La politica alessandrina rilancia: una sola azienda sanitaria in provincia e uno studio (affidato a Ires che dovrà presentarlo entro sei mesi) per realizzare un nuovo ospedale, magari dismettendo qualche struttura vecchia e non più funzionale.
Il buon senso alla base della mozione depositata in Regione ci sarebbe tutto. Che però l’obiettivo sia dietro l’angolo, questo appare un po’ meno immediato a dispetto dell’ottimismo di chi sta sostenendo una battaglia che mette al centro i bisogni reali di salute dei cittadini e le altrettanto necessarie risposte che la sanità – fra ospedali, strutture territoriali e socioassistenziali – deve dare. “Sull’urgenza di un accorpamento tra Asl e Aso (azienda ospedaliera) di Alessandria – spiegano Domenico Ravetti, primo firmatario insieme al capogruppo di Mdp, Valter Ottria – è stato depositato in Consiglio regionale un atto di indirizzo, sottoscritto da tutti i capigruppo di maggioranza e dal collega Mighetti del M5S, in cui chiediamo alla Giunta di accelerare i tempi e presentare una proposta di deliberazione che vada in questa direzione”. La mozione dovrà essere votata dall’assemblea consiliare di Palazzo Lascaris e quindi essere tradotta, entro due mesi dall’approvazione, in una proposta di deliberazione della giunta regionale per dare il via alla fusione tra le aziende sanitarie di Alessandria.
Ma allora quando potrebbe nascere l’azienda unica? “Il nuovo atto aziendale, che dovrà essere il frutto anche dell’attivismo del territorio, potrebbe individuare un direttore unico entro aprile/maggio del prossimo anno” risponde Ravetti. E le risorse? “La nuova azienda non può che avere a disposizione la somma delle risorse del fondo sanitario regionale assegnato alle attuali aziende”.
Perché questa improvvisa accelerazione della politica rispetto a un problema, quello della riorganizzazione dei servizi ospedalieri, territoriali e socioassistenziali, che sul piano regionale presenta differenze anche marcate? La provincia di Alessandria vuole diventare una sorta di laboratorio per la sanità del terzo millennio? Oppure, molto più prosaicamente, si sta cercando di mediare fra un problema vero – una buona sanità per tutti i cittadini – e una pesante moneta di scambio in vista delle future elezioni? Difficile rispondere, anche perché la proposta estremamente sensata di razionalizzare, ottimizzare le risorse e usare i risparmi possibili per lo sviluppo e per ridurre le criticità legate alle lunghe liste di attesa e alla mobilità passiva (pazienti che si fanno curare in altre regioni), si scontra con una storia recente che presenta discreti ‘buchi neri’.
A una prima lettura, la mozione, sulla quale i consiglieri firmatari sperano di vedere convergere anche il centrodestra che comunque per ora resta alla finestra, dice cose piene di logica. “I tentativi compiuti negli anni per mettere in rete tutti i presidi sanitari alessandrini con l’obiettivo di razionalizzare, qualificare e potenziare l’offerta non hanno prodotto risultati soddisfacenti. La cooperazione tra Asl e Aso – dicono Ravetti e Ottria – è sempre stata debole e siamo arrivati a un punto in cui la creazione di un’unica azienda sanitaria non è più procrastinabile, senza che ciò debba in alcun modo essere letto come un processo di razionamento dell’offerta, perché non ci saranno tagli alle risorse. La fusione al contrario consentirà di ottimizzarne l’utilizzo e dunque di migliorare l’offerta delle prestazioni. La futura azienda unica dovrà garantire l’integrazione in rete di tutti i presidi ospedalieri e tra ospedali e territorio per una presa in carico omogenea dei pazienti per le post-acuzie. Inoltre, la fusione – aggiungono – dovrà favorire un’offerta di assistenza territoriale integrata con l’assistenza socioassistenziale. Infine, grazie ad una maggiore efficienza gestionale, dovrebbe liberare risorse da investire nel potenziamento dei servizi”. Il testo della mozione non dimentica i vertici aziendali. “Le responsabilità di tale situazione non sono imputabili alle dirigenze delle aziende, ma alla specificità del territorio” si legge.
Ma se le cose non andavano bene, perché l’assessorato regionale di Antonio Saitta non si è mosso in modo autonomo? Perché farselo chiedere in sede consiliare?
Fin qui la politica. Veniamo alla dirigenza. La riorganizzazione della rete ospedaliera voluta dall’amministrazione regionale ha avuto come obiettivo primario l’uscita dal piano di rientro. Recuperato un soddisfacente equilibrio di bilancio, è il momento delle scelte successive. Vero. Come è però vero che larga parte delle criticità evidenziate dalla mozione sono di competenza dell’attuale Asl: integrazione in rete di tutti i presidi ospedalieri e tra ospedali e territorio per una presa in carico omogenea dei pazienti per le post-acuzie è uno degli obiettivi primari. Se non è stato raggiunto dagli ospedali di Casale, Novi, Ovada, Acqui e Tortona, dai Distretti, dalle stutture periferiche (tutta gestione Asl) di chi è la responsabilità? Se alcune specialità non hanno trovato la corretta e piena integrazione fra Aso e rete Asl non è forse perché c’è chi non ha applicato le regole, o lo ha ha fatto solo in parte?
Il cittadino chiede servizi di qualità, il più possibile vicino al luogo di residenza. Ma quando il paziente deve curare patologie complesse, è lui stesso che sceglie dove andare per essere sicuro del risultato. Allora, cosa ha impedito di andare fino in fondo a una prima riorganizzazione? Le scelte dei direttori di presidio? Quelle dei medici di famiglia? O la logica aziendale della ‘produzione’? Perché questo aspetto non va dimenticato. Se un malato viene mandato in una struttura gestita dall’Asl, è la stessa azienda sanitaria che aumenta la produzione. Ma se per la complessità della patologia viene ricoverato nell’ospedale di Alessandria, è l’azienda ospedaliera che conteggia il paziente. E così, pur di aumentare i volumi, si decide di mandare, o meno, il malato in un ospedale o un altro pur di non ridurre i numeri. Con una azienda unica questo non succederà più? Vero. Però, allora, perché non pensarci prima?
Benché assolutamente non tirata in ballo in modo ufficiale e con una scadenza di mandato fissata a maggio del 2018, Giovanna Baraldi, direttore generale dell’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ ha pensato bene di diffondere una breve nota. “Le regole di programmazione e di funzionamento del Servizio sanitario regionale sono una responsabilità della politica, così come la revisione dell’assetto istituzionale, di cui la unificazione rappresenta un ‘modello’. I direttori generali delle aziende hanno il mandato di attuare al meglio gli indirizzi regionali, al servizio dei cittadini. In virtù dei risultati conseguiti in questi due anni e mezzo (incremento di servizi per i cittadini per un valore pari a dieci milioni di euro, miglioramento di qualità e appropriatezza, pareggio di bilancio e conti ‘a posto’) l’azienda ospedaliera di Alessandria in questo momento è pronta per qualsiasi cambiamento la Regione decida di fare”. Peraltro non potrebbe fare altrimenti, visto che la competenza della sanità è appunto regionale.
Infine, l’azienda unica, dicono sempre Ravetti e Ottria, rafforzerà il percorso verso la nascita di un istituto per la ricerca e il progetto del corso di laurea in Medicina ad Alessandria. Intanto però il sogno di una regia unica della sanità potrebbe trasformarsi in un incubo per una ampia percentuale di personale amministrativo che svolge mansioni simili nelle due aziende, per alcuni primari che guidano strutture quasi identiche, per la trattativa sindacale che dovrà essere avviata. E magari per chi nel 2018 si vedrà proporre la guida di una azienda da oltre 6.200 persone, ospedali territoriali e uno di specialità che fino a oggi, come quello di Alessandria, ha rappresentato la struttura hub di riferimento per le le province di Alessandria e Asti. E domani?