Il cognome talvolta avvicina, altre volte allontana.
Il mio risuona di antichi splendori (“Lei è parente del Grande Caruso? Con quel cognome non avrebbe potuto far altro che il musicista!”) e di ciò vado fiero perché il tenore più grande di sempre unisce storia e leggenda come pochi altri personaggi del Novecento.
Il mio cognome evoca ugualmente i ragazzi di Sicilia che per poche lire facevano lavoretti saltuari, prevalentemente nelle miniere di zolfo, e di ciò vado fiero perché l’arte di arrangiarsi è un valore aggiunto, anche di questi tempi.
Sto preparando una serata evento per onorare nel 2018 Lucio Battisti, in occasione del ventennale della sua scomparsa.
Battisti ha fatto grande la piccola musica, ha creato melodie e atmosfere che ci accompagnano dagli anni Sessanta.
Ancora oggi il mondo degli autodidatti (che sono coloro che si avvicinano alla musica essendone attratti visceralmente) esordisce con “La canzone del sole”.
Studio le canzoni dell’intera produzione di Battisti con accuratezza e mi lascio stupire cammin facendo.
Cesare Battisti (il terrorista, non il patriota) veleggia nuovamente sulle prime pagine dei quotidiani. Piccolo teppista, poi rapinatore e infine assassino. A seguire latitante in Francia e quindi in Brasile; alcuni anni fa l’Italia ne richiede l’estradizione al governo Lula, che nega la possibilità non si capisce per quale criterio di diritto internazionale. Oggi alcune figure autorevoli, tra cui il sindaco di San Paolo, affermano: “Non possiamo dare protezione a un criminale”.
Mi lascio stupire – e forse non dovrei – dalle dichiarazioni del terrorista: “Vorrei che il presidente (del Brasile) Temer prendesse coscienza profonda della situazione anche perché ha tutti gli strumenti giuridici e politici per fare un atto di umanità e lasciarmi qui”.
La richiesta di un atto di umanità, da lui.
Ecco ciò che mi stupisce.
Il cognome che portiamo può essere piuma o macigno.
Piuma se ci rende lievi i pensieri, macigno se ci pone interrogativi.