quando il paziente non è in grado di essere operato in modo diverso. Nell’ospedale dove l’evoluzione chirurgica è sempre meno invasiva e sempre più tecnologica (“Quando operiamo sull’aorta, nei casi particolarmente complicati, dobbiamo raffreddare il cervello per 40 minuti per eseguire l’intervento” spiega Andrea Audo direttore di Cardiochirurgia), dove non mancano le mappe in 3D utilizzate nella Cardiologia di Gianfranco Pistis, oppure la robotica (nata ad Alessandria grazie a Giuseppe Spinoglio) ormai utilizzata in diverse specialità, si continuano a fare i conti con molte luci, ma anche diverse ombre.
Senza contare alcune accelerazioni che appaiono più il risultato del protagonismo della attuale direzione che il frutto globale della riorganizzazione di servizi e reparti.
Esemplare è stata la comunicazione del rinnovo della certificazione di qualità per l’azienda ospedaliera. “Gli ispettori esterni hanno verificato la correttezza di alcuni percorsi diagnostico-terapeutici in alcune strutture operative individuate a campione, oltre che i processi trasversali di supporto, che riguardano la gestione del rischio, la corretta gestione dei farmaci e della documentazione sanitaria, il controllo delle infezioni ospedaliere, ma anche la gestione del dolore e la verifica della apparecchiature. L’esito della verifica è stato positivo, come hanno evidenziato i certificatori esterni” si legge sulla nota diffusa dall’ospedale e completata dalle dichiarazioni compiaciute di Giovanna Baraldi, direttore generale.
Ma cosa significa per il cittadino-paziente tutto questo? Non molto, in effetti. I controlli sono avvenuti verificando alcuni percorsi a campione, non l’intera struttura, e la certificazione è la Iso 9001 relativa a percorsi aziendali e alcuni servizi di supporto (per esempio, il rischio clinico). Gli ispettori sono i certificatori dell’ente terzo a cui è stato affidato il servizio, in questo caso è la società Imq.
L’Istituto italiano del marchio di qualità è un’associazione indipendente e senza scopo di lucro, nata nel 1951 per iniziativa dei maggiori organi scientifici e tecnici nazionali del settore elettrico su impulso degli industriali, dei costruttori e delle ‘utilities’ del settore elettrico. Nel 1999 l’istituto costituisce Imq Spa (società a capo del Gruppo Imq) e affida a quest’ultima tutte le attività operative fra cui la valutazione della conformità (sicurezza, qualità, sostenibilità) per l’Italia e per l’estero, delle certificazioni e delle ispezioni nei principali settori industriali, dei servizi e del manifatturiero. Quello che l’ente attesta è il rispetto della norma, importante certo, ma è sufficiente rispetto alla qualità complessiva della degenza dove si mescolano protocolli, norme e fattori umani?
Intanto il direttore generale marcia decisa verso il 2018. Il mandato scade con la fine di aprile e per questo Giovanna Baraldi afferma “entro primavera vogliamo aprire la nuova rianimazione a fianco del blocco operatorio” e sempre entro aprile si dovrebbero svolgere gli altri incontri dei ‘Dialoghi della salute’ dedicati alle neuroscienze, alla salute della donna, agli anziani, alla gestione dell’urgenza, alla medicina pediatrica e alla oncoematologia.
Nell’immediato futuro non mancano però altri fronti aperti, come il processo, avviato sul piano istituzionale regionale, che dovrebbe portare alla fusione dell’azienda ospedaliera con l’Asl Al, oppure la richiesta di chiarimenti, dopo l’accesso agli atti da parte del consigliere regionale Davide Gariglio, in merito a una serie di affidamenti diretti avvenuti in diverse Asl e Aso (azienda ospedaliera) piemontesi, sempre verso la stessa azienda che opera nel settore informativo.
Ad Alessandria la richiesta riguarda un affidamento diretto di circa 2,5 milioni di euro deliberato dalla ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ alla Intersystems Italia Srl. La vicenda coinvolge anche il ruolo della società regionale in house, il Csi cui nel 2008 era stato affidato il servizio di supporto e coordinamento e gestione del servizio informativo dell’azienda ospedaliera con il sistema utilizzato chiamato Trakcare della Intersystems. Dopo qualche anno, e un paio di atti interni, l’intera gestione passa invece alla Intersystems, senza alcuna gara pubblica. Il “rapporto diretto per la manutenzione delle licenze software della piattaforma”, come si legge sulle carte, come avviene? Perché il Csi abdica, di fatto, al ruolo? Se esistono vincoli di esclusiva nella gestione della piattaforma informatica perché non sono emersi prima? Come mai nessuno, a Torino, si è accorto di tutto questo? Forse perché anche in altre aziende è stato fatto lo stesso, sempre con le stesso fornitore?
In mezzo alle vicende alessandrine, per l’attuale direttore generale dell’ospedale è in calendario un altro appuntamento. Il 6 dicembre è il programma a Pescara la prima udienza, dopo il rinvio a giudizio con la sentenza del Gup (Giudice dell’udienza preliminare) Gianluca Sarandrea, per cinque imputati, fra cui Giovanna Baraldi, nell’ambito dell’inchiesta che ha preso il via dall’esposto presentato dal titolare della clinica privata Synergo, in seguito al ridimensionamento dei tetti di spesa per le cliniche private per il 2010. I capi di imputazione sono falso, violenza privata e abuso d’ufficio. Al centro della vicenda, i contratti delle case di cura che, secondo l’accusa, sarebbero stati estorti agli imprenditori della sanità privata con la minaccia del disaccreditamento.
Baraldi all’epoca dai fatti era sub Commissario regionale alla Sanità. Con lei compariranno l’ex governatore abruzzese Gianni Chiodi, l’ex assessore regionale Lanfranco Venturoni e i tecnici dell’Agenzia nazionale per i servizi regionali. Con una nota diffusa dopo la notizia del rinvio a giudizio, Giovanna Baraldi si è detta “assolutamente serena. La vicenda dell’Abruzzo risale al 2010 – ha quindi precisato – e nulla ha a che vedere con il mio attuale incarico di direzione dell’azienda ospedaliera di Alessandria, ho operato sempre attraverso la rigorosa applicazione delle norme e delle regole del Servizio sanitario nazionale, sono assolutamente serena sulle mie responsabilità e sulle decisioni condivise dall’Ufficio Commissariale che venivano autorizzate e controllate dai Ministeri della Economia e della Salute in una Regione in Piano di rientro per bancarotta che aveva indicatori di qualità e di efficienza tra i peggiori d’Italia”.