Il titolo ironico è della redazione, e consentitecelo: come si va su un tema così serio, concreto, esistente qui e ora a nascondersi dietro a tante frasi di circostanza, necessità di approccio scientifico (tre volte nel testo!! Ma che vuol dire??) ecc ecc…va beh gentile comitato: ma voi siete per proteggerla o per abbatterla questa fauna selvatica in esubero? Imparate ad essere chiari, per favore!
La richiesta di abbattimento di 1.000 caprioli inoltrata dalla Provincia (di Alessandria, ndr) alla Regione su sollecitazione dei viticoltori e delle associazioni agricole richiede alcune considerazioni.
Se ben gestita e valorizzata la fauna selvatica autoctona è da considerarsi una ricchezza per il territorio, in primo luogo in termini di biodiversità ed equilibrio degli ecosistemi, quindi anche per il richiamo turistico che puo’ esercitare.
Purtroppo decenni di errata gestione faunistica e venatoria hanno determinato la situazione attuale, con una serie di pratiche che hanno di fatto impedito il corretto contenimento dell’espansione di alcune specie selvatiche e contestualmente hanno prodotto la rarefazione, o addirittura l’estinzione locale di altre.
Uno degli esempi più eclatanti è la pratica di foraggiare i cinghiali durante le stagioni autunnale e invernale quando le popolazioni potrebbero subire per vie naturali un decremento significativo.
Questa pratica è proibita a livello nazionale, ma evidente a chiunque frequenti i boschi di montagna.
Anche la presenza del lupo, tornato spontaneamente su Appennino e Alpi, ha una funzione di controllo dell’aumento delle popolazioni di ungulati, benché questo carnivoro sia oggetto di atti di bracconaggio.
Il primo paradosso da rilevare è quindi che ci si rivolge ai cacciatori per risolvere un problema che proprio
nell’interesse venatorio e nelle pratiche scorrette di una parte di quel mondo trova la sua ragion d’essere.
Dato per appurato che alte densità di ungulati provocano seri danni alle colture agricole e che piani di abbattimento sono necessari per il loro contenimento, occorre che questi stessi piani siano regolamentati su basi scientifiche.
Per quanto riguarda il cinghiale, numerose evidenze scientifiche dimostrano che l’utilizzo della braccata non risponde all’obiettivo di contenimento della popolazione, determinando inoltre un fenomeno di dispersione sul territorio degli animali, il che comporta maggiori danni alle colture e ulteriori potenziali rischi per la viabilità.
Inoltre, la braccata comporta un forte impatto sulla biodiversità degli ambienti prescelti, è facilmente causa di ferimento di animali sottoposti quindi a inutili sofferenze e potenzialmente fonte di rischio per l’uomo.
Inoltre occorre una valutazione attenta dei rischi per l’uomo di una pratica
pericolosa che ha già causato numerosi incidenti mortali, esercita un forte
impatto su vaste aree di territorio naturale con disturbo di altre specie
(compreso il lupo, specie protetta), sottrae di fatto intere porzioni di
territorio per gran parte della settimana alla fruizione pubblica da parte di escursionisti, gitanti, cercatori di funghi ecc.
Considerata la sua inefficacia nel contenere l’aumento delle popolazioni di cinghiali, e i fattori di rischio e danno ambientale e sociale sopra elencati, è evidente che questa
pratica venatoria debba essere superata, o quantomeno fortemente ridimensionata e regolamentata, a favore di altri metodi di maggior efficacia e minore pericolosità e impatto sull’ambiente naturale.
L’Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) indica infatti di attuare un prelievo selettivo basato su criteri scientifici, preferibilmente attraverso i metodi dell’appostamento e della “girata”, già praticati all’interno dei parchi naturali, sotto il controllo di personale esperto e qualificato.
Per quanto riguarda i caprioli, la cifra proposta di 1.000 capi (che va ad aggiungersi alle varie centinaia già inserite nei piani di abbattimento) deve essere attentamente valutata su basi scientifiche e non può essere utilizzata in via suggestiva per creare l’illusione che il problema si risolva solo aumentando la potenza di fuoco dei cacciatori.
Non si può parlare con tanta leggerezza di persone armate attive in un territorio densamente popolato, anche alla luce dei recenti tragici fatti di cronaca. Anche sul piano etico non è ammissibile giustificare una mattanza di tali dimensioni senza verifiche comprovate dell’efficacia di abbattimenti di queste dimensioni e con queste modalità.
Il problema va affrontato a vari livelli, integrando ai purtroppo necessari interventi di selezione, tutte le misure possibili per garantire e rendere più efficace ed effettivi i meccanismi di risarcimento dei danni e soprattutto di prevenzione attraverso contributi per la realizzazione di recinzioni e opere di difesa, nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio circostante.
Ricordiamo infine che ad oggi la Regione Piemonte non dispone di un Piano Faunistico Regionale, fondamentale strumento di pianificazione di area vasta e che ogni provvedimento adottato al di fuori da linee guida rigorosamente scientifiche rischia di portare ad ulteriori aggravamenti del problema e a pericolose implicazioni in termini di rischio umano e ambientale a fronte di una situazione di forte impoverimento delle comunità faunistiche e dello squilibrio delle biocenosi determinato anche dall’estinzione di alcune specie di predatori.
Comitato per il territorio delle Quattro Province