Chi si ricorda di Gigi Meroni? [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

Angelo biondo spiega le tue ali sul mio cuore d’artista.
Che quando scendo in campo amore mio
certi pensieri si trasformano in un magico show
e li faccio sognare
in balia del mio spirito innocente
li stupisco sempre
sono un giocoliere
li faccio godere
geniale, anarchico e irriverente…

 

L’angelo biondo, quello del luna park dove “le giostre girano controvento”, si chiama Cristiana. Il suo urlo disperato nella notte di cinquant’anni fa, nel pronto soccorso di un ospedale di Torino quando le dissero che il suo Gigi, l’amore della sua vita, era morto dopo quello stupido incidente, ecco il suo urlo disperato risuona ancora nelle orecchie di tutti i tifosi del Torino. Memoria forte, eterna di un altro strazio, uno di troppo, per i cuori grandi granata dei tifosi della squadra che ha sofferto più di tutte al mondo.

“Geniale, anarchico e irriverente”, canta di lui Paolo Archetti Maestri, uno di quei cuori grandi granata, nella canzone bellissima che gli hanno dedicato gli Yo Yo Mundi.
Geniale, anarchico e irriverente si diceva, di sicuro, di Gigi Meroni.Chi si ricorda di Gigi Meroni? [Lettera 32] CorriereAl

Ma anche cappellone che posa da Beatle. Intelligente ed estroso, con una forte sottolineatura su “estroso”. Il calciatore beat (con tanto di articolo di giornale dedicato al taglio della barba che “insieme alla sua indiscussa abilità di giocatore, lo rendeva noto in tutta Italia”). Quello che “veste abiti edoardiani o liberty che lui stesso ha disegnato”.

Quello dell’elegante mansarda arredata con mobili antichi in piazza Vittorio, dove dipinge quadri con colori vivaci ma i soggetti sono tristi.

Il ragazzo (era del ‘43, aveva solo ventitré anni quando abitava quella mansarda) che ogni giorno dalla fiorista di sotto compra una rosa da portare a Cristiana che (scandalo!) è già sposata ma loro due si amano, e, finalmente nel giugno del ‘67 la Sacra Rota ha annullato quelle nozze sbagliate, quelle di Cristiana a Parigi con un altro, e come in un film lui era lì, Gigi lì in fondo alla chiesa in un angolo e lei appena lo viene a sapere corre da lui, dall’uomo della sua vita.

Così loro, Gigi e Cristiana, vanno a vivere insieme nel giugno del ‘67, in una casa tutta loro.
In corso Re Umberto.

In corso Re Umberto.
Chi si ricorda di Gigi Meroni? [Lettera 32] CorriereAl 1La sera del 15 ottobre. Una domenica anche cinquant’anni fa. Il Toro ha vinto quattro a due, la domenica dopo c’è il derby. Farai di nuovo tre gol, dice Meroni a Combin finita la partita. Farà di nuovo tre gol, la domenica dopo nel derby, Combin, anche con trentanove di febbre. E il quarto del 4-0 (nel derby!) lo segnerà il giovanissimo Carelli, con la maglia numero 7. La maglia di Gigi Meroni.

“Una 124 (guidata dallo studente universitario Attilio Romero di 19 anni) che giungeva da via Solferino lo ha scaraventato contro un’Appia che arrivava in senso contrario”, così c’è scritto sul giornale. Erano le ventuno-e-trenta di quella domenica sera del 15 ottobre di cinquant’anni fa.
Attilio Romero, detto Tilli, figlio di un medico primario, al primo anno di legge, ha una sola grandissima passione: il Torino, e un idolo: alle pareti della sua stanza numerose fotografie della squadra e soprattutto di Meroni, infatti.

A proposito di foto, in prima su Stampa Sera accanto a quella di Cristiana e di Poletti (il compagno di squadra di Gigi, il suo migliore amico, sempre insieme Gigi e Fabrizio, e infatti fu investito con lui quella maledetta sera) tutti e due con lo sguardo perso nel vuoto, ce n’è una di Giorgio Ferrini devastato, con la mano sulla bocca, davanti al cadavere di Meroni che ha attorno al capo un fazzoletto che pietosamente gli serra la mandibola, come si fa coi morti quando altrimenti resta spalancata, testimonianza dell’estrema sofferenza e del tentativo sconfitto di un altro respiro.
Ditemi se non è un simbolo dei troppi dolori del Torino, quella foto.

Vittorio Pozzo, il commissario tecnico dei mondiali vinti nel ‘34 e nel ‘38, l’uomo che il 4 maggio 1949 era salito a Superga (il pilota dell’aereo si chiamava Luigi Meroni, solo ai granata il destino può fare scherzi del genere) per riconoscere, uno ad uno, col cuore che sempre più si incrinava, i cadaveri dei ragazzi della squadra più forte di ogni epoca, nel 1967 vecchio cronista scrive di Meroni con infinito affetto: “…era un giocatore serio e coscienzioso. Si preparava alle gare con impegno e con volontà. Era un’individualista della più bell’acqua… tutti finivano per volergli bene. Perché anche nella vita privata era buono e disciplinato” e lo paragona, prima che a Sivori che Meroni ammirava e considerava il suo modello, a Cevenini III, Zizì dell’Internazionale.

Oggi se si cercano filmati del Meroni calciatore (ma, accidenti, l’incidente se lo portò via a soli ventiquattro anni, prima che potessimo davvero vederlo giocare al futbòl), si trova prima di tutto il suo gol all’Inter, quella di HH, quella campione di tutto, che non perdeva in casa da anni, altro che da mesi.

“C’è un gol che dice tutto di Meroni – scrive Piero Vietti, giornalista dal cuore granata. Lo segnò all’Inter, a San Siro. I nerazzurri non perdevano in casa da mesi, e la notte prima Meroni era stato sveglio fino all’alba, sotto la pioggia, a discutere con Cristiana. Quando la mattina dopo il suo compagno di stanza Natalino Fossati gli chiese come avrebbe fatto a trovare le forze per giocare dopo una nottata insonne Meroni sorrise: “Vedrai oggi che cosa ti combino”, rispose. Quando stoppò quel pallone dentro l’area, tutti pensarono che avrebbe perso l’equilibrio. Gli chiudeva lo specchio della porta un certo Facchetti, non uno qualsiasi. Gigi barcollò, un metro fuori dall’area piccola, vicino all’angolo sinistro. Face due passi indietro, e poi lasciò partire un pallonetto di destro che superò Facchetti e andò a infilarsi nell’angolino di destra. Il portiere dell’Inter (che era Sarti, eh – ndB) si limitò a guardare. Una parabola che non si poteva spiegare, eppure vera. Come la sua vita.”

Chi si ricorda di Gigi Meroni? titola la canzone degli Yo Yo Mundi.
Tutti noi, voglio rispondere, e ce lo ricorderemo per sempre.