Borsalino, adesso Alessandria si sveglia. Tardi? [Centosessantacaratteri]

10 a Enrico Sozzetti, zero agli anonimi del web! [Le pagelle di GZL] CorriereAldi Enrico Sozzetti

 
“Bisogna fare qualcosa”. Tutti d’accordo. Peccato che Alessandria si svegli sempre quando è ormai emergenza e i giochi rischiano di essere fatti. Accade per l’ennesima volta e in questo caso si parla di Borsalino. Il 7 novembre è in programma l’udienza in Tribunale e il gioco c’è l’accettazione, o meno, del concordato ‘in continuità’, presentato dalla società Borsalino Giuseppe & Fratello Spa e basato su un aumento di capitale riservato a Haeres Equita Srl e sospensivamente condizionato all’omologa.

Il concordato è sostenuto da Haeres Equita Srl, la società con sede legale a Valenza, nello studio del commercialista Carlo Frascarolo, che è stata costituita dall’imprenditore italo-svizzero Philippe Camperio che è sceso in campo per salvare e rilanciare la Borsalino. Camperio ha investito milioni, saldato i debiti (non suoi) con l’Agenzia delle Entrate, ha pagato stipendi e rispettato le scadenze contrattuali oltre a quelle pregresse, ha investito in un macchinario e ha in affitto fino alla fine di dicembre il ramo d’azienda dello storico cappellificio di Alessandria.

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Il 7 novembre andrà in scena l’udienza decisiva in cui le parti spiegheranno per l’ennesima volta quello che è già stato ampiamente scritto nelle carte consegnate ai giudici. Ma di fronte a una macchina della giustizia che ha bocciato il primo concordato, pur con una azienda risanata, le premesse sono gravemente negative. Inoltre ci sarebbe già un decreto il cui contenuto non è noto, ma che ha scatenato i timori dei responsabili della società fondata da Camperio.

Dopo che la notizia ha iniziato a circolare, le organizzazioni sindacali confederali hanno diffuso un comunicato unitario dai toni preoccupati. Reso pubblico il contenuto, l’amministrazione comunale si è accorta che forse c’è un problema chiamato Borsalino e venerdì pomeriggio, di fretta e furia, ha organizzato un incontro a Palazzo Rosso.

Da un lato del tavolo ecco il sindaco, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, affiancato da Roberto Molina, Capo di Gabinetto, e dall’altro le segreterie di categoria, la rsu (rappresentanza sindacale unitaria) dello stabilimento alessandrino e le segreterie generali confederali provinciali. Gran discussione, affermazioni come “non si può fare fallire un marchio storico”, espressione di “massima vicinanza ai lavoratori”, ma alla fine? La decisione di coinvolgere il Prefetto di Alessandria, Romilda Tafuri, per rappresentare “le conseguenze sociali per i 130 dipendenti e le loro famiglie, oltre alla ricaduta economica negativa di un eventuale fallimento” e sollecitare una sensibilizzazione da parte dell’Ufficio territoriale del governo in vista della riunione del 7 novembre.

Cosa succederà quel giorno? Ci sarà un rinvio? Oppure le decisioni sono definitive? Solo martedì prossimo si conoscerà il destino di uno dei cappellifici più famosi al mondo.

Quello che lascia finora la vicenda sul terreno è la discreta superficialità con cui è stata seguita l’evoluzione durante l’ultimo anno. La politica è stata presa dall’uso della Borsalino in chiave elettorale in cui è stato speso anche il progetto del Museo del Cappello. Mentre i sindacati, Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, affermano, come si legge sul comunicato, che “al sindacato e ai lavoratori non è chiaro il motivo per cui dopo due anni ancora non c’è un percorso positivo e definito” e quindi hanno “richiesto un incontro alla Borsalino da tenersi immediatamente dopo l’udienza fissata per il 7 novembre in modo da avere notizie circa l’ammissione della presentazione del concordato preventivo a oggi ancora sospesa”. Incontrarsi a cose fatte non appare il massimo, visto che la vicenda va avanti da mesi e mesi. E forse, anche se magari le cose non sarebbero comunque cambiate, se l’attenzione fosse stata più alta quando la vicenda sembrava apparentemente avviata verso una soluzione positiva, avrebbe potuto aiutare a dimostrare che Alessandria era davvero attenta al futuro dell’azienda. Ma Alessandria è anche la città che ha fatto radere al suolo l’area dello storico stabilimento per dare vita a un complesso edilizio e commerciale e non è nemmeno riuscita a salvare la vecchia azienda, sopravvissuta solo grazie a imprenditori edili di Asti.