Lunedì scorso verso le 22,40 mi è saltata alla mente una parola che non usavo da tempo.
Anzi forse non l’ho mai usata, piuttosto l’ho sentita usare da altri.
La parola è toccasana.
È una parola che ha sapore di antico, che risuona lontana così come altri termini che mi balzano contemporaneamente davanti agli occhi: procrastinare, ignavo, stoltiloquio, credulone.
Prendo il vocabolario cartaceo, ha un dito di polvere.
Lo sfoglio come facevo un secolo fa e leggo.
Alla parola toccasana risulta quanto segue: s. m. rimedio pronto e infallibile (o ritenuto tale) (…) mi hanno assicurato che questa crema è un toccasana (…) Frequente in senso fig. con riferimento a mali morali: il tempo è un gran t. per tutti i dolori e i dispiaceri (…)
Direi che abbiamo procrastinato a sufficienza, fino a lunedì sera appunto, guardando in tv – noi milioni di creduloni – una banda di ignavi sorretti da infiniti stoltiloqui più che dalla tecnica individuale e collettiva.
Abbiamo lasciato che il potere del denaro e degli interessi distruggesse un giocattolo, annientasse un sogno in cui sguazzano soprattutto i grandi, impoverisse un esercizio in cui i giovani ancora malsanamente credono.
Mi aspetto che i riflettori si spengano, che tornino in piazza i vecchi ciarlatani per vendere i loro rimedi al mal di schiena e alla cattiva digestione, mentre più in là, in uno slargo ai margini della strada, un gruppo di bambini vestiti con semplicità tira calci ad una palla fatta di stracci.
Ecco l’unico toccasana: la ricostruzione.